mercoledì 24 dicembre 2014

I prodigi della notte di Natale

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San Bonaventura è una delle figure più alte della Chiesa nell’epoca medioevale.
Nato nel 1217 a Bagnoregio (VT), entrò nel 1243 nell’ordine francescano, per conto del quale insegnò come maestro di teologia all’Università di Parigi. Nel 1257 il capitolo generale dei frati minori, riunito a Roma, lo elesse ministro generale, e come tale nel 1260 fu uno degli artefici delle prime costituzioni generali dell’ordine. Nel 1273 venne nominato cardinale e vescovo di Albano da Papa Gregorio X, che lo fece partecipare al Concilio ecumenico di Lione; ma proprio alla fine del Concilio, nel 1274, Bonaventura morì.
Canonizzato nel 1492, nel 1588 fu proclamato Dottore della Chiesa, e ricevette il titolo diDoctor Seraphicus per la luminosità della sua dottrina e per l’ardore del suo insegnamento. Oltre a scrivere numerose opere, il santo predicò celebri sermoni, fra i quali il Sermone XXI De nativitate Domini, pronunciato nella chiesa di Santa Maria della Porziuncola, che illustrava alcuni fatti miracolosi accaduti nel momento del Santo Natale.
Ne presentiamo qui sotto una traduzione dal testo originale latino.
«Questi, secondo diverse testimonianze, sono i miracoli manifestatisi al popolo peccatore il giorno della Natività di Cristo.
Primo – Una stella splendente apparve nel cielo verso Oriente, e dentro di essa si vedeva la figura di un bellissimo bambino sul cui capo rifulgeva una croce, per manifestare la nascita di Colui che veniva a illuminare il mondo con la sua dottrina, la sua vita e la sua morte.
Secondo – In Roma, a mezzo giorno, apparve sopra il Campidoglio un cerchio dorato attorno al sole – che fu visto dall’Imperatore e dalla Sibilla raffigurante al centro una Vergine bellissima che portava un Bambino, volendo così rivelare che Colui che stava nascendo era il Re del mondo che si manifestava come lo «splendore della gloria del Padre e la figura della sua stessa sostanza» (Ebrei 1,3).
Vedendo questo segnale, il prudente Imperatore (Augusto) offrì incenso al Bambino, e da allora rifiutò di essere chiamato dio.
Terzo – In Roma venne distrutto il “tempio della Pace”, sul quale, quando era stato costruito, i demoni si domandavano per quanto tempo sarebbe durato. Il vaticinio fu: «fino al momento in cui una vergine concepirà». Questo segnale rivelò che stava nascendo Colui che avrebbe distrutto gli edifici e le opere della vanità.
Quarto – Una fonte di olio di oliva sgorgò improvvisamente a Roma e fluì abbondantemente, per molto tempo, fino al Tevere, per dimostrare che stava nascendo la Fonte della pietà e della misericordia.
Quinto – Nella notte della Natività, le vigne di Engadda, che producevano balsamo e aromi, si coprirono di foglie e produssero nettare, per significare che stava nascendo Colui che avrebbe fatto fiorire, rinnovare, fruttificare spiritualmente e attirare con il suo profumo il mondo intero.
Sesto – Circa trentamila ribelli furono uccisi per ordine dell’Imperatore, per manifestare la nascita di Colui che avrebbe conquistato alla sua Fede il mondo intero e avrebbe precipitato i ribelli nell’inferno.
Settimo – Tutti i sodomiti, uomini e donne, morirono su tutta la terra, secondo quanto ricordò San Gerolamo commentando il salmo:«È nata una luce per il giusto», per evidenziare che Colui che stava nascendo veniva a riformare la natura e a promuovere la castità.
Ottavo – Nella Giudea un animale parlò, e lo stesso fecero anche due buoi, affinché si comprendesse che stava nascendo Colui che avrebbe trasformato gli uomini bestiali in esseri razionali.
Nono – Nel momento in cui la Vergine partorì, tutti gli idoli dell’Egitto caddero in frantumi, realizzando il segno che il profeta Geremia aveva dato agli egiziani quando viveva tra loro, affinché si intendesse che stava nascendo Colui che era il vero Dio, l’unico che doveva essere adorato assieme al Padre e allo Spirito Santo.
Decimo – Nel momento in cui nacque il Bambino Gesù, e venne deposto nella mangiatoia, un bue e un asino si inginocchiarono e, come se fossero dotati di ragione, Lo adorarono, affinché si capisse che era nato Colui che chiamava al suo culto i giudei e i pagani.
Undicesimo -–Tutto il mondo godette della pace e si trovò nell’ordine, affinché fosse palese che stava nascendo Colui che avrebbe amato e promosso la pace universale e impresso il sigillo sui propri eletti per sempre.
Dodicesimo – In Oriente apparvero tre stelle che in breve si trasformarono in un unico astro, affinché fosse a tutti manifesto che stava per essere rivelata l’unità e trinità di Dio, e anche che la Divinità, l’Anima e il Corpo si sarebbero congiunti in una sola Persona.
Per tutti questi motivi la nostra anima deve benedire Dio e venerarlo, per averci liberato e per avere manifestato la sua maestà, con così grandi miracoli, a noi poveri peccatori».
Corrispondenza romana


