sabato 27 settembre 2014

Beatificazione di Álvaro del Portillo: Lettera del Papa e Omelia (ESP.)

Opus Dei - 27 de septiembre: homilía de la Misa de beatificación

Lettera di Papa Francesco in occasione della beatificazione di Álvaro del Portillo

Le parole che ha rivolto Papa Francesco a mons. Javier Echevarría, Prelato dell’ Opus Dei, in occasione della beatificazione di Álvaro del Portillo
Lettera di Papa Francesco a mons. Javier Echevarría, Prelato dell’ Opus Dei, in occasione della beatificazione di Álvaro del Portillo
Caro fratello:
La beatificazione del servo di Dio Álvaro del Portillo, collaboratore fedele e primo successore di san Josemaría Escrivá alla guida dell'Opus Dei, è un momento di gioia speciale per tutti i fedeli della Prelatura, come pure per te, che sei stato così a lungo testimone del suo amore a Dio e agli altri, della sua fedeltà alla Chiesa e alla propria vocazione. Desidero unirmi anch'io alla vostra gioia e rendere grazie a Dio che adorna il volto della Chiesa con la santità dei suoi figli.
La sua beatificazione avverrà a Madrid, la città in cui nacque e in cui trascorse l'infanzia e la giovinezza, con un'esistenza forgiata nella semplicità della vita famigliare, nell'amicizia e nel servizio agli altri, come quando si recava nei quartieri estremi per collaborare alla formazione umana e cristiana di tante persone bisognose. Lì, soprattutto, ebbe luogo l'evento che segnò definitivamente l'indirizzo della sua vita: l'incontro con san Josemaría Escrivá, dal quale imparò a innamorarsi di Cristo ogni giorno di più. Sì, innamorarsi di Cristo. Questo è il cammino di santità che deve percorrere ogni cristiano: lasciarsi amare dal Signore, aprire il cuore al suo amore e permettere che sia lui a guidare la nostra vita.
Mi piace ricordare la giaculatoria che il servo di Dio era solito ripetere, specialmente nelle feste e negli anniversari personali: «grazie, perdono, aiutami di più!». Sono parole che ci avvicinano alla realtà della sua vita interiore e del suo rapporto con il Signore e che possono, inoltre, aiutarci a dare nuovo slancio alla nostra vita cristiana.
Anzitutto, grazie. È la reazione immediata e spontanea che prova l'anima dinanzi alla bontà di Dio. Non può essere altrimenti. Egli ci precede sempre. Per quanto ci sforziamo, il suo amore giunge sempre prima, ci tocca e ci accarezza per primo, è primo sempre. Álvaro del Portillo era consapevole dei tanti doni che Dio gli aveva concesso e lo ringraziava per quella dimostrazione di amore paterno. Però, non si fermò lì; il riconoscimento dell'amore del Signore risvegliò nel suo cuore desideri di seguirlo con maggiore dedizione e generosità e di vivere una vita di umile servizio agli altri. Era notorio il suo amore per la Chiesa, sposa di Cristo, che servì con un cuore spoglio di interessi mondani, alieno alla discordia, accogliente con tutti e sempre alla ricerca del buono negli altri, di ciò che unisce, che edifica. Mai un lamento o una critica, nemmeno in momenti particolarmente difficili, piuttosto, come aveva imparato da san Josemaría, rispondeva sempre con la preghiera, il perdono, la comprensione, la carità sincera.
Perdono. Confessava spesso di vedersi davanti a Dio con le mani vuote, incapace di rispondere a tanta generosità. Peraltro, la confessione della povertà umana non è frutto della disperazione, ma di un fiducioso abbandono in Dio che è Padre. È aprirsi alla sua misericordia, al suo amore capace di rigenerare la nostra vita. Un amore che non umilia, non fa sprofondare nell'abisso della colpa, ma ci abbraccia, ci solleva dalla nostra prostrazione e ci fa camminare con più decisione e allegria. Il servo di Dio Álvaro conosceva bene il bisogno che abbiamo della misericordia divina e spese molte energie per incoraggiare le persone con cui entrava in contatto ad accostarsi al sacramento della confessione, sacramento della gioia. Com'è importante sentire la tenerezza dell'amore di Dio e scoprire che c'è ancora tempo per amare.
