martedì 25 novembre 2014

L’albero e la radice


Gentiloni: "Il Papa al Parlamento Europeo: un discorso straordinario!"

Il ministro degli Esteri italiano commenta le parole del Pontefice all'Eurocamera, apprezzando soprattutto il richiamo alle radici cristiane del Continente



“Abbiamo sentito un discorso straordinario che probabilmente avrà un rilievo storico. La cosa che fa impressione è che un Papa che viene da molto lontano, dall’America Latina, e che è assolutamente consapevole della dimensione globale del mondo, è un Papa che ridà slancio e speranza a un’Europa che egli stesso ha definito un po’ “invecchiata”, un po’“impaurita”. Da questo Papa venuto da lontano, l’Europa ha un impulso a recuperare radici e visione. Le sue parole, da questo punto di vista, sono state, credo, un incoraggiamento straordinario per i parlamentari, ma per tutti i governi europei, a riflettere su come l’Europa, in un mondo divenuto molto più largo, può trovare la sua missione se fa riferimento alle proprie radici e ai propri valori”.
Con queste parole il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha commentato in diretta sulla televisione della Conferenza Episcopale italiana Tv2000, il discorso tenuto da Papa Francesco questa mattina al Parlamento Europeo di Strasburgo. 
Riflettendo sull’invito del Santo Padre a mantenere viva la democrazia, il titolare della Farnesina ha sottolineato che si è trattato di un “passaggio di straordinaria attualità”. “Il Papa ha cominciato a indicare una visione dell’Europa, come è giusto, fondata sul recupero della dignità e dei diritti dell’uomo – ha proseguito Gentiloni -, ma ha poi parlato subito di democrazia e lo ha fatto in riferimento alla necessità che i popoli ritrovino un loro spazio, una loro voce, e che il gioco non sia tutto condotto da quelle che lui ha definito multinazionali senza radici”.
Secondo il ministro, il riferimento del Pontefice è quindi a un’idea della democrazia confrontata con la globalizzazione, “a una democrazia che deve essere riconfermata non nei confronti di un rischio dittature, tipo quelle del secolo scorso, ma di fronte al rischio di popoli che perdono voce sulla base del nuovo assetto della globalizzazione”. 
Commentando il passaggio del discorso di Papa Francesco dedicato al problema del lavoro, Gentiloni ha osservato che “il Pontefice si è fatto interprete di quella che oggi in Europa è la preoccupazione principale”, motivo per cui “il Parlamento europeo ha reagito con particolare sensibilità a questa sollecitazione”. “Del resto – ha continuato - sappiamo tutti che oggi la malattia dell’Europa è da un lato legata agli ideali, alla necessità di passare da un andamento un po’ tecnocratico e di routine, alla ricoperta di valori e di radici, e dall’altro è una malattia molto concreta che si chiama mancanza di lavoro e, soprattutto per i giovani, al lavoro poco stabile e poco dignitoso”.
“Su alcuni temi richiamati oggi dal Santo Padre a Strasburgo – ha aggiunto il ministro - il governo italiano ha fatto molto”. Sottolineando l’invito di Papa Francesco a uscire “da una visione un po’ burocratica, impaurita, rinchiusa, per riscoprire uno slancio ideale”, il titolare degli Esteri ha evidenziato come il governo italiano abbia cercato durante la presidenza del semestre europeo di “dare un contributo a parlare di politica e di futuro dell’Europa”.
“In secondo luogo – ha sottolineato - si è molto dedicato all’idea di passare da un’Europa che si occupi solo di regole e austerità a una che torna a parlare di investimenti, crescita e lavoro”. L’ultimo punto su cui, secondo Gentiloni, l’Italia si è mossa in linea rispetto alle sollecitazioni di Papa Francesco è quello relativo all’immigrazione. Ricordando l’impegno della presidenza italiana nell’ “europeizzazione” del problema nel Mediterraneo, Gentiloni ha sottolineato che è stato dato un  “contributo, certo non esaustivo, ma importante”. 