San Leone Magno e la nascita di Gesù Bambino


(di Cristina Siccardi) Un piccolo paese del nord d’Italia, un bellissimo chiostro nel quale si muove un presepe vivente, famiglie, tanti bambini, molto silenzio, botteghe medioevali, un paiolo sul fuoco a spezzare il freddo, qua e là lumi a dare bagliori di luce nella velata nebbia pedemontana… e il tutto avviene mentre da un altoparlante una voce legge la Creazione narrata nella Genesi… Non è il racconto di secoli fa, ma un esempio di ciò che avviene ancora oggi, in alcuni luoghi dove la gente ha nostalgia di Nostro Signore e ha bisogno di narrare la vera storia della nascita di Gesù a sé e agli altri, con semplicità, quella semplicità che suggerì a san Francesco di dare vita ad un presepe vivente a Greccio (Rieti).
Vivere il Natale in autenticità significa comprendere che Gesù è incompatibile con il mondo e che il mondo, nemico dell’anima, può essere vinto. Vincere il mondo, allontanandosi da esso, è più facile: certamente il monastero aiuta a far vivere lo spirito rispetto ai rumori assordanti che stanno di fuori. Attualmente, poi, appare un’impresa titanica: tutto ci parla di terra e poco-nulla di Cielo, neppure i pastori della Chiesa, nella stragrande maggioranza dei casi, elevano più le nostre povere e assetate anime.
È possibile guardare alla greppia del Salvatore mentre si guarda, compiacenti, alle illusioni e agli errori del mondo? L’una cosa respinge l’altra, senza soluzione di compromesso. Non è possibile tenere contemporaneamente l’anima su Cristo e sul mondo. La persona per rendersi conto di aver peccato deve aver fatto una scelta di appartenenza a Cristo, altrimenti non sentirà neppure l’esigenza di confessarsi. Appartenere a Cristo significa mettere Dio al primo posto:
«Due infatti sono gli amori da cui procedono tutte le determinazioni umane»spiega Papa Leone Magno (Sermoni 90, 1-3), i cui insegnamenti non conoscono fugacità del tempo «e sono tanto diversi in sé, quanto sono diversi i loro oggetti. L’animo razionale, che non può restar senza amare, ama o Dio, o il mondo. Nell’amore di Dio, nulla è troppo; nell’amore del mondo, tutto è troppo e nocivo. Perciò dobbiamo attaccarci per sempre ai beni eterni, e usare invece dei beni temporali solamente di passaggio; così a noi, che peregriniamo e ci affrettiamo a tornare in patria, qualsiasi forma di benessere in questo mondo serva come cibo per il viaggio, non come attrattiva di una fissa dimora».
Ma da ciò che blandisce con la bellezza, l’abbondanza e la varietà non ci si allontana facilmente, se in tale bellezza non si ama il Creatore delle realtà visibili piuttosto che la creatura. Dio è esigente: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, e con tutte le tue forze» (Mt 22, 37), il comando è assoluto: nulla può sciogliere dal vincolo dell’Amore del Creatore.
E unendo a questo precetto quello dell’amore per il prossimo il Signore ci propone l’esempio della sua bontà, «perché noi amiamo ciò che egli ama e operiamo come egli opera. […] Egli esige in tutto la prestazione del nostro servizio e vuole che noi siamo dispensatori dei suoi doni, perché così chi porta in sé l’immagine di Dio fa la volontà di Dio» afferma ancora san Leone Magno. Ed ecco che Gesù ci ha insegnato a pregare così: «Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra» (Mt 6, 10), non «come in terra così in cielo», ma «come in cielo così in terra».
Al Divino Bambino, seconda Persona della Trinità, che altro potremmo chiedere in questo Santo Natale 2014 se non ciò che già chiedeva in quel sermone il Sommo Pontefice del V secolo, carico di zelo per l’ortodossia della cattolicità e che guidò con sapienza il destino della Chiesa romana, ovvero «assoggetti a sé chi ancora non gli è soggetto, e faccia gli uomini in terra servi della sua volontà, come lo sono gli angeli in cielo? Chiedendo ciò, amiamo Dio e amiamo il prossimo: unico è in noi e non distinto l’amore, quando desideriamo che il servo serva e che il Signore imperi».
Se queste fossero ancora le parole dei nostri pastori a Roma, come altrove, molte più persone troverebbero la forza di vincere il mondo; troverebbero la forza di dire no alla disgregazione delle famiglie, all’aborto, alla teoria del gender, all’eutanasia, alle manipolazioni genetiche, alla degradazione dei costumi, alla disonestà, alla corruzione, all’invasione del credo musulmano…
Se i no giungessero chiari dai ministri di Dio probabilmente Gesù Bambino tornerebbe in carne ed ossa, proprio come accadde nel presepe vivente di Greccio nella notte di Natale del 1223, quando san Francesco lo prese fra le sue braccia. Ma i miracoli, è evidente, arrivano solo dove c’è gran fede e gran bontà. (Cristina Siccardi)