Aiutami di più. Sì, il Signore non ci abbandona mai, ci sta sempre accanto, cammina con noi e ogni giorno attende da noi un amore nuovo. La sua grazia non ci verrà a mancare e con il suo aiuto possiamo portare il suo nome in tutto il mondo. Nel cuore del nuovo beato pulsava l'anelito di portare la Buona Novella a tutti i cuori. Percorse così molti Paesi dando impulso a progetti di evangelizzazione, senza preoccuparsi delle difficoltà, spronato dal suo amore a Dio e ai fratelli. Chi è profondamente immerso in Dio sa stare molto vicino agli uomini. La prima condizione per annunciare loro Cristo è amarli, perché Cristo li ama già prima. Dobbiamo uscire dai nostri egoismi e dai nostri comodi e andare incontro ai nostri fratelli. Lì ci attende il Signore. Non possiamo tenere la fede per noi stessi, è un dono che abbiamo ricevuto per donarlo e condividerlo con gli altri.
Grazie, perdono, aiutami! In queste parole si esprime la tensione di una vita centrata in Dio. Di chi è stato toccato dall'Amore più grande e di quell'amore vive totalmente. Di chi, pur avendo l'esperienza delle debolezze e dei limiti umani, confida nella misericordia del Signore e vuole che tutti gli uomini, suoi fratelli, ne facciano anch'essi l'esperienza.
Caro fratello, il beato Álvaro del Portillo ci invia un messaggio molto chiaro, ci dice di fidarci del Signore, che egli è il nostro fratello, il nostro amico che non ci defrauda mai e che sta sempre al nostro fianco. Ci incoraggia a non temere di andare controcorrente e di soffrire per l'annuncio del Vangelo. Ci insegna infine che nella semplicità e nella quotidianità della nostra vita possiamo trovare un cammino sicuro di santità.
Chiedo, per favore, a tutti i fedeli della Prelatura, sacerdoti e laici, e a tutti i partecipanti alle vostre attività, di pregare per me, mentre impartisco la Benedizione Apostolica.
Gesù vi benedica e la Santa Vergine vi protegga.
Fraternamente,
Francesco
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A Madrid è stato beatificato Álvaro del Portillo. Tra un grazie e un perdono

«Grazie, perdono, aiutami di più!». Nella giaculatoria più cara ad Álvaro del Portillo, beatificato a Madrid sabato mattina 27 settembre, si riconosce «la tensione di una vita centrata in Dio» e «che può aiutare anche noi a dare nuovo slancio alla nostra vita cristiana». Con queste parole Papa Francesco si è voluto unire spiritualmente alla celebrazione per la beatificazione presieduta dall’arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Per l’occasione, infatti, il Pontefice ha inviato una lettera al vescovo Javier Echevarría Rodríguez, prelato dell’Opus Dei.Riproponendo l’attualità della testimonianza del beato, il Papa ha affermato che, in fondo, è lo stesso «cammino di santità che deve percorrere ogni cristiano: lasciarsi amare dal Signore, aprire il cuore al suo amore e permettere che sia lui a guidare la nostra vita». E così proprio le tre parole della giaculatoria «ci avvicinano alla realtà della sua vita interiore e del suo rapporto con il Signore».
Il nuovo beato, ha fatto notare il Papa, non si era fermato al «grazie» davanti a Dio ma proprio «il riconoscimento dell’amore del Signore» lo aveva portato a una vita più generosa nel servizio agli altri. E «con un cuore spoglio di interessi mondani, alieno alla discordia, accogliente con tutti e sempre alla ricerca del buono negli altri, di ciò che unisce, edifica. Mai un lamento o una critica — ha rilevato il Pontefice — nemmeno in momenti particolarmente difficili»; piuttosto, come aveva imparato da san Josemaría Escrivá de Balaguer, «rispondeva sempre con la preghiera, il perdono, la comprensione, la carità sincera».
