giovedì 25 dicembre 2014

"La luce che rifulge in questa notte è la luce dell'Amore di Dio per l'uomo"

25 dicembre
Natale 2014, annata B
Commento al Vangelo di ENZO BIANCHI
Carissimi,
in questa notte, che è la notte del mondo, la notte del peccato, la notte della menzogna e della morte, noi diciamo la nostra fede e la nostra speranza nella luce: una luce – ne siamo certi – che vince la notte (cf. Gv 1,5); una luce che non viene da noi né dalla terra, ma spunta dall’alto (cf. Lc 1,78), viene da Dio; una luce che vuole rischiararci e darci vita. È laluce, “la luce vera” (Gv 1,9), è colui che ha detto nella sua gloria: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12).
Il vangelo che abbiamo ascoltato vuole testimoniare come questa luce è venuta nel mondo. È venuta in un modo che in realtà non era né atteso né profetizzato, è venuta nel mondo senza imporsi, è venuta nel mondo senza ricorrere a una manifestazione gloriosa, a una teofania. È venuta nel mondo senza essere riconosciuta da coloro che avevano il compito di indicare la luce (cf. Gv 1,11) e non è stata riconosciuta da tutti quelli che avevano un potere in questo mondo. Che questo potere fosse politico, religioso, o fosse un potere esercitato quotidianamente sugli altri, in realtà poco importa. Luca legge questo evento ricordando la profezia di Michea, che abbiamo ascoltato, riguardo a un parto (cf. Mi 5,1-4a). La figlia di Sion, questa immagine, questa figura che designava per i profeti il piccolo resto, i poveri, i curvati, quelli che in ebraico vengono chiamati ‘anawim (cf. Sof 3,12-14), questa donna partorisce un bambino e lo partorisce non a Gerusalemme, non nella città santa, ma in una piccola borgata, a Betlemme; una borgata da cui David come pastore proveniva (cf. 1Sam 16,1), ma una borgata che non ha avuto alcun coinvolgimento in quello che è stato il suo regno.
Questo bambino – dice il profeta Michea – è il Signore, il discendente di David, e certamente per quelli che ascoltavano la profezia di tutti i profeti dell’Antico Testamento, doveva essere un re, un forte, un potente: così era atteso dal suo popolo. Ma ecco che Dio contraddice questa attesa degli uomini religiosi, questa attesa di quelli che erano sicuri della loro interpretazione delle Scritture, di quelli che continuavano a proclamare la venuta del Messia ma obbedendo ai loro desideri e alle loro immagini, piuttosto che attendere da Dio un’azione che poteva sempre essere nuova, inattesa, inedita.
E infatti – ci dice il vangelo – il Messia nasce ma è nient’altro che un piccolo infante, nato da una donna non conosciuta da nessuno. Nasce nella debolezza, nella povertà, in una condizione che è estranea a ogni regalità, divina o degli uomini. E proprio per questo nessuno lo riconosce come Messia e tanto meno nessuno sa vedere in lui un Dio che si è spogliato delle sue prerogative, che ha messo tra parentesi i suoi privilegi divini (cf. Fil 2,6-7), privilegi, appunto, rispetto alla condizione umana. Ecco perché solo una rivelazione, un messaggio di Dio può proclamare la vera identità di quel bambino. Ma è una rivelazione che può essere accolta solo dai poveri, i pastori. È a loro che viene detto che quel bambino è il Salvatore, che è il Cristo, il Messia, ma anche che è il Kýrios, il Signore. E proprio il segno che racconta questa identità è la fragilità estrema, la debolezza estrema, quella più radicale, quella di un neonato in una mangiatoia.
Ecco, noi celebriamo il Natale, ma dobbiamo chiederci se siamo capaci di stupirci di questo racconto della nascita di Gesù, così come se siamo capaci di stupirci di quella che sarà la sua fine, una morte in croce nel rigetto e nell’abbandono da parte di tutti. Perché in verità non riusciamo a credere un Dio così, un Dio che è un uomo debole e così piccolo come un neonato, un Dio che ha preso un volto ma – attenzione – il volto di Gesù, il corpo di Gesù. Ed è una grazia che nessuno l’abbia mai dipinto e che noi non lo conosciamo, perché è in realtà il corpo di milioni di uomini nella storia, affamati, nudi, poveri, stranieri, malati, emarginati dagli altri. Proprio questo più che mai siamo chiamati a vedere questa sera, vedendo Dio nel volto di un uomo. L’invito è dunque a vedere Dio nel volto di tutti quelli che incontriamo, soprattutto se sono piccoli e bisognosi. Questa sera guardando Gesù, il vero Gesù di Betlemme, non quello che risponde alle nostre fantasie, dovremmo sentirci dire le parole: “Ciò che avete fatto a uno così, l’avete fatto a me; ciò che avete fatto a chi è nel bisogno, l’avete fatto a me” (cf. Mt 25,31-46). A Natale la gloria di Dio – ci dice il vangelo – ha avvolto i poveri e si è fatta riconoscere nel povero, nel bisognoso, nel debole. Gesù è certamente Dio, e noi lo confessiamo, ma è innanzitutto ognuno dei nostri fratelli, ognuno degli uomini che noi incontriamo. Sappiamo vedere Dio nella quotidianità, nel volto dei fratelli, di cui Gesù è solo quell’immagine che tutti riassume, i cui tratti sono i tratti di tutti gli uomini nel bisogno e nella sofferenza?

