venerdì 25 luglio 2014

Quella donna coraggiosa che seppe servire gli immigrati



(Russel Shaw) Prima della grande ondata di immigrazione ispanica che ha travolto gli Stati Uniti negli ultimi decenni, gli storici parlavano di quattro periodi principali dell’immigrazione cattolica, legati a quattro gruppi etnici: gli irlandesi (con un picco di intensità nel decennio 1850), i tedeschi (1880), gli italiani (nei primi del 1900), e i polacchi e altri slavi (1920). L’esperienza dell’immigrazione, compresa quella dell’ingresso nella Chiesa cattolica del nuovo Paese, fu per certi versi differente per ciascun gruppo etnico. E per nessuno di essi fu difficile quanto per gli italiani.
Tra il 1880 e il 1920 arrivarono in America ben quattro milioni di italiani, la maggior parte provenienti dalle regioni povere dell’Italia meridionale. Molti erano lavoratori temporanei, «costruttori di ponti, tunnel e metropolitane, scaricatori di porto e operai nelle fabbriche», per citare uno scrittore. Venuti per fare fortuna, una volta realizzato il proprio obiettivo, si affrettarono a tornare a casa. Molti di loro, però, restarono e misero su una nuova casa in America. O almeno ci provarono.
All’inizio di quegli anni, Francesca Cabrini aveva incontrato Papa Leone XIII e gli aveva espresso il suo sogno di andare in Cina come missionaria. «No» aveva risposto Papa Leone, «non a Oriente ma a Occidente». Voleva che lei e le sue nuove Suore Missionarie del Sacro Cuore andassero in America per fare opera pastorale tra gli immigrati italiani.
Ciò che accadde in seguito fu una pagina felice della storia a volte tumultuosa del cattolicesimo italoamericano. L’amore eroico per Dio e per il prossimo che la motivava venne formalmente riconosciuto nel 1946, quando Francesca Cabrini fu proclamata santa. Divenne così la prima cittadina statunitense a essere canonizzata — anche se rimase, secondo le parole di uno storico, «italiana… fino al midollo».
Francesca Cabrini nacque il 15 luglio 1850 a Sant’Angelo Lodigiano, una cittadina della Lombardia, la più piccola di tredici figli di una famiglia benestante di agricoltori. Bambina pia — la «piccola santa», veniva chiamata dai vicini — desiderava ardentemente diventare missionaria ed era solita giocare con le barchette di carta piene di violette a rappresentare le suore che intendeva mandare in tutto il mondo. Ma suo padre aveva altri piani e Francesca, dopo aver studiato per diventare insegnante, cominciò a lavorare nelle scuole. Cercò, in due occasioni, di essere ammessa agli ordini religiosi ma le fu rifiutato, formalmente per ragioni di salute ma di fatto perché un monsignore del luogo aveva altri progetti per lei: voleva farle dirigere un orfanotrofio in difficoltà.
Dopo aver diretto l’orfanotrofio per sei anni, il vescovo della diocesi chiese a lei e alle sue compagne di formare una comunità religiosa. Nacquero le Suore Missionarie e la fondatrice scelse il nome religioso di Francesca Saverio, dal nome del missionario gesuita in Estremo Oriente nel XVI secolo, Francesco Saverio. Sebbene il nuovo ordine fosse all’inizio soltanto un’istituzione diocesana, madre Cabrini aveva, sin dai primi tempi, piani più ambiziosi. Dopo aver fondato nuovi conventi a Cremona e a Milano, andò a Roma a chiedere l’approvazione papale, sperava, ad aprire un convento. Sulle prime, il cardinale addetto alla questione rispose di no — Roma aveva già abbastanza conventi — ma questa donna, determinata e carismatica, insistette e il cardinale finì con il concederle di aprire non solo uno, ma ben due conventi.
Fu intorno a quel periodo che Francesca Cabrini ebbe il colloquio con Leone XIII, che la condusse negli Stati Uniti. Già nel 1884, i vescovi americani avevano discusso, durante il terzo consiglio plenario di Baltimora, la situazione pastorale disperata degli immigranti italiani. I risultati furono scarsi, a parte il fatto che «il problema italiano» veniva ormai riconosciuto come un problema della Chiesa tutta.
New York ospitava già qualcosa come cinquantamila italiani, ma solo pochi di essi andavano in chiesa. Quella dei nuovi venuti era una situazione di povertà, di grave penuria di preti che parlassero italiano, di abitudini anticlericali e di una pratica religiosa intermittente, che li accompagnava dal vecchio continente. C’erano ancora diffusi sentimenti anti-italiani, non soltanto fuori, ma anche all’interno della comunità cattolica americana.