“Al di là delle coscienze e delle convinzioni religiose dei singoli – ha concluso il ministro - l’invito  alla trascendenza, alle radici religiose dell’Europa, alla riscoperta dell’anima buona dell’Europa, è un invito che riguarda tutti, è un richiamo che non parla solo alle nostre coscienze, di fondamentale importanza anche contro tutti i rischi di degenerazioni estremistiche e terroristiche con cui ci siamo confrontati. Il valore dell’Europa consiste anche nelle sue radici”.
Zenit
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Dentro i versi di Clemente Rebora. 

Versi di Rebora citati oggi dal Papa:«Vibra nel vento con tutte le sue foglie / il pioppo severo; / spasima l'aria in tutte le sue doglie / nell'ansia del pensiero: / dal tronco in rami per fronde si esprime/ tutte al ciel tese con raccolte cime: / fermo rimane il tronco del mistero, / e il tronco s'inabissa ov'è più vero»: Il pioppo in: Canti dell'Infermità, ed. Vanni Scheiwiller, Milano 1957, 32. (NdR)
(Gian Mario Veneziano) Clemente Rebora (1885-1957) nasce in una famiglia di cultura illuminista e simpatie massoniche. La sua formazione non si può proprio dire cattolica, tanto che al momento della sua conversione l’unico sacramento ricevuto era il battesimo. Eppure tutta la sua vita e la sua poesia sono sotto il segno di una tensione morale portata ai limiti estremi di una tensione religiosa. La profondità delle sue amicizie, la forma del suo impegno intellettuale ne «La Voce», l’insegnamento serale in scuole tecniche femminili, tutto in lui è testimonianza di un desiderio di verità assoluta, di scoperta del segreto disegno e senso della realtà. E questa tensione in lui si è costantemente misurata — con impegno onesto e serio — nel confronto con la realtà. Da questo punto di vista particolarmente devastante fu l’esperienza, come sottotenente di fanteria, della partecipazione alla prima guerra mondiale. In preda a un serio esaurimento, gli venne dai medici risparmiata la prosecuzione della guerra con una singolare diagnosi: «mania dell’eterno».

Alla fine del 1928, accetta di tenere un ciclo di conferenze sulla religione di Roma e la donna. Terminata la serie gliene viene chiesta un’altra, non prevista, sulla religione cristiana e la donna. Rebora sceglie di commentare il verbale dei Martiri Scillitani, ma, a un certo punto, la commozione gli impedisce di parlare; in lacrime, abbandona lo stupefatto uditorio: è la conversione. Nel giro di pochi anni riceve tutti i sacramenti, compreso quello dell’ordine. Quando, nel giugno del 1936, fu consacrato sacerdote, volle aggiungere ai consueti voti una promessa in più: «Mio Signore e mio Dio, faccio voto di chiederti in ogni tempo la Grazia di patire e morire oscuramente scomparendo polverizzato nell’opera del tuo Amore. Così sia». Fu da Dio preso in parola: il 2 ottobre 1955, infatti, il poeta subì un secondo grave attacco che lo costrinse a venticinque mesi di totale infermità fisica. Da questa esperienza nascono I canti dell’infermità, di cui fa parte Il pioppo. Dalla sua camera e dal suo letto, il poeta probabilmente vedeva quel pioppo, e lo vedeva vibrare «nel vento con tutte le sue foglie», come un’immagine della sua anima spasimante «nell’ansia del pensiero». Proprio come per il pioppo, il cui tronco «s’inabissa ov’è più vero». Una poesia mistica, quella dei Canti dell’infermità, soprattutto per il tòpos della notte oscura, in quei momenti nei quali il canto si fa lancinante testimonianza del silenzio di Dio. Il carattere più impressionante della raccolta consiste in quel suo essere lucido resoconto dell’adempiersi di quanto Rebora auspicava nel suo voto. È quindi un elemento extratestuale, il voto particolare, a costituire un fattore di integrazione importantissimo nella ricognizione intorno al significato dei Canti dell’infermità, perché è a partire dalla conoscenza di esso che maggiormente si comprende la dialettica fondamentale della raccolta. E, forse, la parola conclusiva è simbolicamente sussurrata nella data della morte del poeta; Rebora morirà nel giorno di Tutti i Santi.

