domenica 29 giugno 2014

Per tutta Roma si corre e si esulta



La memoria di Pietro e Paolo all’inizio del cristianesimo e in età tardoantica. 























(Carlo Carletti)
«Dimmi, amico, che sta succedendo? Per tutta Roma si corre e si esulta». Questo lo scenario che — al primo impatto — si propone alla vista e all’immaginazione di un pellegrino illustre, recatosi da Calagurris (Hispania Tarraconensis: odierna Calahorra) a Roma per le celebrazioni del dies natalis (il giorno del martirio) di Pietro e Paolo.
È il poeta Prudenzio che ritornato in patria, dopo la visita ad limina Petri et Pauli, rievoca in versi una straordinaria esperienza vissuta in prima persona (Peristephanon, inno XII): le liturgie, la processione dal Vaticano alla via Ostiense, e soprattutto le due basiliche apostoliche che, nel loro imponente e suggestivo impatto memoriale, diventano tema dominante della sua ispirazione: «la regione destra (il Vaticano) ha raccolto e custodisce Pietro in una splendida dimora (...) sul lato opposto, dove il fiume bagna i campi della riva sinistra, la via Ostiense conserva la tomba di Paolo» (XII, 16, 23).
È «il sacro Tevere» che «separa le ossa dei due, fluendo tra i loro santi sepolcri, posti il primo (di Pietro) su una riva e il secondo (di Paolo) sull’altra» (XII, 15). Una metafora creativa e coinvolgente che riconosce nel sacro fiume un ruolo nel contempo distintivo e unitivo: all’alveo che separa e distingue fanno da contrappunto le acque che, bagnando le due sponde, riconducono a unità il sacrificio supremo della coppia apostolica. Questa panoramica, che coinvolge nel suo insieme la città intera, è partecipata al lettore con l’appello di tradizione, già impiegato da Damaso nei suoi elogia martyrum: «Guarda (aspice) il popolo di Romolo (plebs Romula) si riversa su due strade diverse (per bifidas plateas): uno stesso giorno si illumina di due feste» (XII, 29).
L’inno di Prudenzio richiama direttamente un analogo testo in versi, attribuito in passato ad Ambrogio di Milano ma più probabilmente (così la critica più recente) da riferire a un anonimo autore romano. È una composizione sensibilmente diversa da quella prudenziana nella struttura, nel registro, nella ispirazione. L’esordio — quasi un titulus — è immediatamente esplicativo: «La passione degli apostoli, nel proporre il nobile trionfo di Pietro e la corona di Paolo, ha consacrato questo giorno dell’anno (diem sacravit saeculi: inno VIII, 1). Segue il racconto dettagliato del martirio dei due apostoli e una solenne apostrofe alla grandezza della chiesa di Roma che ab origine ha riconosciuto il suo fondamento in Pietro: «Di qui, Roma, fondata su tale sangue e nobilitata da tanto vate (Pietro), ha raggiunto il vertice eccelso della pietà: hinc Roma celsum verticem devotionis extulit (inno VIII, 6). La conclusione, come già nell’inno prudenziano, rievoca il concorso di una folla immensa (inno VIII, 6–7): «Fitte folle di popolo si muovono per la città in tutta la sua estensione: su tre diverse strade (trinis VIIs celebratur) si celebra la festa dei martiri santi».
L’indicazione di tre strade non trova corrispondenza nell’inno prudenziano, il quale sembra conoscere solo i due insediamenti basilicali — in Vaticano e sull’Osteinse — sorti al di sopra della memoria funeraria dei due apostoli. L’anonimo autore romano invece, in ossequio a una tradizione antichissima risalente alla metà del III secolo, ricorda esplicitamente che la celebrazione del 29 giugno in onore degli apostoli includeva nel suo itinerario processionale anche un terzo polo memoriale.
L’insediamento cultuale cui si riferisce l’anonimo autore romano è senza alcun dubbio la Memoria apostolorum ubicata presso la località denominata in catacumbas al terzo miglio della via Appia, dove una frequentazione devozionale è concretamente documentata a partire dall’anno 258.