Sorella Dolores Liptak, storica dell’esperienza dell’immigrazione, commenta ironicamente che non si può capire come alcuni di questi immigranti riuscissero a praticare la fede, «se ci basiamo sul grado di comprensione o sul trattamento loro riservato dai cattolici americani o dagli americani in genere».
Nel corso del tempo, cominciò a prendere forma una strategia pastorale, rinvigorita dall’arrivo di nuove comunità religiose italiane, come i padri scalabriniani e i pallottini, oltre che da seminaristi americani impegnati a lavorare con gli italiani. La prima parrocchia degli Stati Uniti creata ufficialmente per loro era stata fondata a Filadelfia nel 1852 e adesso queste enclave spirituali che conservavano la lingua e le pratiche devozionali dell’Italia si moltiplicarono. Madre Cabrini e le sue suore erano parte della risposta, sempre più efficace, a una situazione di evidente bisogno.
Madre Cabrini arrivò a New York il 31 marzo 1889 e, dopo un breve periodo di tensione con l’arcivescovo locale in merito alla possibile sede di attività, lei e le sue compagne si misero all’opera. Nel giro di un mese, dirigevano un orfanotrofio. In meno di tre anni, avevano anche un ospedale (Madre Cabrini chiamò tutti i suoi ospedali — due a New York, due a Chicago — Columbus Hospital). Non c’è abbastanza spazio per elencare qui tutti gli orfanotrofi, le scuole, gli ospedali e le cliniche della cui fondazione e operatività furono responsabili queste donne. Ma alcune cifre possono almeno far capire le proporzioni di ciò che realizzarono. Quando madre Cabrini morì, trentaquattro anni dopo il suo arrivo, le 2.300 suore missionarie del Sacro Cuore che operavano negli Stati Uniti e in tutto l’emisfero occidentale avevano avviato sessantasette istituzioni dedicate al benessere fisico, morale e spirituale delle persone bisognose. Gli italiani non erano le sole persone alle quali offrivano il loro servizio, ma gli italiani rimasero il fulcro degli sforzi delle suore.
Già nel settembre 1891, madre Cabrini aveva portato quattordici sorelle in Nicaragua per avviare un’accademia. Di passaggio per New Orleans, una volta tornata negli Stati Uniti, scoprì che un anno prima una folla inferocita aveva linciato un numero di italiani accusati di vari crimini. La sua reazione fu quella di convocare diverse suore da New York per lavorare tra gli italiani di quella città.
Come la bambina che anni prima aveva sognato di inviare missionarie in tutto il mondo, madre Cabrini portò avanti un ministero dagli orizzonti in continua espansione. Argentina, Cile, Francia, Spagna, Inghilterra — le suore missionarie hanno operato in tutti questi luoghi. Negli Stati Uniti, l’ordine si diffuse verso ovest in tutto il Paese — a Chicago, nei campi di miniere del Colorado e nella prigione di Sing Sing di New York, nel Mississippi, nel New Jersey, in Pennsylvania e nello stato di Washington. Nel 1909, Madre Cabrini divenne cittadina naturalizzata americana. L’anno seguente, sapendo che la sua salute si stava indebolendo, annunciò la sua decisione di rassegnare le dimissioni da superiora generale dell’ordine e di dedicarsi esclusivamente alla preghiera. Ma le case delle suore missionarie votarono all’unanimità a favore della sua permanenza. Alla luce di questi risultati, il cardinale prefetto della Congregazione dei religiosi in Vaticano le disse scherzosamente: «Madre Cabrini, nonostante fino a oggi abbia governato male il suo istituto, ho deciso di darle un’altra occasione. Rimarrà superiora generale». La fondatrice non si fece intimorire. «Beh, l’avverto che sarò severa come in passato» rispose.
Morì il 22 dicembre 1917 al Columbus Hospital di Chicago. Dopo un periodo insolitamente breve di 21 anni, Papa Pio XI la proclamò beata. Pio XII la canonizzò nel 1946 e la designò, nel 1950, «patrona degli immigranti».
In un punto del romanzo The last hurrah di Edwin O’Connor, sulla politica e le sue manovre, Frank Skeffington, sindaco e politico brillante e spregiudicato, ha un problema da risolvere. Bisogna erigere una statua in un quartiere italiano, ma ci sono opinioni diverse riguardo a chi si debba scegliere. La soluzione di Skeffington è: madre Cabrini. Egli spiega: «Nata in Italia, prima santa americana. Vediamo un po’ chi ci trova da ridire. Il primo uomo, donna, bambino o monsignore che obietta sarà cacciato dalla città a sassate». Per un politico come Skeffington, onorare madre Cabrini può essere stata magari soltanto un’idea brillante, ma per altri è il riconoscimento meritato nei confronti di una donna coraggiosa che serviva il suo popolo, il suo Paese adottivo e il suo Dio, e li serviva tutti molto bene.
L'Osservatore Romano