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Nei discorsi del Pontefice a Strasburgo. Una chiave di lettura della storia europea

(Maurizio Fontana) Un viaggio breve, brevissimo. Circa quattro ore sul suolo francese. Il più breve nella storia dei viaggi internazionali dei Pontefici. Poche cerimonie. Tutto il tempo è stato dedicato ai due grandi discorsi al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa: una chiave di lettura della nostra storia di oggi, l’occasione per indicare una via, per sferzare le coscienze, per proporre una cooperazione. Ha parlato con forza Papa Francesco a un’Europa «ferita» e «stanca», alla quale ha chiesto di recuperare il suo vigore e di tornare a essere protagonista dello «sviluppo culturale» dell’umanità.Quello del Pontefice a Strasburgo, martedì 25 novembre, con la visita al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa, non è stato un viaggio pastorale: il Papa incontrerà il prossimo anno la comunità cattolica francese. Ha visto solo da lontano il bel profilo della cattedrale gotica di Notre-Dame. La sua è stata la visita di un’autorità morale e spirituale invitata a portare parole chiare. 
Francesco è partito dall’aeroporto di Fiumicino alle ore 8.15. Durante il volo, ha rivolto un breve ringraziamento ai giornalisti: «Spero — ha detto — che non sia troppo faticoso: poco tempo, troppe cose, ma nel rientro potremo parlare un po’», ha promesso prima di augurare scherzosamente «una bella giornata, una giornataccia!». L’airbus Alitalia è atterrato allo scalo internazionale di Strasbourg-Entzheim poco prima delle 10, con qualche minuto di anticipo rispetto al programma.
All’arrivo, il nunzio apostolico in Francia, arcivescovo Luigi Ventura, accompagnato dal capo del protocollo, è salito a bordo per accogliere il Pontefice che, una volta sceso dall’aereo, è stato salutato dal segretario di Stato e incaricato degli affari europei del Governo francese, Harlem Désir, dal ministro francese per l’ecologia, lo sviluppo sostenibile e l’energia, Ségolène Royal, dai vicepresidenti del Parlamento europeo, Antonio Tajani e Davide Maria Sassoli, del prefetto della Regione Alsace Bas-Rhin, Stéphane Bouillon, dal sindaco di Strasburgo, Roland Ries, dai capi del protocollo del Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa, François Brunagel e Rafael Benitéz.
Con le autorità politiche, a salutare il Pontefice davanti alla Sala d’onore dell’aeroporto, c’erano anche i cardinali Péter Erdő, presidente del Consiglio delle conferenze episcopali europee (Ccee), e Reinhard Marx, presidente della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece), l’arcivescovo Alain Paul Lebeaupin, nunzio e capo della missione della Santa Sede presso l’Unione europea, l’arcivescovo di Strasburgo Jean-Pierre Grallet, monsignor Paolo Rudelli, inviato speciale della Santa Sede e osservatore permanente presso il Consiglio d’Europa, e don Ignazio Ceffalia, segretario della missione della Santa sede presso il Consiglio d’Europa.
In auto Papa Francesco ha percorso diciotto chilometri per raggiungere il piazzale antistante il Parlamento europeo. Qui, davanti al gioco architettonico del palazzo — costruito nel 1977 su disegno del francese Henry Bernard con una serie di incroci di cerchi ed ellissi in acciaio e vetro in cui si specchiano le acque del fiume — Francesco ha trovato ad aspettarlo il presidente Martin Schulz e un migliaio di dipendenti con i familiari. Esattamente cento anni fa in questi luoghi, all’epoca territori dell’impero germanico, era già guerra. Le truppe tedesche avevano da poco tentato la fulminea occupazione di Belgio, Lussemburgo e nord della Francia. Sventolavano le bandiere, ma tra i colpi di moschetto e di mitraglia. Nell’aria rigida continuano a sventolare le bandiere, ma oggi sono il simbolo di un progetto diverso. Di un sogno di unione e cooperazione. Suonano gli inni, ma non si scontrano guerrieri. Si incontrano uomini.