Lo indicano i due più antichi e autorevoli calendari liturgici della Chiesa romana e universale: la depositio martyrum redatta al tempo di Papa Marco (366) e il Martirologium Hieronymianum (prima redazione circa 431–450), che sotto la rubrica del 29 giugno indica in successione i tre siti in cui — uno momento — si celebrano i due apostoli: «29 giugno. A Roma (si commemora) il giorno anniversario dei santi apostoli: di Pietro sulla via Aurelia, di Paolo sulla via Ostiense, di ambedue in catacumbas dall’anno 258 (Basso et Tusco consulibus)». In questo sito della terza via si può ben riconoscere il parvum initium di una devozione apostolica comunitaria, che nel giro di circa un secolo assunse le dimensioni raccontate da Prudenzio e dall’anonimo romano. Un semplice e quasi dimesso cortile porticato su tre lati (triclia), che, dagli anni 250–260 e fino a circa il primo decennio-ventennio del IV secolo (cioè fino alla costruzione della basilica costantiniana che vi si sovrappose), vide la frequentazione di qualche migliaio di visitatori, lì richiamati da una tradizione che in catacumbas aveva localizzato una memoria dei due apostoli. Che questa tradizione si sostanziasse di una presenza reale o presunta di reliquie (qui traslate, a parere di alcuni studiosi, durante la persecuzione di Valeriano del 258) o che si fondasse sull’immaginario devozionale di una sosta temporanea degli apostoli al loro arrivo a Roma, è argomento di difficilissima decifrazione.
Ma al di là delle divergenti posizioni della critica, c’è un dato storico oggettivo: le infrastrutture della triclia (pozzo, canalizzazione, banchi in muratura) e, soprattutto, le oltre ottocento iscrizioni graffite tuttora leggibili sull’intonaco delle pareti indicano in questo ambiente un centro di culto funerario, nel quale i visitatori consumavano il pasto rituale del refrigerium, lasciando testimonianza scritta di un atto devozionale compiuto per i due apostoli. Emblematica in tal senso è la scritta autografa lasciata da Dalmazio, il cui messaggio sembra assumere valore di un vero e proprio ex voto: Dalmatius / votum (e)is (cioè a Pietro e Paolo) promisit / refrigerium (Inscriptiones Christianae Urbis Romae V, 12932). Pietro e Paolo, nell’immaginario dei fedeli, partecipano a questi banchetti, siedono alla stessa tavola con i visitatori che dialogano — quasi confidenzialmente — con i loro protettori.
Di questo libero parlare fanno fede gli espliciti — seppure succinti — contenuti delle iscrizioni: i due apostoli vengono richiamati amichevolmente con il loro nome senza la formale menzione dei titoli qualificativi sanctus e martyr; i moduli formulari manifestano l’immediata e densa semplicità di una lingua parlata, senza concessioni allo stereotipo del linguaggio liturgico né alla citazione di forme scritturali: «ricordatevi», «proteggete», «pregate», «aiutate» (in mente habete, eis mneían échete; synterésate, terésate; petite, orate, rogate pro; subvenite, adiutate). Non sarà allora pura casualità se tra gli avventori del sito della via Appia emerga una pressoché totale assenza degli ecclesiastici. Non v’è dubbio: il complesso della Memoria apostolorum costituisce una straordinaria esperienza di comunicazione tra il terreno e il divino. È qui che per la prima volta si elabora un definito repertorio formulare devozionale, che anche in seguito — e soprattutto nel corso del IV secolo — senza perdere l’originaria impronta popolare, approderà nel più diffuso ambito di consumo epigrafico, che è quello delle iscrizioni funerarie.
La devozione apostolica a Roma, proiettata nel segmento temporale che si estende dalle origini al V secolo, assume diverse e complementari connotazioni, significativamente coerenti con i momenti e le situazioni che ne videro nascita e lo sviluppo.
In principio (alla fine del I secolo) — come documentato dal celeberrimo capitolo quinto della prima lettera di Clemente romano alla Chiesa di Corinto — Pietro e Paolo, prima ancora che con il loro nome, sono presentati come «le maggiori e giuste colonne», cioè il fondamento storico e teologico della nascente Chiesa romana: un requisito certamente già fatto proprio nella social memory della comunità del tempo. Successivamente — come indicato con il massimo dell’evidenza dalla Memoria apostolorum — Pietro e Paolo entrano nella percezione collettiva come intercessori e protettori del singoli fedeli e della comunità. Infine, a partire dall’età damasiana, la coppia apostolica viene proposta come protettrice dell’intera città di Roma e in questo ruolo si sostituisce agli atavici Dioscuri della tradizione pagana.
Questo decisivo passaggio trovò una solenne formalizzazione poetica nel celebre elogio di Papa Damaso esposto, non a caso, nella basilica apostolorum della via Appia (Inscriptiones Christianae Urbis Romae V 13273): qui Pietro e Paolo — rispetto ai Dioscuri — sono i nova sidera e dall’alto guardano e proteggono la città. Anche Damaso era tornato sulla terza via della devozione apostolica.
L'Osservatore Romano

