lunedì 1 settembre 2014

Ma guarda chi ti salta fuori!!!



Il comunismo? «Ha fallito». La cultura politica da cui si deve ripartire? «Quella liberale, che ha difeso i diritti dell’individuo». Il gesto più rivoluzionario di questi anni? «Le dimissioni da Papa di Joseph Ratzinger». L’unica delle tre grandi culture del Novecento che è in vita oggi? «Quella cattolica, che è stata rivitalizzata da papa Francesco che si sta guadagnando consenso e attenzione di mondi lontani». Parole clamorose, perché a pronunciarle è l’ultimo dei Mohicani della vecchia sinistra italiana: Fausto Bertinotti, il leader di quella che è stata Rifondazione comunista. Un discorso-choc quello che l’ex presidente della Camera ha pronunciato a Todi il 29 agosto scorso, che in qualche modo segna il vero cambiamento epocale della politica italiana, la chiusura definitiva di quella che è stata la prima Repubblica.
Bertinotti ha raccontato che il mondo è effettivamente cambiato in modo così sorprendente da abbattere qualsiasi tentazione di nostalgia. «Noi tutti siamo con un piede in un mondo che conosciamo e con un piede in un mondo che fuoriesce totalmente dal nostro quadro di conoscenze», ha premesso l’ex leader rosso. E ha raccontato un episodio per rendere l’idea: «L’altra sera stavo con alcuni dei migliori studiosi e scienziati italiani e con qualche brivido ho sentito dire che beh, insomma, non è ormai così fuori dalla portata potere progettare un essere umano e stabilire se debba avere occhi azzurri piuttosto che scuri con una taglia piuttosto che un’altra. Insomma, grosso modo come si comprerebbe un vestito…».
Una trasformazione radicale, quindi, che secondo Bertinotti «chiede una rifondazione delle grandi visioni del mondo. La sinistra che io ho conosciuto, quella della lotta per l’eguaglianza degli uomini, quella che chiedeva ai proletari di tutto il mondo di unirsi, è finita con una sconfitta. Io appartenevo a questo mondo. Questo mondo è stato sconfitto dalla falsificazione della sua tesi (l’Unione sovietica) e da un cambiamento della scena del mondo che possiamo chiamare globalizzazione e capitalismo finanziario globale». E qui la scelta di campo che non ti saresti aspettato dall’ex segretario di Rifondazione comunista: «Io penso che la cultura liberale- che è stata attenta più di me e della mia cultura all’individuo, alla difesa dei diritti dell’individuo e della persona contro il potere economico e contro lo Stato – è oggi indispensabile per intraprendere il nuovo cammino di liberazione».
Bertinotti si è reso conto di q uel che stava dicendo: «Faccio fatica a dirlo. Ma io appartengo a una cultura che ha pensato che si potessero comprimere- almeno per un certo periodo- i diritti individuali in nome di una causa di liberazione. Abbiamo pensato che se per un certo periodo era necessario mettere la mordacchia al dissenso, eh, beh… ragazzi, c’era la rivoluzione». Ecco l’auto-accusa terribile: «La mia storia ha pensato che si potesse comprimere le libertà personali. L’intellettualità europea fra il 1945 e il 1950 è stata tutta comunista. Jean Paul Satre, Andrè Gide, Albert Camus per parlare dei francesi. In Italia tutti, proprio tutti: i registi del neorealismo, i principali cattedratici italiani, i grandi scrittori, le case editrici. Erano tutti comunisti. E adesso non mi dite per favore che non si sapeva niente di cosa accadeva in Unione Sovietica, e che bisognava attendere il 1956 o Praga!».
E anche questo è un racconto della storia di Italia che non è mai stato fatto nemmeno dai post-comunisti. Dopo questo lavacro purificatore, il nuovo battesimo bertinottiano: «Io penso che la cultura liberale ha in maniera feconda scoperto prima, poi difeso e rivalutato il diritto individuale come incomprimibile. Se io oggi dovessi riprendere il mio cammino politico vorrei mettere nel mio bagaglio oltre a quel che c’è di meglio della mia tradizione, sia pure rivisitata molto criticamente, ma soprattutto ciò che viene portato dalla tradizione liberale e da quella cattolica».