Papa Francesco è qui per parlare all’Europa, alle istituzioni e ai popoli, ai governanti e alle persone. A cento anni dalla prima grande guerra che ha devastato popoli e coscienze e che ha conquistato il terribile appellativo di mondiale, si lancia il messaggio per un’altra battaglia. Non c’è un territorio da conquistare, c’è l’uomo da salvare. L’uomo che chiede dignità, lavoro, giustizia, solidarietà, in uno sviluppo che non può essere esclusivamente scandito dalle regole del guadagno. L’uomo che non può essere solo un «soggetto economico», ma «persona dotata di una dignità trascendente».
Dopo l’esecuzione degli inni vaticano ed europeo, Francesco in auto si è diretto verso l’ingresso d’onore, l’Espace Mariana De Pineda, preceduto dal presidente Schulz. Una volta presentate le due delegazioni, i quattordici membri del bureau del Parlamento e gli otto presidenti dei gruppi politici dell’assemblea, il Papa è salito al primo piano. Qui ha salutato Elma Schmidt, la donna tedesca — oggi ultranovantenne — che nel 1986 lo ospitò durante la sua permanenza a Francoforte sul Meno.
Poi, davanti al Salone protocollare, ha firmato il libro d’oro degli ospiti d’onore, scrivendo di suo pugno queste parole: «Auguro che il Parlamento europeo sia sempre più la sede dove ogni suo membro concorra a far sì che l’Europa, consapevole del suo passato, guardi con fiducia al futuro per vivere con speranza il presente». Quindi è avvenuto lo scambio dei doni. Il presidente Schulz ha offerto una speciale edizione in traduzione spagnola dei Memoires di Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Europa: fu tra quanti prepararono il testo della Dichiarazione Schuman e nel 1952 divenne il primo presidente dell’Alta autorità della Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Il Papa ha donato una realizzazione con smalti policromi dello Studio del mosaico Vaticano, raffigurante una colomba della pace, ispirata a un dettaglio della celebre decorazione del Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna.
Successivamente, nel Salone protocollare si è svolto un incontro ristretto, durato circa quindici minuti, alla presenza del segretario generale Klaus Welle, del vicesegretario generale Francesca Ratti, del direttore di gabinetto Markus Winkler e del capo di gabinetto Armin Machme. Da parte della Santa Sede, erano presenti il cardinale segretario di Stato e gli arcivescovi Becciu e Lebeaupin.
Francesco ha quindi fatto il suo ingresso nell’aula parlamentare dove era ad attenderlo l’intera assemblea riunita in seduta solenne, che lo ha accolto con un applauso. Sono seguite le parole di benvenuto del presidente Schulz.
Il Pontefice ha quindi pronunciato il suo atteso discorso. Come è suo stile, ha usato un tono pacato, quasi confidenziale. È stato come se avesse voluto guardare dritto negli occhi ciascuno dei parlamentari seduti davanti a lui per ricordare loro: dovete «prendervi cura della fragilità dei popoli e delle persone».
Al termine del discorso, segnato da ben tredici applausi che ne hanno sottolineato i passaggi più significativi, il presidente Schulz ha ringraziato il Papa. «Lei è una personalità che dà orientamento in un’epoca priva di orientamento» ha detto in tedesco, aggiungendo anche che il Papa «ha parlato dal cuore e ha dato un grande incoraggiamento perché l’Europa prosegua nel suo futuro».
Francesco è stato quindi di nuovo accompagnato nel Salone protocollare dove ha salutato il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, il presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea, Matteo Renzi, e il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Ha chiuso così, con il congedo formale dal presidente Schulz, la sua visita al Parlamento. E, ripartito in auto, ha raggiunto l’attiguo Palais de l’Europe, ovvero il quartier generale del Consiglio d’Europa.
