lunedì 23 giugno 2014

La scomunica come arma contro l’eresia criminale



Il  tweet di Papa Francesco: "Preghiamo per le comunità cristiane del Medio Oriente, perché continuino a vivere là dove il cristianesimo ha le sue origini." (23 giugno 2014)

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Per il Papa a Cassano all’Ionio una giornata vissuta nella quotidianità della gente comune. Oltre ciò che fa notizia

Papa Francesco, a Cassano allo Jonio, scomunica i mafiosi. La notizia ha fatto il giro del mondo quasi in tempo reale. Chi l’ha appresa in diretta televisiva, chi attraverso i numerosi canali della rete informatica, chi, più tradizionalmente, dal passa parola. Per i media, soprattutto per quelli internazionali, si è naturalmente trasformata in titolo di prima pagina. Ancora oggi, a quarantotto ore di distanza, i commenti si susseguono, così come le prese di posizione si accavallano. Ma per i duecentocinquantamila fedeli che hanno sfidato intrepidi la canicola opprimente sulla spianata di Marina di Sibari sabato pomeriggio per assistere alla messa celebrata dal Papa, si è trattato di una ventata di speranza. E il loro scrosciante e prolungato applauso è sembrato il grido di quella incontenibile voglia di riscatto che percorre la Calabria intera e tutti quei paesi nei quali il malaffare spadroneggia.
Ma non sarebbe giusto limitare la giornata trascorsa da Papa Francesco in quel lembo di terra del cosentino al coraggioso, forte, storico monito contro la malavita nelle sue diverse ramificazioni tentacolari: ’ndrangheta, mafia o camorra che sia. Al Papa i cassanesi hanno infatti mostrato anche l’altro volto della gente calabrese, quello più vero, che parla di accoglienza, di solidarietà, di vicinanza ai sofferenti, di amore per gli anziani. E Papa Francesco è andato a scovarne le sembianze nei luoghi più disparati. 
Così, dopo aver visitato al mattino il carcere e l’hospice prima di intrattenersi a lungo con i sacerdoti in cattedrale e di pranzare con i poveri e gli ospiti di un centro di recupero per tossicodipendenti, nel pomeriggio si è recato tra gli anziani di Casa Serena, una residenza sanitaria protetta, dove tra gli ottanta assistiti vi sono alcuni con problemi psichici. Poi si è fermato nel luogo in cui è stato trucidato don Lazzaro Longobardi, nella parrocchia di san Giuseppe. E nella chiesetta ha ringraziato una rappresentanza dei carabinieri per il loro costante impegno accanto alla popolazione più indifesa. Infine Papa Francesco è entrato nel giardino di casa di una famiglia che gli ha chiesto di fermarsi, per riempire di gioia anche un solo momento sottratto alla quotidianità della sofferenza. 
Casa Lufrano si trova, quasi isolata, lungo la strada che unisce Cassano a Sibari, quella percorsa dal corteo papale per raggiungere il luogo della celebrazione della messa. Tra gli alberi allineati dinnanzi alla costruzione era disteso un lenzuolo bianco sul quale era scritto «Papa Francesco, fermati qui. C’è un angelo che ti aspetta». Era tanto grande da non poter passare inosservato. E infatti non è sfuggito all’attenzione di Papa Francesco, il quale ha fatto fermare la sua vettura e ha chiesto all’autista di fare retromarcia sino al punto in cui Roberta, l’“angelo” che l’attendeva, era pronta ad accoglierlo, distesa su quel lettino che non ha mai lasciato da quando è nata, a causa di una devastante disabilità. Papa Francesco è sceso dalla vettura, è entrato nel giardino di casa, si è chinato su Roberta, l’ha accarezzata con tenerezza. Ha benedetto lei e i suoi cari. Poi è risalito in macchina e ha ripreso il suo viaggio verso Sibari.
Impressionante lo spettacolo offerto dalla immensa spianata che costeggia il mare Ionio. Era gremita da gente giunta da ogni angolo della Calabria e dalle regioni limitrofe. Oltre mille i pullman allineati lungo i bordi del campo. Appena giunto il Pontefice è salito a bordo della jeep scoperta e ha girato a lungo in mezzo a quella folla, seguendo un polveroso tracciato.
All’altare con lui c’erano tutti i vescovi della Calabria. Unica eccezione per il pugliese monsignor Felice di Molfetta, vescovo di Cerignola - Ascoli Satriano, la diocesi pugliese di cui è originario il vescovo Galantino. E proprio “don Nunzio”, come lo chiamano affettuosamente i suoi diocesani, salutando il Pontefice all’inizio della messa a nome loro, ha deposto ai piedi dell’altare tutte le loro sofferenze, ma anche tutte le loro gioie, nonostante i tentativi di distruggerle da parte di chi vive nel male. E quando il Papa li ha lasciati, poco dopo le 18, per rientrare in Vaticano, hanno certamente sentito rinascere in loro la speranza di un domani libero da violenza e paure.
«Il Papa ha sicuramente riacceso la nostra speranza» ha confermato il vescovo durante la messa di ringraziamento celebrata domenica 22 in cattedrale. E rilanciando il messaggio del Pontefice ha ripetuto che «chi non si riconosce nella centralità di Dio e sceglie idoli finisce per essere travolto dalla violenza. Ed è quello che è successo alla nostra comunità nei primi mesi dell’anno con la vicenda di Cocò e con l’uccisione di don Lazzaro. In questi mesi però ci siamo preparati alla venuta del Santo Padre avendo come faro il chiedere perdono e il chiedere scusa. E questa, secondo me — ha assicurato —, è la direzione giusta».
L'Osservatore Romano