Era serata di grandi rivisitazioni, e non è sfuggito nemmeno qualcosa di più stretta attualità: nemmeno il sindacato è sfuggito al piccone di Bertinotti, che pure è stato una vita dirigente della Cgil: «ll sindacato in Italia ha subito una mutazione genetica», ha spiegato l’ex presidente della Camera. «È diventato un pezzo dello Stato sociale. Da 20 anni ormai ha smesso di avere una capacità rivendicativa autonoma, e si è messo a sedere ai tavoli di concertazione con governo e imprenditori». Bertinotti ha fatto un esempio pratico e assai illuminante dei risultati di questa scelta sindacale: «Nel 1975 i salari italiani erano i più alti di Europa. Più alti di quelli che c’erano in Germania: un operaio di Mirafiori prendeva di più di un operaio della Volskwagen, e la Fiat faceva 2 milioni di automobili. Oggi i salari italiani sono fra i più bassi di Europa. Qualcosa evidentemente non ha funzionato, e il sindacato è parte di questo qualcosa. Ha scelto sempre il male minore. Ma soprattutto ha scambiato la difesa dei lavoratori con un riconoscimento crescente del suo ruolo istituzionale. Hanno fatto meno contratti e sono andati più volte a palazzo Chigi».
E ora Cgil e compagnia sono destinati a scomparire: « Ora arriva Matteo Renzi», ha chiosato il suo intervento Bertinotti, «che ti cancella e il sindacato non ha più armi per difendersi. Perché nel frattempo sono i lavoratori a non riconoscerti più come prima. Avresti dovuto rinunciare tu al sovrappiù di permessi sindacali nel pubblico impiego, non fartelo imporre. Un sindacato così è un sindacato disarmato, che prima o poi si fa irretire nella rete del potere».
 fonte: liberoquotidiano.it (F. Bechis)

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La religione secondo il comunista Zjuganov
di Romano Scalfi
Recentemente Kirill Patriarca di Mosca e di tutta la Russia ha insignito della onorificenza ecclesiastica “Gloria e Onore” Gennadij Zjuganov, capo del partito comunista della Federazione russa. Lo ha annunciato il servizio stampa del patriarcato il 24 giugno 2014.
“Essendo uno dei più noti politici della Russia attuale, Lei si preoccupa del benessere del popolo e difendere i valori morali tradizionali”. Così l’agenzia “Religione” riporta il testo degli auguri patriarcali a Zjuganov in occasione del suo compleanno (70 anni). Il dirigente della Chiesa ortodossa russa ha espresso la speranza che il leader del partito comunista della Federazione russa sappia collaborare “allo sviluppo alle iniziative sociali importanti e alla trasfigurazione morale della società”. L’ordine “Gloria e Onore” è stato istituito dalla Chiesa ortodossa russa il 23 marzo 2004. Si richiama alle parole dell’apostolo Paolo: “Gloria e onore … ad ogni persona che compie il bene”. Dell’onorificenza vengono insigniti i capi dello Stato e del governo, dirigenti delle organizzazioni internazionali, i leader religiosi, le persone emerite dello stato e del governo per il loro apporto significativo alla collaborazione inter-ecclesiale e interreligiosa nell’opera per consolidamento della pace e della amicizia fra i popoli.
Ricordiamo che in occasione del suo onomastico Gennadij Zjuganov ha ricevuto una onorificenza anche da parte dello Stato (quella dell’ordine “Aleksandr Nevkij”), per decreto del Presidente Vladimir Putin, sottoscritto il 23 giugno 2014. Per quali meriti Zjuganov sia stato insignito di questa alta onorificenza nel decreto non si fa cenno.
È interessante conoscere il pensiero di Gennadij Zjuganov proponendo i punti salienti di un suo discorso durante un plenum del partito comunista russo, di circa due anni fa.  Il testo di questo intervento è stato pubblicato dal partito in internet (Novosti NEWSru.com) e chiarisce bene la posizione dei comunisti attuali nei confronti della religione e della Chiesa ortodossa russa.  “Il partito comunista russo è il partito del comunismo scientifico e quindi dell’ateismo scientifico, ma non dell’ateismo militante” ha dichiarato Zjuganov.
