mercoledì 27 agosto 2014

La ciliegina senza torta



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di Costanza Miriano
A lungo ho pensato di essere, se non l’unica, almeno la più squinternata creatura nei dintorni. Probabilmente devono avermi spinto in questa direzione alcuni tratti diciamo eccentrici del mio carattere, per quanto io rivendichi una certa dignità persino al cappottino modello orsetto maculato (base peluche celeste, macchie nere, comprato per corrispondenza su Grazia. E secondo me non è stata mica la cosa peggiore che si è vista in giro negli anni ’80).
Adesso, privilegi dell’età adulta, mi accorgo almeno che non sono sola, perché si sa che visto da vicino nessuno è normale. Ognuno di noi, oltre alla sua speciale e unica bellezza ha la sua, chiamiamola come vogliamo, stranezza, idiosincrasia, nevrosi, baco, difetto di funzionamento e via dicendo. Il punto è saperlo, e diffidare di noi stessi, o meglio, non confidare totalmente.
Sulla teoria, almeno noi cristiani siamo tutti preparati. Maledetto l’uomo che confida nell’uomo… senza di me non potete far nulla… e via citando. Le cose le sappiamo. Il punto è ascoltarle seriamente.
Ascoltare. Ascoltare Dio. Smettere di ascoltare noi stessi. Noi diciamo, a volte crediamo onestamente, di ascoltare Dio, ma io non so quanto sia vero, e lo dico prima di tutto per me stessa.
Vedo chiarissimo il rischio di cercare di sistemarmelo un po’, questo Dio, di aggiustarmelo come pare a me, in modo che non mi scomodi proprio tutta quanta. Di fare una sintesi che tenga insieme tutte le cose che voglio, almeno quelle che non posso proprio mollare. Una sintesi magari barcollante, forse squinternata, ma che più o meno mi permetta di andare avanti, caracollando, cigolando forse, ma reggendo.
Sopra questa sintesi, che quasi tutti cerchiamo di fare, noi vorremmo mettere Gesù, là sopra, in cima a decorare, come la ciliegina che sta sulla torta. Gesù invece è la torta, e se glielo permettiamo lui può cambiare tutto il nostro accrocco tenuto faticosamente insieme.
La cosa più allarmante è quando chiamiamo Dio il nostro mondo sghimbescio che ci siamo costruiti, magari con anche tutte le devozioni, le pratiche, le abitudini intoccabili. Tutte cose che con Dio non c’entrano niente, ma che ci fanno sentire decentemente rassicurati. Perché certo, cambiare è faticoso, ma non cambiare lo è ancora di più: bisogna tenere insieme tanti bagagli, cose che pesano (oggi peraltro ho raggiunto il record di peso andando al lavoro: entrando in macchina ho temuto che qualcuno non mi facesse passare col bagaglio a mano. E se una volta si materializza una hostess e me lo fa imbarcare?). Per non cambiare bisogna continuare a fidarsi delle proprie sensazioni e previsioni, che peraltro sono quasi sempre sbagliate, come diceva Quelo.
D’altra parte io mi metto sempre in allarme quando sento qualcuno, qualcuna più spesso, che dice “no, guarda, fidati, io per queste cose ho un intuito, un sesto senso… ci prendo sempre”. Il mondo è pieno di veggenti. Pochissimi quelli dotati dell’udito.
Se si accetta di partire per Dio, lui sostiene da dentro. Infatti i martiri sono morti nella pace, non perché fossero stoici, ma perché il Signore dà un cuore sereno anche nella fatica. Certo, magari la paura viene, quando abbiamo la sensazione che Dio chieda di fare un passo avanti. Ma è possibile buttarsi, se dall’altra parte c’è lui. Insomma, non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo. Come? Ah… L’hanno già detto? Va be’, la prossima volta copio da uno meno famoso.