Inoltre, ha scritto Francesco, il prelato «conosceva bene il bisogno che abbiamo della misericordia divina e spese molte energie per incoraggiare le persone con cui entrava in contatto ad accostarsi al sacramento della confessione».
Il Papa ha poi ricordato i grandi progetti di evangelizzazione promossi in molti Paesi, nella consapevolezza che «la prima condizione per annunciare Cristo agli uomini è amarli, perché Cristo li ama già prima». Del Portillo dunque, secondo Francesco, ci fa presente che «non possiamo tenere la fede per noi stessi: è un dono che abbiamo ricevuto per donarlo e condividerlo con gli altri». Il messaggio del beato è di fidarci del Signore, senza «paura di andare controcorrente e di soffrire per l’annuncio del Vangelo». Egli «ci insegna che nella semplicità e nella quotidianità della nostra vita possiamo trovare un cammino sicuro di santità».
Nell’omelia della celebrazione di beatificazione, il cardinale Amato ha ricordato che oggi più che mai il mondo ha bisogno di «un’ecologia della santità per contrastare l’inquinamento del malcostume e della corruzione». E tracciando il profilo spirituale del nuovo beato, il cardinale ne ha evidenziato soprattutto l’umiltà vissuta «in modo straordinario», perché da lui ritenuta «uno strumento indispensabile di santità e di apostolato».
Egli, ha aggiunto il cardinale, ha speso la propria esistenza nell’«imitazione e identificazione con Cristo mite e umile di cuore». E numerosi sono gli episodi e i testimoni che confermano l’esercizio eroico di questa virtù. In particolare, ha rilevato, il prelato era stato contagiato «dall’atteggiamento del Signore Gesù, che non era venuto per essere servito ma per servire».
Il cardinale Amato ha quindi evidenziato che il nuovo beato univa «alla squisitezza del tratto un’eccezionale ricchezza spirituale, nella quale dominava la grazia dell’unità tra vita interiore e instancabile apostolato». Ne troviamo conferma nelle parole dello scrittore Salvador Bernal, quando afferma che egli trasformava in poesia l’umile prosa del lavoro quotidiano.
«Era esempio vivente — ha commentato il porporato — di fedeltà al Vangelo, alla Chiesa, al magistero del Papa. Trovandosi nella basilica di San Pietro, a Roma, era solito recitare il Credo presso la tomba dell’Apostolo e una Salve Regina davanti all’immagine di Maria, Mater Ecclesiae». Rifuggendo dai personalismi, «comunicava la verità del Vangelo e l’integrità della tradizione», non i propri pareri personali.
Altri aspetti della vita spirituale del beato evocati dal cardinale Amato sono stati la pietà eucaristica, la devozione mariana e la venerazione dei santi. Anche in questo è l’attualità del messaggio di Álvaro del Portillo, «operoso ministro della Chiesa» che ha lasciato l’invito a vivere «una santità amabile, misericordiosa, gentile, mite e umile».
L'Osservatore Romano

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27 de septiembre: homilía de la Misa de beatificación

Ofrecemos el texto de la homilía preparada por el cardenal Angelo Amato para la ceremonia de beatificación de Álvaro del Portillo
1. «Pastor según el corazón de Cristo, celoso ministro de la Iglesia»[1]. Este es el retrato que el Papa Francisco ofrece del Beato Álvaro del Portillo, pastor bueno, que, como Jesús, conoce y ama a sus ovejas, conduce al redil las que se han perdido, venda las heridas de las enfermas y ofrece la vida por ellas[2].