Zjuganov ha voluto ricordare che lo stesso fondatore del partito comunista, Vladimir Lenin, fin dal principio del secolo passato scrisse: “Noi dobbiamo non soltanto accettare, ma invitare insistentemente tutti i lavoratori che hanno conservato la fede in Dio ad entrare nel partito socialdemocratico”. Il leader del partito comunista della Federazione russa ha ricordato nel suo discorso che “l’accettazione dei credenti nel partito comunista ebbe termine nella metà degli anni ‘30, per una disposizione legata all’acuirsi della lotta interna. La pratica di non accettare i credenti nelle file del partito si conservò anche in seguito, sebbene il partito non abbia mai preso decisioni su questo problema.
Nello stesso tempo Zjuganov ha sottolineato che “noi comunisti abbiamo sempre sostenuto la separazione della Chiesa dallo Stato, ed oggi il partito comunista è contrario ai tentativi del regime oligarchico-liberale di trasformare la Chiesa russa ortodossa in un meccanismo obbediente che dirige il paese e la società. Per la stessa Chiesa lasciarsi guidare da  queste velleità significherebbe frazionare la responsabilità per il corso economico sociale che oggi si svolge nel paese”. Ha pure affermato che, nel tempo attuale, il partito comunista sovietico ha un rapporto rispettoso nei confronti del clero e questo, secondo le sue parole, “aiuta la gente a vivere cristianamente oppure secondo i comandamenti islamici”. Inoltre, con decisione, ha sottolineato che il partito non accetta “l’antisovietismo militante e il clericalismo a cui sono oltremodo agganciati alcuni elementi della Chiesa ortodossa russa. A qualsiasi caduta di questo genere noi rispondiamo: parlare di difendere il popolo russo e poi abbassarsi fino all’antisovietismo unito alla russofobia, significa disprezzare i bisogni e le aspirazioni delle masse popolari”.
Durante il suo discorso Zjuganov ha ribadito che nelle file del partito comunista possono liberamente entrare sia i credenti che gli atei. Esiste solo una condizione limitativa: nessuna propaganda delle idee religiose all’interno del partito. A questo proposito Zjuganov ha ricordato che questo comportamento era già stato richiesto da Lenin. Zjuganov ha parlato del tempo futuro, quando i comunisti riusciranno ad introdurre nella vita la loro idea dell’ultimo sviluppo della Russia: “nel nostro partito è fiorita la convinzione che nella civilizzazione sovietica del futuro i rapporti fra lo stato dei lavoratori e la Chiesa saranno costruiti sul principio della convivenza pacifica e rispettosa. La Chiesa ortodossa russa e le altre confessioni potranno compiere il loro storico ruolo: aiutare gli uomini a vivere in pace ed amicizia, seguendo le orme morali della propria fede.”
Ripercorrendo la storia, però, la posizione del partito rispetto alla religione è stata diametralmente opposta. Nel 1932 Stalin proclamò l’inizio del “Piano quinquennale ateistico”, ponendo come scopo che per il 1 maggio 1937 in tutto il territorio del paese doveva essere dimenticato il nome di Dio. Tutto era iniziato “dal lavaggio del cervello” delle masse, portato avanti dalla Commissione Speciale Antireligiosa del Comitato Centrale del Partito comunista russo. Già nel dicembre 1922 ebbe inizio la pubblicazione del giornale “Senzadio” e nell’autunno del 1923 si discusse il problema sulle “ forme e metodi della propaganda antireligiosa nelle campagne”, istituendo i gruppi di ateisti militanti. I loro motti erano: ”Attraverso l’ateismo verso il comunismo” e “La lotta contro la religione è lotta  per il socialismo”.
