giovedì 7 agosto 2014

Attualità feconda


L'attualità feconda di Edith Stein

Il 9 agosto la Chiesa ricorda la Compatrona d'Europa, vittima della persecuzione nazista.


Una personalità che porta nella sua intensa vita una sintesi drammatica del nostro secolo, una sintesi ricca di ferite profonde che ancora sanguinano; è Edith Stein, donna, filosofa, santa monaca carmelitana col nome di Suor Teresa Benedetta della Croce, vittima della persecuzione nazista. Mi piace ricordarla associandola alla giornata di preghiera per i cristiani vittime di persecuzione indetta dalla Conferenza episcopale italiana per il prossimo 15 agosto.
Perché “noi non possiamo tacere, in particolare di fronte ad una nostra Europa, distratta e indifferente, cieca e muta davanti alle persecuzioni di cui oggi sono vittime centinaia di migliaia di cristiani”. Così la nota della Conferenza episcopale italiana. “Un autentico Calvario accomuna i battezzati in Paesi come Iraq e Nigeria, dove sono marchiati per la loro fede e fatti oggetto di attacchi continui da parte di gruppi terroristici; scacciati dalle loro case ed esposti a minacce, vessazioni e violenze, conoscono l’umiliazione gratuita dell’emarginazione e dell’esilio fino all’uccisione.”
In questo conteso, allora, credo sia doveroso come cittadini europei guardare alla nostra grande compatrona d’Europa, la cui memoria liturgica la Chiesa Cattolica celebra il 9 agosto, perché la santa martire Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, è una santa il cui messaggio è quanto mai attuale nel nostro scenario socio-politico. Ne tratteggio un breve profilo: nata a Breslau nel 1891, di origine ebraica, studia filosofia e psicologia, si laurea con Husserl e diventa la sua assistente; convertitasi al cattolicesimo nel 1922, scrive numerosi saggi filosofici e tiene conferenze sul problema femminile. Nel 1934 veste l’abito carmelitano (si chiamerà suor Teresa Benedetta della Croce) e si occupa di mistica. Muore, offrendo la sua vita per il popolo ebreo, nella shoah ad Auschwitz nel 1942.
Penso che siano almeno tre i motivi di attualità, uno strettamente legato all’altro, del pensiero e della vita steiniana per la costruzione della nuova Europa: la passione per la verità che la conduce ad un nuovo concetto di persona, l’impegno nella storia, la teologia della donna.
Nella nostra società la ricerca della verità sembra intiepidita ad opera, da una parte, di un pensiero filosofico che si definisce da sé “debole”, dall’altra da presunte verità integraliste che fomentano fanatismo, intolleranza, violenza.
Il cuore della vita di Edith Stein si può invece individuare nella “passione per la verità”, secondo le sue stesse parole. Ella vive questa passione sia nel tempo della sua ricerca filosofica, quando ancora non è cristiana, sia nel tempo della fede, quando non smette di indagare amorosamente su quella Verità che l’ha afferrata.
Per Edith Stein la “passione per la verità” include una disposizione ad “assumere il differente” e da questa disposizione sgorga il nuovo concetto di persona, che non può essere costruito unicamente a partire dall’essere, e nemmeno a partire dalla conoscenza, ma piuttosto, essenzialmente in base alla relazione. E la prima relazione è quella con Dio: “E’ impossibile elaborare una compiuta dottrina della persona, senza impegnarsi nelle questioni concernenti Dio”.
E’ stato più volte ribadito recentemente dalla Chiesa: il cardine filosofico-teologico su cui si basa il futuro dell’Europa è il concetto di persona e il suo carattere trascendente. Nel suo recente articolo, "Rilettura del discorso di Paolo VI all’Onu - Il messaggero di Kafka", pubblicato su “L’Osservatore Romano”, mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, domanda all’umanità di oggi: "Può davvero e onestamente l’uomo moderno nutrire la convinzione che Dio rappresenti per noi una alienazione? Che solo senza Dio sia possibile questa pienezza di libertà e di responsabilità che consentirebbe di intraprendere con successo la costruzione del mondo e della storia?".
In una società senza Dio l’essere umano è o particella di materia (pensiamo alle manipolazioni sulla vita in atto oggi), o è cittadino anonimo della città umana (pensiamo alle varie ideologie e alle città umane che queste ideologie hanno cercato, fallendo tragicamente, di costruire).
Edith Stein non solo teorizza questo primato della relazionalità della persona, ma lo vive continuamente in forza di quella capacità di “empatia”, parola a lei cara, che consente in certa misura di fare proprio il vissuto altrui: durante la prima guerra mondiale, giovane universitaria, decide di lasciare tutto per partire per l’ospedale militare come crocerossina, nonostante la forte avversione della madre alla quale si deve opporre duramente. Gli interessi storici comunitari prevalgono sull’atteggiamento protezionista della madre, perché per Edith non è “l’Io” che regge il destino dei popoli, ma è “il Noi” della causa comune.
Nel leggere la storia comprende che questa non può essere solo un guardare al passato immortalato nelle pagine dei libri, ma è partecipare attivamente, nel presente, ai fatti politici, alla storia che si sta costruendo.
Così anche le rivendicazioni del movimento femminista la sollecitano ad una risposta che lei offre con la sua teologia della donna. Intuendo nella psicologia femminile una peculiare vicinanza alla vita, specialmente laddove essa ha bisogno di essere accolta e difesa, E. Stein ribadisce la centralità del femminile per la salvezza.
“Le donne cattoliche hanno il loro sostegno nella Chiesa, la quale ha bisogno delle loro forze. La Chiesa ha bisogno di noi, cioè il Signore ha bisogno di noi”. Certa che nel pensare e nell’operare umano fosse necessaria la fusione dei principi maschile e femminile, poiché “fra meno che due non c’è democrazia”, aveva auspicato che il Magistero ecclesiastico prendesse posizione nei confronti della questione femminile.
Dalla teologia steiniana emerge come la donna con la quale Dio pone l’inimicizia del serpente non è solo Maria, ma già la prima donna, come madre di tutti i viventi, ed Eva se ne rende conto quando riconosce: “Dio mi ha dato un figlio”.  
A tutte le donne, allora, è affidato come compito la lotta contro il male: infatti la salvezza entra nella storia attraverso Maria che genera il Figlio di Dio e questa disponibilità alla corredenzione matura nella esistenza di Edith Stein fino al momento del dono totale.
Storicamente, ella è già, fin dai primi anni trenta, consapevole della sua tragica fine sotto il regime nazista. Ma la sua ricerca della verità, verità dell’Altro e degli altri (empatia), la porta all’offerta totale della sua vita, perché questa non le venga tolta, ma anche lei, come Cristo, dia liberamente la propria vita per amore.
Nel 1942 muore nell’Olocausto: nel documento della Congregazione per le cause dei Santi si legge: “Non soltanto lei interpretò e intuì con occhio di fede gli eventi, ma visse nella sua propria carne il dramma umano-etnico-religioso del momento con totale abbandono ai disegni di Dio. Tutta la vocazione carmelitana della Serva di Dio dice la sua speranza straordinaria, cioè la sua inconcussa fiducia nella validità del piano di Dio su di lei e sull’umanità”.
Per la costruzione della nuova Europa, sulla quale oggi come allora si addensano nubi di intolleranza e di violenza, Edith Stein chiama donne ed uomini ad operare con la consapevolezza del grandissimo valore delle nostre radici cristiane, che sono il nostro grembo, e con la fecondità di un amore solidale, dono generoso, seme di perdono e di riconciliazione. 
A. Rotundo