El nuevo Beato fue llamado desde joven a seguir a Cristo, para ser después un diligente ministro de la Iglesia y proclamar en todo el mundo la gloriosa riqueza de su misterio salvífico: «Nosotros anunciamos a ese Cristo; amonestamos a todos, enseñamos a todos, con todos los recursos de la sabiduría, para presentarlos a todos perfectos en Cristo. Por este motivo lucho denodadamente con su fuerza, que actúa poderosamente en mí»[3]. Y este anuncio de Cristo Salvador lo realizó con absoluta fidelidad a la cruz y, al mismo tiempo, con una ejemplar alegría evangélica en las dificultades. Por eso, la Liturgia le aplica hoy las palabras del Apóstol: «Ahora me alegro de mis sufrimientos por vosotros: así completo en mi carne lo que falta a los padecimientos de Cristo, en favor de su cuerpo que es la Iglesia»[4].
La serena felicidad ante el dolor y el sufrimiento, es una característica de los Santos. Por lo demás, las bienaventuranzas –también aquellas más arduas como las persecuciones– no son sino un himno a la alegría.
2. Son muchas las virtudes –como la fe, la esperanza y la caridad– que el Beato Álvaro vivió de modo heroico. Practicó estos hábitos virtuosos a la luz de las bienaventuranzas de la mansedumbre, de la misericordia, de la pureza de corazón. Los testimonios son unánimes. Además de destacar por la total sintonía espiritual y apostólica con el santo Fundador, se distinguió también como una figura de gran humanidad.
Los testigos afirman que, desde niño, Álvaro era un «un chico de carácter muy alegre y muy estudioso, que nunca dio problemas»; «era cariñoso, sencillo, alegre, responsable, bueno...»[5].
Heredó de su madre, doña Clementina, una serenidad proverbial, la delicadeza, la sonrisa, la comprensión, el hablar bien de los demás y la ponderación al juzgar. Era un auténtico caballero. No era locuaz. Su formación como ingeniero le confirió rigor mental, concisión y precisión para ir en seguida al núcleo de los problemas y resolverlos. Inspiraba respeto y admiración.
3. Su delicadeza en el trato iba unida a una riqueza espiritual excepcional, en la que destacaba la gracia de la unidad entre vida interior y afán apostólico infatigable. El escritor Salvador Bernal afirma que transformó en poesía la prosa humilde del trabajo diario.
Era un ejemplo vivo de fidelidad al Evangelio, a la Iglesia, al Magisterio del Papa. Siempre que acudía a la basílica de San Pedro en Roma, solía recitar el Credo ante la tumba del Apóstol y una Salve ante la imagen de Santa María, Mater Ecclesiae.
Huía de todo personalismo, porque transmitía la verdad del Evangelio y la integridad de la tradición, no sus propias opiniones. La piedad eucarística, la devoción mariana y la veneración por los Santos nutrían su vida espiritual. Mantenía viva la presencia de Dios con frecuentes jaculatorias y oraciones vocales. Entre las más habituales estaban: Cor Iesu Sacratissimum et Misericors, dona nobis pacem!, y Cor Mariae Dulcissimum, iter para tutum; así como la invocación mariana: Santa María, Esperanza nuestra, Esclava del Señor, Asiento de la Sabiduría.
4. Un momento decisivo de su vida fue la llamada al Opus Dei. A los 21 (veintiún) años, en 1935 (mil novecientos treinta y cinco), después de encontrar a San Josemaría Escrivá de Balaguer –que entonces era un joven sacerdote de 33 (treinta y tres) años–, respondió generosamente a la llamada del Señor a la santidad y al apostolado.
Tenía un profundo sentido de comunión filial, afectiva y efectiva con el Santo Padre. Acogía su magisterio con gratitud y lo daba a conocer a todos los fieles del Opus Dei. En los últimos años de su vida, besaba a menudo el anillo de Prelado que le había regalado el Papa para reafirmarse en su plena adhesión a los deseos del Romano Pontífice. En particular, secundaba sus peticiones de oración y ayuno por la paz, por la unidad de los cristianos, por la evangelización de Europa.
