venerdì 29 agosto 2014

Tornare a Cristo per dialogare con l'islam

La mezzaluna e la croce

di Piero Gheddo

Le atrocità del “Califfato islamico” in Iraq e Siria hanno scosso l’Occidente, che nella sua crisi politico-economica-religioso-morale diventa sempre più indifferente a quanto succede in paesi a noi vicini e alle migliaia di profughi disperati (circa 100.000 dall’inizio dell’anno) che la nostra Italia accoglie. Da quando il nascente Isis (Califfato islamico del Levante e dell’Oriente) conquista  in Siria e Iraq una vasta base territoriale,  affermandosi con violenze orrende e demoniache contro chi non si converte all’islam sunnita, costringendo Stati Uniti e alcuni paesi europei ad intervenire, pare che l’opinione pubblica occidentale prenda coscienza di quanto odio animi quei fantasmi da incubo che sventolano una bandiera nera; odio non solo anti-cristiano, ma contro l’Occidente e il nostro modo di vivere, che vedono come nemico mortale dell’islam, perché distrugge i fondamenti della religione coranica: sviluppo economico-liberale e benessere, democrazia e diritti dell’uomo e della donna, scienze e tecniche, alfabetizzazione universale, libertà di stampa e di costumi, ecc.
La civiltà islamica è fondata sull’obbedienza a Dio (naturalmente il Dio dell’islam), quella occidentale sull’uomo che si costruisce il futuro con la sua ragione, la sua libertà, i suoi diritti. La nostra civiltà, che ha profonde radici cristiane, crede di poter fare a meno di Dio. Islam vuol dire dipendenza da Dio, l’Occidente  significa per quei popoli sviluppo umano senza Dio: laicismo, ateismo pratico, “morale laica” (cioè, la “morale fai da te”), il primato assoluto della coscienza individuale che ignora Dio e Gesù Cristo, ecc.
Se questa analisi molto sommaria è esatta o almeno plausibile, ci indica anche come affrontare le minacce dell’islam radicale all’Occidente ed essere fratelli dei popoli islamici, in grande maggioranza contrari alle violenze del Califfato, che però si stanno diffondendo non solo nel Medio Oriente, ma in Nigeria, Repubblica centro-africana, Mali, Libia, Sudan, Mauritania, e minaccia i governi dell’Egitto e dell’Algeria).
La storia recente ci dimostra alcune cose:
     1)  la guerra non risolve nulla, anzi peggiora la situazione (vedi le due guerre in Iraq); chi si augura una nuova Crociata e una nuova Lepanto non tiene conto del miliardo e 300 milioni di islamici, che se attaccati ritornano uniti contro l’Occidente;
      2)  la riforma dell’islam verrà dalla formazione dei popoli islamici attraverso la scuola e la libertà di ricerca storico-critica delle fonti islamiche, per contestualizzare il Corano e Maometto al mondo moderno, come avviene nella Chiesa attraverso i Concili e il succedersi dei 265 Papi che la guidano;
     3) L’Occidente può aiutare questo processo di maturazione con l’aiuto ai profughi e ai perseguitati, il dialogo con i musulmani “moderati” e i musulmani in Occidente, il rispetto della verità nel descrivere le atrocità dei guerriglieri e terroristi islamici, denunziando la radice coranica e storica dell’islam, come lo sterminio degli ebrei è attribuito all’ideologia razzista dei nazisti. Il dialogo senza il rispetto della verità storica diventa una finzione ipocrita che non serve e non convince nessuno.
      4) Soprattutto, se l’Occidente vuol dialogare e affrontare la sfida dell’islam, deve ritornare  Cristo. La civiltà che abbiamo fondato noi cristiani, oggi non accontenta nessuno, nemmeno i nostri popoli che l’hanno iniziata. È una civiltà senz’anima, senza speranza, senza bambini e senza gioia, di cui sono segno i troppi fallimenti di una società senza Dio. Non si è ancora capito che i Dieci Comandamenti e il Vangelo sono gli orientamenti che Dio ha dato, a noi uomini da lui creati, per vivere una vita che porti alla serenità, alla fraternità e solidarietà, all’autentico sviluppo, alla giustizia e alla pace (vedi la sintesi nella “Populorum Progressio”). Se l’Occidente non ricupera le sue “radici cristiane” e le mette a fondamento della sua vita e della sua cultura, rimane solo la guerra e l’autodistruzione dei nostri popoli.