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San Pietro, il primo di 264 Papi

Quali sono le qualità umane dell'apostolo, che hanno convinto Gesù a farne il primo Pontefice?

di padre Piero Gheddo.

San Pietro, l’Apostolo che Gesù ha scelto come suo successore nel dirigere la comunità dei suoi discepoli. Quali sono le qualità umane di Pietro, che hanno convinto Gesù a farne il primo Papa? Pietro era a capo di una compagnia di pescatori, un uomo autentico, onesto e trasparente, aveva leadership, bontà naturale, prudenza e coraggio, esperienza di vita.
1) La caratteristica fondamentale della sua vita è l’amore appassionato a Cristo e la fede in Lui. Significativa la triplice domanda di Gesù: “Pietro, mi ami tu più di costoro?”. E la sua risposta: “Signore, tu sai tutto. Tu sai quanto ti amo!”. Non era una fede intellettuale, nutrita di studi, ma un amore totale alla persona di Cristo. “E voi, chi dite che io sia?”. Pietro è stato il primo a dare la risposta giusta: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Il cristianesimo è sostanzialmente la fede e l’amore appassionato a Gesù Cristo, che vuol dire imitarlo e farlo conoscere. “Volete andarvene anche voi?”. Pietro risponde: “Da chi andremo Signore? Tu solo hai parole di vita eterna”.
La fede e l’amore a Cristo lasciano però a Pietro tutti i suoi limiti e peccati. Si fa dire dal Maestro: “Via da me, o Satana! Tu ragioni come gli uomini, non pensi come Dio”. La notte del Venerdì Santo tradisce Gesù: “Non lo conosco”. E quando Gesù è in agonia appeso in Croce, Pietro non si fa vedere, fugge lontano. Tutto questo avrebbe dovuto scoraggiare Pietro, renderlo pessimista, allontanarlo da Cristo.
Invece, da uomo vero, era umile e riconosce il suo peccato, piange amaramente, crede dell’amore a Cristo che lo purifica, lo redime, lo rinnova. La coscienza del suo peccato non diminuisce anzi aumenta il suo amore appassionato a Cristo. Se mi sento triste per il mio peccato è perchè non sono umile. “Dio perdona sempre, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere eperdono”
Ecco l’esempio più toccante di Pietro. Lo scoprirsi uomo e peccatore (“Allontanati da me – dice a Gesù – che sono un uomo peccatore”) non lo abbatte, sa che l’amore a Cristo vince tutto e riprende il cammino con nuova lena.
Gesù ama le persone autentiche e Pietro lo era. Ritorna sui suoi passi e nel Cenacolo è con Maria e gli altri Apostoli a ricevere lo Spirito Santo. Poi è pieno di coraggio e al Sinedrio, che gli proibiva di parlare ancora di Cristo risponde: “Bisogna obbedire a Dio prima che agli uomini”. Lancia la sfida ed è disposto a ricevere una buona dose di frustate, a farsi incarcerare e poi, alla fine della vita a morire crocifisso come il suo Maestro, addirittura con la testa in basso.
2) Pietro è il primo Papa e rappresenta l’interminabile successione dei 265  Papi che ci tengono uniti a Cristo. Gesù ha lasciato un messaggio da trasmettere nei secoli e ha creato la comunità dei credenti, la Chiesa, con un capo, il Papa. Un uomo come tutti gli altri, debole e peccatore, ma che ha l’assistenza dello Spirito Santo, per conservare la fede e trasmetterla attraverso i vescovi e i sacerdoti nei secoli dei secoli.