Destacaba por la prudencia y rectitud al valorar los sucesos y las personas; la justicia para respetar el honor y la libertad de los demás; la fortaleza para resistir las contrariedades físicas o morales; la templanza, vivida como sobriedad, mortificación interior y exterior. El Beato Álvaro transmitía el buen olor de Cristo –bonus odor Christi[6], que es el aroma de la auténtica santidad.
5. Sin embargo, hay una virtud que Monseñor Álvaro del Portillo vivió de modo especialmente extraordinario, considerándola un instrumento indispensable para la santidad y el apostolado: la virtud de la humildad, que es imitación e identificación con Cristo, manso y humilde de corazón[7]. Amaba la vida oculta de Jesús y no despreciaba los gestos sencillos de devoción popular, como, por ejemplo, subir de rodillas la Scala Santa en Roma. A un fiel de la Prelatura, que había visitado ese mismo lugar pero que había subido a pie la Scala Santa, porque –así se lo comentó– se consideraba un cristiano maduro y bien formado, el Beato Álvaro le respondió con una sonrisa, y añadió que él la había subido de rodillas, a pesar de que el ambiente estaba algo cargado por la multitud de personas y la escasa ventilación[8]. Fue una gran lección de sencillez y de piedad.
Monseñor del Portillo estaba, de hecho, beneficiosamente “contagiado” por el comportamiento de Nuestro Señor Jesucristo, que no vino a ser servido, sino a servir[9]. Por eso, rezaba y meditaba con frecuencia el himno eucarístico Adoro Te devote, latens deitas. Del mismo modo, consideraba la vida de María, la humilde esclava del Señor. A veces recordaba una frase de Cervantes, de lasNovelas Ejemplares: «sin humildad, no hay virtud que lo sea»[10]. Y a menudo recitaba una jaculatoria frecuente entre los fieles de la Obra: «Cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies»[11]; no despreciarás, oh Dios, un corazón contrito y humillado.
Para él, como para San Agustín, la humildad era el hogar de la caridad[12]. Repetía un consejo que solía dar el Fundador del Opus Dei, citando unas palabras de San José de Calasanz: «Si quieres ser santo, sé humilde; si quieres ser más santo, sé más humilde; si quieres ser muy santo, sé muy humilde»[13]. Tampoco olvidaba que un burro fue el trono de Jesús en la entrada a Jerusalén. Incluso sus compañeros de estudios, además de destacar su extraordinaria inteligencia, subrayan su sencillez, la inocencia serena de quien no se considera mejor que los demás. Pensaba que su peor enemigo era la soberbia. Un testigo asegura que era “la humildad en persona”[14].
Su humildad no era áspera, llamativa, exasperada; sino cariñosa, alegre. Su alegría derivaba de la convicción de su escasa valía personal. A principios de 1994, el último año de su vida en la tierra, en una reunión con sus hijas, dijo: «os lo digo a vosotras, y me lo digo a mí mismo. Tenemos que luchar toda la vida para llegar a ser humildes. Tenemos la escuela maravillosa de humildad del Señor, de la Santísima Virgen y de San José. Vamos a aprender. Vamos a luchar contra el proprio yo que está costantemente alzándose como una víbora, para morder. Pero estamos seguros si estamos cerca de Jesús, que es del linaje de María, y es el que aplastará la cabeza de la serpiente»[15].
Para don Álvaro, la humildad era «la llave que abre la puerta para entrar en la casa de la santidad», mientras que la soberbia constituía el mayor obstáculo para ver y amar a Dios. Decía: «la humildad nos arranca la careta de cartón, ridícula, que llevan las personas presuntuosas, pagadas de sí mismas»[16]. La humildad es el reconocimiento de nuestras limitaciones, pero también de nuestra dignidad de hijos de Dios. El mejor elogio de su humildad lo expresó una mujer del Opus Dei, después del fallecimiento del Fundador: «el que ha muerto ha sido don Álvaro, porque nuestro Padre sigue vivo en su sucesor»[17].
