venerdì 28 novembre 2014

Il mite del Vangelo




Roncalli e l’ecumenismo secondo il patriarca Bartolomeo. 

Il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo ha tenuto a Istanbul, nel teatro della Casa d’Italia, una conferenza sulle relazioni ecumeniche intrattenute in Turchia, tra il 1934 e il 1945, dal delegato apostolico monsignor Angelo Giuseppe Roncalli. Ne pubblichiamo alcuni stralci dai quali emerge una figura mite e umile, capace, al di là di ogni formalità, di intessere relazioni di profondo rispetto, amore e comprensione.
Roncalli non si muove tanto come un diplomatico, ma dà al suo lavoro una impostazione nettamente pastorale nel rapporto sia con le differenti comunità cattoliche, che con gli ortodossi. È convinto che per aprire un dialogo con gli ortodossi bisogna abbandonare le condanne, il disprezzo, l’alterigia, il considerarsi superiori. Bisognava considerarsi tutti “figli di un solo Padre”.Durante la sua permanenza in Bulgaria egli si reca diverse volte anche a Costantinopoli. Nel 1926 visiterà “da turista” il Fanar e incontrerà il patriarca Basilio III. Il vecchio patriarca percepisce la bontà e lo spirito nuovo del delegato in Bulgaria, che all’incontro bacia la mano del patriarca. Egli è capace di creare contatti fino allora insperati. Il patriarca Basilio III gli esprime il suo fermo desiderio di incontrare il Papa di Roma per rispondere a uno dei grandi bisogni dell’umanità: l’unione delle Chiese.
Alcune fonti riportano ancora altre due visite “in incognito” alla sede del patriarcato ecumenico.
Ricco ormai di una forte conoscenza dei “fratelli ortodossi”, come egli era solito parlare, nel 1934 viene trasferito a Istanbul, come delegato apostolico per la Turchia e la Grecia, ed elevato al grado di arcivescovo titolare di Mesembria. Ma il suo stile non cambia. Egli percepisce il grande cambiamento che avviene nella moderna Turchia e vi si adatta. Impara anche il turco, ma soprattutto continua quella discreta opera di avvicinamento degli uomini e delle culture.
Fu così che si rese possibile il primo incontro ufficiale del rappresentante della Santa Sede col patriarca ecumenico Beniamino I. Era il 27 maggio 1939. Con grande solennità Angelo Roncalli fu accolto al Fanar. Beniamino I andò incontro a Roncalli e abbracciandolo gli disse in latino: Haec est dies quam fecit Dominus («Questo è il giorno che ha fatto il Signore»).
Gli anni di presenza di monsignor Roncalli a Istanbul sono anche gli anni della seconda guerra mondiale. Egli è in ottimi rapporti con la comunità ebraica di Istanbul e spenderà tutta la sua influenza, anche rischiando spesse volte di persona, per salvare tantissimi ebrei da morte certa. La neutrale Turchia era divenuta infatti un crogiuolo di spie di tutti gli schieramenti e un frenetico centro di attività diplomatiche. Ma Egli sa muoversi sempre con discrezione, eludendo spesso i suoi pedinatori. Non lascerà mai nulla di intentato per aiutare, soccorrere e salvare chi ne aveva bisogno.
La partenza di Angelo Roncalli da Costantinopoli avvenne quattro anni prima dell’arrivo al Fanar dell’allora arcivescovo d’America, il patriarca Atenagora. Non sappiamo se i due si fossero mai incontrati. Quel che è certo è che entrambi provavano un profondo rispetto l’uno per l’altro.
Angelo Roncalli, Papa Giovanni XXIII, ha vissuto con profonda spiritualità il suo essere prete e vescovo in un completo abbandono al Vangelo del Signore.
Nella Pentecoste del 1944 a Istanbul invita i suoi fedeli cattolici a non sentirsi diversi dai «fratelli ortodossi, protestanti, ebrei, mussulmani, credenti o non credenti», a ricordare che «nella luce del Vangelo questa logica di divisione non ha ragione di esistere. Gesù è venuto a rompere ogni barriera».
Angelo Roncalli è un uomo di fede. «Obbedienza e pace», il suo motto, sono il motivo del suo essere prete. Fede cieca di fronte a Dio, obbedienza di fronte ai superiori, quali interpreti del bene più grande. Anche quando si sentirà abbandonato dai suoi, obbedisce in una kènosis che lo rende testimone di Cristo, imitatore di Cristo. Fino all’estremo sacrificio obbediente in tutto e per tutto, ma anche profeta di una pace che viene dall’alto. In ogni momento della sua vita percepisce come la pace sia dono di Dio, e ne fa esperienza diretta con l’appello ai grandi del mondo, durante la crisi a Cuba, con l’enciclica Pacem in terris.
Angelo Roncalli è l’uomo dell’unità. Precorre i grandi momenti che seguiranno. Sarà il suo successore, Papa Paolo VI a incarnare il sogno di Giovanni XXIII nell’incontro a Gerusalemme con il patriarca Atenagora, cinquanta anni or sono. Siamo noi oggi testimoni di quell’inizio, quali loro successori, la nostra modesta persona e il nostro amato fratello a Roma, Francesco.
Agli osservatori nel concilio Vaticano II ricevuti in udienza nel 1962, Papa Giovanni confida: «Come posso dimenticare i dieci anni trascorsi a Sofia e gli altri dieci a Istanbul e Atene? (...) Ebbi molti scambi con cristiani di diverse ispirazioni (...) Non abbiamo “parlamentato”, ma parlato; non abbiamo discusso, ma ci siamo amati (...) La vostra cara presenza qui, l’emozione che stringe il mio cuore di prete (...) mi spingono a confidarvi che il mio cuore è acceso dal desiderio di operare e soffrire affinché si avvicini l’ora in cui si realizzerà per tutti la preghiera che Gesù pronunciò nell’Ultima cena».
Alla morte di Giovanni XXIII, il patriarca Atenagora scrive: «Tutto il mondo ortodosso e specialmente il Trono Ecumenico e colui che lo occupa, si rattristano per la morte di questo meraviglioso operaio che ha combattuto per l’idea dell’unità e della collaborazione tra le Chiese». E dichiara al Sinodo: «Abbiamo tanto desiderato poter andare a Roma per abbracciare, piangere insieme al Papa, a causa della nostra lunga separazione, manifestare la nostra tristezza per il passato e la gioia per il futuro».
Papa Giovanni fu amato da tutti. Prova ne è il fatto della grande venerazione che gli fu attribuita dal momento della sua morte, fino ai tempi nostri dai fedeli romano cattolici, e del grande rispetto attribuitogli da tutte le persone di buona volontà. Non a caso il metropolita Nikodim di Leningrado, di beata memoria, nella sua dissertazione su Giovanni XXIII presso l’Accademia teologica di Mosca lo qualificava come il mite del Vangelo, per la sua conformità a Cristo.
L'Osservatore Romano