Gesù dà a Pietro le chiavi del Regno (Mat 16, 18-19), l’incarico di confermare i suoi fratelli nella fede (Lc 22, 32), la missione di pascere il gregge di Cristo (Gv 21, 15-19). E poi, prima di salire al Cielo ha promesso lo Spirito Santo: “Ho ancora molte cose da divi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità egli vi guiderà alla verità tutta intera e vi annunzierà le cose future” (Gv 16, 7-15).
In duemila anni la Chiesa cattolica, con l’assistenza dello Spirito Santo, è cambiata molte volte, ma sempre nella fedeltà al Vangelo. Il Papa continua a guidare la Chiesa e specialmente negli ultimi tempi ha acquistato una forza di persuasione e di commozione che non ha nessun’altra autorità mondiale.
Quant’è bella la nostra fede! Nella confusione di idee proposte del nostro tempo abbiamo con noi il Vicario di Cristo, il rappresentante di Gesù sulla terra. Non è da solo, ma agisce in comunione con i circa 4.500 vescovi della Chiesa cattolica e ha l’assistenza dello Spirito Santo.
Mons. Aristide Pirovano (1915-1997), fondatore della diocesi di Macapà in Amazzonia brasiliana (1946-1965) e superiore generale del Pime (1965-1977), in tempi di relativismo e divisioni nella Chiesa, parlando e scrivendo ai missionari si riferiva spesso al Papa e diceva:“La mia linea è quella di stare sempre col Papa”. Ai partenti per le missioni diceva (22 settembre 1968):          
“Cari confratelli, solo nel Papa e col Papa si realizza quell’unità con Cristo,per la quale Gesù pregò nel Cenacolo: “Ti prego, Padre per quelli che crederanno in me: perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io te, siano anch’essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 20-23)”. Così anche noi potremo essere uniti nella 
3) Oggi il Signore ci ha mandato un Papa che sta mettendo le basi per portare la Chiesa sempre più vicina a Cristo e sempre più a servizio del Popolo di Dio. Giovanni XXIII aveva convocato il Concilio Vaticano II, Papa Francesco sta consultando i vescovi e le comunità cristiane per indicare com’è la conversione della Chiesa, cioè di noi tutti, partendo dai vescovi, sacerdoti e persone consacrate.
Francesco è il primo Papa che viene dalle missioni e porta nelle nostre Chiese antiche  l’entusiasmo della fede e la collaborazione all’azione evangelizzatrice della Chiesa, che lo Spirito ha suscitato nelle giovani comunità fondate dai missionari.
Non è facile capire e seguire questo Papa, il metodo migliore è leggere e meditare pregando la sua Lettera apostolica. “Evangelii Gaudium”, la Gioia del Vangelo, scritta come Francesco parla, a braccio, e quindi facilmente comprensibile e molto leggibile, concreta, pratica, provocatoria. Dobbiamo capire, amare il Papa, pregare per lui e chiedere allo Spirito Santo di accendere anche in noi il “fuoco della Pentecoste” che può infiammare il mondo e portare i popoli nel gregge di Cristo e l’umanità in un cammino verso il Regno di Dio.
(Articolo tratto dal blog "ARMAGHEDDO". L'attualità vista da padre Piero Gheddo, missionario-giornalista". L'indirizzo del sito ufficiale di padre Gheddo è http://www.gheddopiero.it/)