Un cardenal atestigua que cuando leyó sobre la humildad en la Regla de San Benito o en losEjercicios Espirituales de San Ignacio de Loyola, le parecía contemplar un ideal altísimo, pero inalcanzable para el ser humano. Pero cuando conoció y trató al Beato Álvaro entendió que era posible vivir la humildad de modo total.
6. Se pueden aplicar al Beato las palabras que el Cardenal Ratzinger pronunció en 2002, con ocasión de la canonización del Fundador del Opus Dei. Hablando de la virtud heroica, el entonces Prefecto de la Congregación para la Doctrina de la Fe dijo: «Virtud heroica no significa exactamente que uno ha llevado a cabo grandes cosas por sí mismo, sino que en su vida aparecen realidades que no ha hecho él, porque él se ha mostrado transparente y disponible para que Dios actuara [...]. Esto es la santidad»[18].
Este es el mensaje que nos entrega hoy el Beato Álvaro del Portillo, «pastor según el corazón de Jesús, celoso ministro de la Iglesia»[19]. Nos invita a ser santos como él, viviendo una santidad amable, misericordiosa, afable, mansa y humilde.
La Iglesia y el mundo necesitan del gran espectáculo de la santidad, para purificar, con su aroma agradable, los miasmas de los muchos vicios alardeados con arrogante insistencia.
Ahora más que nunca necesitamos una ecología de la santidad, para contrarrestar la contaminación de la inmoralidad y de la corrupción. Los santos nos invitan a introducir en el seno de la Iglesia y de la sociedad el aire puro de la gracia de Dios, que renueva la faz de la tierra.
Que María Auxiliadora de los Cristianos y Madre de los Santos, nos ayude y nos proteja.
Beato Álvaro del Portillo, ruega por nosotros.Amén.

[1]Francisco, Breve Apostólico de Beatificación del Venerable Siervo de Dios Álvaro del Portillo, Obispo, Prelado del Opus Dei, 27-IX-2014.
[2] Cfr. Ez 34, 11-16; Jn 10,11-16.
[3] Col 1, 28-29.
[4] Ibid., 24.
[5] Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis, 2010, vol. I, p. 27.
[6] 2 Cor 2,15.
[7] Mt 11, 29.
[8] Cfr. Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis, 2010, vol. I, p. 662.
[9]Mt 20, 28; Mc 10, 45.
[10] Miguel de Cervantes, Novelas Ejemplares: “El coloquio de los perros”. Cfr. Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis, 2010, vol. I, p. 663.
[11]Sal 51 [50], 19.
[12]San Agustín, De sancta virginitate, 51.
[13]San Josemaría Escrivá, palabras recogidas en A. Vázquez de Prada, El Fundador del Opus Dei, vol. I, Rialp, Madrid 1997, p. 18.
[14] Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis, 2010, vol. I, p. 668.
[15]Ibid., p. 675.
[16]Ibid.
[17]Ibid., p. 705.
[18]Ibid., p. 908.
[19]Francisco, Breve Apostólico de Beatificación del Venerable Siervo de Dios Álvaro del Portillo, Obispo, Prelado del Opus Dei, 27-IX-2014.
*Nota: en las citas de los textos litúrgicos se ha seguido la traducción oficial de la Conferencia Episcopal Española.