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La scomunica come arma contro l’eresia criminale 
di Vito Mancuso
PAPA Francesco ha dichiarato in Calabria nella piana di Sibari che «i mafiosi sono scomunicati ». Finalmente, viene da dire, sia per la lotta della Chiesa contro la criminalità organizzata che diviene sempre più ferma, sia per l’uso ora decisamente più appropriato della più grave delle sanzioni del diritto penale ecclesiastico. Ma che cosa succede, di fatto e di diritto, a un cattolico che viene scomunicato?
Prima di rispondere ritengo sia opportuno ricordare i secoli di utilizzo del tutto improprio dello strumento della scomunica da parte dei predecessori di papa Francesco. I papi infatti ne fecero spesso un uso politico, per nulla religioso, funzionale al loro potere e non alle ragioni della spiritualità e della giustizia: si pensi alle scomuniche che colpirono regnanti come gli imperatori Enrico IV (poi costretto ad andare a Canossa) e Federico II, la regina Elisabetta I, Napoleone, il re Vittorio Emanuele II, oppure l’intera Repubblica di Venezia con tutti i suoi abitanti.

OPPURE ancora nel 1949 tutti gli appartenenti al Partito comunista (scomunica che, a quanto mi risulta, non è stata mai formalmente ritirata). La durissima arma del bando dalla comunità ecclesiale fu usata anche contro la libertà di coscienza in materia di teologia con le scomuniche che colpirono teologi e predicatori come Ian Hus e Girolamo Savonarola (entrambi finiti sul rogo), oppure il patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario e qualche secolo dopo Martin Lutero e a seguire tutti i protestanti. A questo proposito penso sia doveroso ricordare quanto avvenne nel 1561 proprio in Calabria, sempre in provincia di Cosenza, a solo un’ora di macchina dal luogo in cui papa Francesco ha celebrato la Messa, cioè il massacro di circa 3000 valdesi da parte delle truppe inviate dal grande inquisitore fra Michele Ghislieri, divenuto in seguito papa Pio V (anzi san Pio V!). Ed è impossibile non menzionare le scomuniche che colpirono due sacerdoti come Romolo Murri ed Ernesto Buonaiuti.
Ma non è solo storia di ieri, è anche cronaca di oggi. La chiesa di papa Francesco ha scomunicato di recente, il 18 settembre 2013, un sacerdote australiano, Greg Reynolds, per aver promosso l’ordinazione sacerdotale delle donne e il riconoscimento sacramentale delle coppie gay, e sempre sotto Francesco si è avuta un mese fa la scomunica di Martha Heizer, teologa cattolica austriaca, presidente del movimento internazionale “Noi Siamo Chiesa”, sostanzialmente per gli stessi motivi.
Due giorni fa in Calabria il papa ha detto che «la ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune», aggiungendo che «questo male va combattuto, va allontanato, bisogna dirgli di no». E ha comminato la scomunica. Ora io chiedo però se sia giusto accostare nella stessa pena criminali che adorano il male e sinceri credenti che cercano (magari anche forzando i tempi) di rendere la Chiesa davvero una casa accogliente per tutti. Me lo chiedo e sento che sia giusto rispondere che non lo è.
All’inizio di questo articolo ho posto il problema di che cosa succede a un essere umano che viene scomunicato. La risposta è molto semplice: dipende dall’uomo e dalla donna colpiti dalla condanna. Un tempo non era così, un tempo quando un papa lanciava l’anatema della scomunica succedeva per tutti qualcosa di concretamente serio, all’interessato venivano a mancare tutti i rapporti sociali necessari all’esercizio del suo ruolo, oppure, nel caso fosse già nelle mani del potere ecclesiastico, veniva consegnato al braccio secolare che comminava la pena, non di rado capitale. Ancora nella prima metà del ‘900 Ernesto Buonaiuti dovette soffrire la fame per essere stato scomunicato a causa delle sue ricerche storiche e delle sue tesi teologiche, anche alla luce del fatto che, essendo stato uno dei pochissimi docenti universitari a non giurare fedeltà al regime fascista, aveva perso anche la cattedra presso l’università statale.
Oggi la scomunica è ben lontana dal produrre effetti come questi. Oggi essa semplicemente prevede che lo scomunicato non possa
prendere parte alle celebrazioni liturgiche e assumere incarichi ecclesiali. Fine della trasmissione. Ovvero il massimo della pena per sinceri credenti come il presidente di “Noi siamo Chiesa”.
Ovviamente l’effetto delle parole di Francesco su criminali incalliti come gli affiliati alle cosche è diverso: è improbabile che ne soffriranno le loro coscienze. Però il peso simbolico della scomunica colpirà la narrazione pseudoreligiosa che la mafia fa di se stessa, aiuterà a recidere i rapporti che i boss hanno avuto con le chiese locali, metterà parroci e curie davanti alle loro responsabilità, renderà sempre più difficile il consenso sociale che la criminalità organizzata cerca di creare intorno a sé.
Sono parole coraggiose perché trasformano la scomunica in un’arma importante. Per questo Papa Francesco fa benissimo a pronunciare l’anatema contro i mafiosi, ma sarebbe bello anche che impedisse ai suoi collaboratori di utilizzare quell’arma con lo stesso stile di un passato non proprio radioso.
Da La Repubblica del 23/06/2014.

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Francesco e la scomunica dei mafiosi
Corriere della Sera
(Luigi Accattoli) Finalmente un Papa dice che “i mafiosi sono scomunicati” e tutti capiamo l’antifona: della rivoluzione di Francesco fa parte una semplificazione del linguaggio che lo espone a critiche all’interno della Chiesa ma che rende comprensibili alle moltitudini le sue parole e a volte – come (...)