Se il Parlamento europeo vede rappresentati, con 751 deputati eletti da 508 milioni di cittadini, 28 Stati membri dell’Unione, il Consiglio d’Europa è un’istituzione dall’orizzonte più ampio. È la più antica organizzazione intergovernativa europea, venne istituito nel 1949, e raggruppa il maggior numero di Paesi del continente: 47 Stati membri con una popolazione di oltre ottocento milioni di persone. È l’organismo, completamente indipendente dall’Unione europea, che ha come obiettivo quello di promuovere la democrazia, i diritti umani, lo Stato di diritto e la ricerca di soluzioni comuni alle sfide sociali, culturali e legali.
Anche il palazzo che ha accolto il Papa è stato progettato dall’architetto Henri Bernard, fu inaugurato sempre nel 1977 e per più di vent’anni fu anche la sede del Parlamento. Non ha la forma curva e avvolgente dell’altro edificio: sembra invece quasi una fortezza. Pianta quadrata e file di finestre allineate come feritoie. Davanti all’ingresso principale, il Pontefice è stato accolto dal segretario generale Thorbjørn Jagland e dai più alti responsabili degli organismi del Consiglio d’Europa. Accompagnato al terzo piano nell’ufficio del segretario generale, il Papa ha avuto con lui un breve incontro insieme al presidente del Comitato dei ministri, alla presidente dell’Assemblea parlamentare, al cardinale Parolin, all’arcivescovo Becciu e a monsignor Rudelli. Quindi, al secondo piano, sono stati presentati al Papa gli alti dirigenti degli uffici del Consiglio. E si è proceduto ai gesti della firma sul libro d’oro e dello scambio dei doni.
A Francesco è stata consegnata la scultura Europe soaring, opera del 1999 di France e Hugues Siptrott. Il Papa ha ricambiato con un medaglione in bronzo sul quale è scolpito in bassorilievo un angelo che abbraccia l’emisfero nord e quello sud della terra, proteggendoli dall’opposizione del drago. Sul bordo c’è la scritta: «Un mondo di solidarietà e di pace fondato sulla giustizia». È opera dello scultore Guido Veroi. Inoltre, per l’occasione è stato esposto l’arazzo Astronomia (opera proveniente dai Musei vaticani realizzata su disegno e cartone di Cornelius Schut) dono di Paolo VI al Consiglio d’Europa nel 1977. 
Dopodiché il Pontefice è passato nella Sala del Comitato dei ministri, da dove, quando non c’è nebbia, si può ammirare la splendida cattedrale di Strasburgo. Qui gli è stata mostrata una riproduzione della vetrata colorata della Vergine di Strasburgo: quella originale è incastonata nella cattedrale, da quando nel 1956 venne donata proprio dal Consiglio d’Europa. Nel suo gioco di colori si nota, sopra il capo della Vergine, la corona di dodici stelle in campo azzurro che è anche il simbolo dell’Unione europea.
Scendendo poi la scala d’onore, il Pontefice ha raggiunto l’emiciclo, dove l’assemblea parlamentare in seduta solenne l’ha accolto con un lungo e fragoroso applauso. Per l’occasione, il museo storico di Strasburgo ha prestato il leggio originale del Consiglio d’Europa utilizzato nel 1988 durante la visita di Giovanni Paolo II. Con grande decisione Papa Francesco, dopo il saluto del segretario generale, si è idealmente allacciato al discorso di Papa Wojtyła e ha chiesto con forza di «ritrovare quella giovinezza dello spirito» che ha reso feconda e grande l’Europa. È seguito il saluto finale della presidente dell’assemblea parlamentare Anne Brasseur. Quindi, accompagnato al piano terra attraverso la scala d’onore, e salutato il segretario generale, il Pontefice è ripartito alla volta dell’aeroporto dove è stato accolto, per il congedo, dalle stesse autorità presenti all’arrivo. L’aereo è decollato alle 14.37.
Si è concluso così il viaggio lampo del Papa. Appena quattro ore e mezzo trascorse con i suoi interlocutori. Per loro comincia ora il tempo — assai più lungo — di rimboccarsi le maniche e di mettersi al lavoro per dare un volto all’Europa «dei popoli e delle persone» auspicata da Francesco.
L'Osservatore Romano