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Beatificazione di Alvaro del Portillo. Il postulatore: fu servo fedele

A Madrid sarà beatificato questo sabato il Servo di Dio mons. Alvaro del Portillo, primo successore di San Josemaria Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei. Alla celebrazione, presieduta dal prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato, si prevede la partecipazione di migliaia di persone giunte da tutto il mondo. Don Javier Medina Bayo, postulatore della Causa di beatificazione, traccia un ritratto del nuovo Beato: R. – Prima di tutto, è stato figlio in una famiglia cristiana. Erano otto fratelli di cui lui era il terzo. È stato uno studente che si impegnava molto, è stato ingegnere, e poi ha conosciuto San José Maria Escrivá, il fondatore dell’Opus Dei, e così ha scoperto la sua chiamata a santificarsi nel bel mezzo della sua strada, con il lavoro ordinario. Poi è diventato sacerdote, ha lavorato tantissimo per l’Opus Dei, ovviamente, ma anche in altri incarichi della Chiesa. Poi è stato prelato, poi vescovo e tutta la sua vita si può riassumere in questa frase della Scrittura: “E’ stato un servo buono e fedele”.
D. – Ma, fedeltà di che tipo?
R. – La fedeltà di un cristiano, un sacerdote, un uomo sposato, un uomo celibe, in primo luogo sempre è fedeltà a Dio: se non c’è fedeltà a Dio non può esserci altra fedeltà. E questa fedeltà a Dio si manifesta nella fedeltà alla propria vocazione, nella fedeltà in ogni momento della propria vita. E don Alvaro è stato così: è stato un uomo molto fedele all’Opus Dei perché è stato molto fedele a Dio e molto fedele alla Chiesa. Infatti, non si può essere fedeli all’Opus Dei o a un’istituzione della Chiesa se non si è fedeli, prima di tutto, alla Chiesa e al Papa, evidentemente.
D. – E’ vero che la massima preoccupazione di don Alvaro era quella di salvare più anime possibile?
R. – Senz’altro. Ma non era una preoccupazione “scarna”. Io sono arrivato qui a Madrid e sono rimasto veramente molto colpito, molto colpito dell’ambiente di famiglia cristiana che ho trovato tra i partecipanti alla sua Beatificazione. Sono venute persone dall’Africa, dall’Asia, dall’Europa, ovviamente dall’America… Si sa che oltre tremila famiglie hanno aperto le porte delle loro case per ricevere persone bisognose che non avrebbero avuto i soldi per pagarsi l’albergo, qua. E c’era veramente un ambiente di famiglia incredibile: se non si vede, non ci si crede. Ma questo è un ambiente che ha creato il fondatore dell’Opus Dei e don Alvaro ha saputo continuare in tutta la sua fedeltà.
D. – Secondo lei, come mai don Alvaro ha colpito così tanti cuori? Secondo lei, il segreto spirituale dov’è?
R. – Nella santità. La santità attrae. A me fa tanta pena la tristezza della gente. In questo nostro mondo, che è così opulento, purtroppo la gente soffre molto. Soffre molto perché non ha pace nel cuore. Allora, ci sono delle persone che cercano la felicità, non so, nei soldi o nel potere, o in non so che cosa, e non la trovano perché in fondo non sanno dove sta la sorgente. I Santi sono le persone che hanno trovato la sorgente della felicità. Ii Santi sono quelli che la praticano di più, per così dire. E questo attrae.
D. – Cosa può insegnare oggi don Alvaro alle persone, alle famiglie soprattutto?
R. – Insegna il messaggio dell’Opus Dei, cioè la santificazione del lavoro ordinario, dei doveri ordinari del proprio stato: questo è il messaggio fondamentale. Per le famiglie, a me fa tanto piacere constatare una cosa: sono arrivate moltissime grazie per l’intercessione di don Alvaro in questi anni, dalla sua morte fino ad oggi. Certamente, tra queste grazie ci sono tantissime – grazie a Dio! – guarigioni straordinarie, ma ci sono soprattutto anche moltissime grazie ordinarie, come ad esempio coniugi che volevano avere figli e non arrivavano: pregano don Alvaro e arriva il bambino. Ci sono tantissime grazie. Io penso che don Alvaro avesse un amore molto grande per la famiglia e questo suo amore, adesso, in Cielo, si manifesta nella sua particolare facilità a concedere le richieste che riceve in questo senso.
Radio Vaticana