Quando nel 1932 Stalin proclamò il piano quinquennale di lotta contro la religione, il numero degli atei militanti aveva già superato i 5 milioni riuniti in più di 60.000 cellule. La tiratura della stampa antireligiosa cresceva di anno in anno: nel 1930 ne furono stampati più di 50 milioni di esemplari e nel 1932 esce il primo dei cinque tomi dell’antologia “Contro la religione e la chiesa”, a cura del capo dell’Unione degli ateisti militanti, Jaroslavskij. Inizia pure la creazione di università operaie antireligiose statali, speciali istituti per la formazione di quadri per un attacco deciso contro la religione. Nel 1931 vi erano più di 3.000 “brigate ateistiche d’assalto”, circa 300 kolchoz ateistici. Per l’anno 1932 si era pianificato di raggiungere 8 milioni di atei militanti, mentre il numero dei giovani militanti contro “l’oscurantismo e il clericalismo” doveva crescere fino ai 10 milioni. La commissione antireligiosa aveva fissato un piano per raggiungere l’eliminazione della religione nel 1937. Per l’attuazione del piano negli anni 1932 -1933 dovevano essere chiuse tutte le chiese e le case di preghiera e durante gli anni 1934-1935 dovevano scomparire tutte le tradizioni religiose presenti nella letteratura e in famiglia; per gli anni 1934-1935 era stato pianificato che tutto il paese, ma soprattutto la gioventù, fosse raggiunti totalmente dalla propaganda antireligiosa; per gli anni 1935-1936 si preparavano ad eliminare gli ultimi sacerdoti e finalmente per 1937 avrebbe dovuto scomparire la stessa memoria di Dio.
Ma la coscienza del popolo si dimostrò molto conservativa. Il censimento della popolazione del 1937 dove, per espressa volontà di Stalin, fra la lista delle domande fu inclusa anche la religione, fece apparire risultati sorprendenti: di 30 milioni di cittadini dell’URSS analfabeti superiori ai 16 anni, l’84% (25 milioni) si dichiararono credenti e dei 68,5 milioni alfabetizzati il 45% (più del 30 milioni). I risultati del censimento furono tenuti segreti e fu deciso di passare ad una tattica più incisiva: negli anni 1937-1938 si raggiunse il picco dei sacerdoti fucilati, senza far eccezione per i sacerdoti leali al partito, poiché il loro ruolo di scismatici non serviva più.
Nel 1937 si riprese la chiusura in massa delle chiese. Secondo i dati più recenti, delle chiese russe  aperte al pubblico prima della rivoluzione, all’inizio della seconda guerra mondiale ne erano rimaste 350-400, ciò significa che negli anni 1939, 1940, 1941 ogni anno venivano chiuse circa 300-400 chiese. Alla vita liturgica della Chiesa russa fu inferto un colpo terribile, tuttavia essa non cessò del tutto, neppure dove non esisteva nessuna chiesa aperta al pubblico. Molti sacerdoti si rifugiarono nella clandestinità e assistevano spiritualmente il popolo segretamente. Purtroppo non si interruppe neppure il “lavaggio dei cervelli”. La Unione degli atei militanti incluse nel suo lavoro “educativo” il komsomol e i sindacati.
Negli anni 1935-1941 proseguì lo sterminio fisico del clero e dei laici. A causa di questo la Chiesa soffrì di tali perdite le cui conseguenze si fanno sentire fino ad oggi. Agli arrestati venivano fatte le accuse più inverosimili: spionaggio, sabotaggio, terrore. Per esempio il vescovo di Smolensk Serafim (Ostroumov) fu accusato di dirigere una banda di controrivoluzionari. A Gorkij si inscenò un processo tipico in cui il clero locale era accusato di aver organizzato “un centro fascista  clandestino, il quale, attraverso monaci e credenti compiva atti terroristici e spionaggio”. Simili processi si tenevano ovunque. In tutto negli anni 1936-1938, secondo alcuni dati, morirono martiri circa 200 vescovi. Vennero pure arrestati sacerdoti e laici, denunciati o sospettati di attività antisovietiche o come rappresentanti di una classe nemica.
È difficile stabilirei numero esatto dei perseguitati a causa della fede; l’igumeno Damaskin (Orlovskij) basandosi sulla documentazione di Aleksandr Jakovlev, capo della Commissione per la riabilitazione delle vittime delle repressioni politiche porta i seguenti dati:
1937: arrestati 136.900 sacerdoti e collaboratori, fucilati 85.300
1938: arrestati   28.300, fucilati 21.500
1939: arrestati     1.500, fucilati       900
1940: arrestati     5.100, fucilati    1.100
1941: arrestati     4.000, fucilati    1.900

All’inizio della Seconda guerra mondiale sul territorio dell’URSS rimanevano 5.665 sacerdoti ufficialmente registrati. Il Consiglio degli atei militanti continuò fino al 1947 e poi consegnò le proprie funzioni alla Associazione nazionale “Znanie” (Scienza). Alla fine del 1950 ebbe inizio un secondo “Piano quinquennale ateistico”.