martedì 29 luglio 2014

Il silenzio sugli innocenti




Negli editoriali della stampa internazionale.

(Gabriele Nicolò)
Un duplice dramma sta investendo i cristiani: la loro persecuzione, in varie parti del mondo, e l’indifferenza generale, delle istituzioni e dell’opinione pubblica, verso di essa. «A quanti in Europa e in Occidente importerà davvero qualcosa dell’ennesima uccisione di cristiani saltati in aria a Kano, in Nigeria, per lo scoppio di una bomba in una chiesa?» si chiede Ernesto Galli della Loggia, nell’editoriale pubblicato sul «Corriere della Sera» del 28 luglio.
La stessa domanda vale per i cristiani obbligati, la settimana scorsa, ad abbandonare Mosul nel giro di 24 ore, pena la vita o la conversione forzata all’islam. La risposta dello storico è netta: tutto ciò non interessa a nessuno. Eppure è grande la portata di quanto sta avvenendo, anzitutto perché rischia di compromettere i fondamentali legami che uniscono, sul piano politico e religioso, l’oriente e l’occidente. In un editoriale del 26 luglio, il quotidiano parigino «Le Monde» dà ampio risalto al tragico esodo dei cristiani del mondo arabo, sottolineando che per la prima volta, dopo circa duemila anni, non ci sono quasi più cristiani a Mosul, uno dei primi luoghi dove si è affermato il cristianesimo. E nell’editoriale si denuncia con forza il fatto che questa «sparizione» sta avvenendo nell’indifferenza, nell’impotenza, anzitutto dell’Unione europea. Un’impotenza tanto più grave perché si manifesta nel momento in cui rischia di venire cancellata una parte della storia in un Medio oriente in preda a un’acuta crisi di regressione politica e religiosa.
I cristiani a Mosul sono vittime delle sistematiche persecuzioni dei jihadisti dello Stato islamico che distruggono i loro luoghi di culto, ne confiscano le terre, ne marchiano le case, impongono una tassa a chi non intende convertirsi. Sottolinea «Le Monde» che l’esilio delle famiglie di Mosul è solo l’ultimo episodio di un lungo dramma vissuto dalla popolazione cristiana dell’Iraq. Secondo diverse stime, infatti, il Paese contava più di un milione e mezzo di cristiani alla fine degli anni Ottanta. Nel 2003, al tempo dell’intervento armato anglo-statunitense, i cristiani erano circa ottocentomila. Successivamente, perché considerati «pro -statunitensi», sono diventati «l’obiettivo privilegiato» delle violenze commesse in nome della lotta contro l’occupazione. E adesso in Iraq di cristiani ne sono rimasti molti di meno. Ma la crisi non riguarda solo l’Iraq, sottolinea «Le Monde». Eccettuato il Libano, è l’intera regione che «viene svuotata» delle minoranze cristiane, vittime dell’ascesa dell’islam politico, delle guerre che devastano il mondo arabo, e costrette all’esilio dalle difficoltà economiche e da un clima politico segnato da intolleranza e da fanatismo. Gli arabi cristiani, conclude l’editoriale, non sono le sole vittime di questa epurazione religiosa: è il mondo arabo nella sua totalità che amputa se stesso.
Questo stesso scenario viene denunciato, in un editoriale del 25 luglio, dal «Financial Times» che, nel sottolineare il dramma delle persecuzioni, pone l’accento sul fatto che il mondo arabo — con i cristiani costretti alla fuga — rischia di perdere «l’unica finestra» sul mondo, un ponte tra est e ovest. I cristiani, scrive il quotidiano britannico, sono ormai alla mercé dei jihadisti, i cui continui attacchi stanno sollevando lo spettro di un Mediteranneo orientale senza la presenza dei cristiani. Si ricorda poi che i cristiani stanno sperimentando grandi difficoltà anche in Siria e in Libano: anche qui guerre e migrazioni hanno contribuito a ridurne drasticamente il numero. Ma vi sono soluzioni in grado di innescare un’inversione di tendenza? Per il «Financial Times» ogni reale cambiamento richiede in primo luogo che i sunniti stronchino, all’interno del proprio campo, ogni forma di estremismo. Per spezzare la spirale del settarismo, che irretisce il mondo arabo, è necessario uno sforzo collettivo che porti alla ricostruzione di Stati basati sull’eguale cittadinanza, sul rispetto delle diversità, con istituzioni in grado di riflettere e di incarnare le varie componenti sociali. Il problema di fondo è vedere quanti cristiani, nel frattempo, saranno rimasti per prendere parte a questo progetto comune.
Ma perché sembra regnare l’indifferenza di fronte a un dramma così grande? Tra i motivi Galli della Loggia indica nel suo editoriale il fatto che sempre più stentiamo a sentirci, ed ancor più a dirci, cristiani. Un paio di secoli di pensiero critico laico, soprattutto la sua gigantesca volgarizzazione/banalizzazione resa possibile dallo sviluppo dei mass media, «hanno sottratto al cristianesimo, agli occhi dei più, la dignità socio-culturale di una volta». Da tempo, lamenta della Loggia, essere e dirsi cristiani non solo non è più intellettualmente apprezzato, ma in molti ambienti è quasi giudicato non più accettabile.
L'Osservatore Romano