*

Omelia del cardinale Carlo Caffarra nella Messa della notte di Natale 2014


Di seguito il testo integrale dell’omelia tenuta dal cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, nella Messa della notte di Natale 2014.
***
1.         Cari fratelli e sorelle, celebrando in questa notte santa la nascita del Verbo divino nella nostra natura e condizione umana, la Chiesa parla nei testi liturgici della luce. La luce è la parola chiave di questa liturgia notturna.
            Iniziandola abbiamo pregato: «o Dio, che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo». E nella prima lettura, il profeta ci dice: «il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse». Ed anche S. Paolo nella seconda lettura, con altre parole, parla di luce. Egli dice: «è apparsa la grazia di Dio». L’apparizione è l’irruzione della luce divina nel mondo.
            Anche nel santo Vangelo, è narrato che quando l’angelo annuncia ai pastori la nascita di Gesù, dice che ad essi apparve la gloria di Dio e «li avvolse di luce».
            Che cosa vuole dirci la parola di Dio e la Liturgia della Chiesa presentandoci la nascita di Gesù come l’irruzione di una grande luce nel nostro mondo pieno di tenebre ed incertezze?
            Voi sapete bene, cari fratelli e sorelle, che presso ogni popolo e cultura luce-tenebre denotano due condizioni spirituali in cui può trovarsi a vivere la persona umana. La luce significa conoscenza, significa verità che elimina le tenebre dell’ignoranza e dell’errore. Chi vive nella luce, conosce quale via conduce alla vita.
            Allora una seconda domanda: perché proprio questa notte – più precisamente: la nascita del Bambino di Betlemme – fa irrompere nel mondo e nella coscienza dell’uomo la luce che scaccia le tenebre dell’errore e dell’ignoranza? Rispondendo a questa domanda, entriamo in pieno nel mistero natalizio.
            La persona umana, se non vuole mutilare la sua ragione, sente il desiderio naturale di avere risposte alla sua ricerca di senso; alla sua domanda sulla costituzione ultima della realtà. Desidera incontrare il Mistero. Desidera guardare oltre le cose penultime e mettersi in ricerca di quelle ultime.
            Questa notte abbiamo la risposta a questo desiderio: Dio è quel bambino posto in una mangiatoia. Dio è così grande che può farsi piccolo; così potente che può farsi inerme; così amante dell’uomo da nascere nel modo più umile: perché l’uomo non abbia paura di accostarsi a Lui; non abbia paura di condividere con Lui la sua vicenda umana.
            La luce che rifulge in questa notte è la luce dell’Amore di Dio per l’uomo. E’ questa la verità che questa notte illumina le nostre menti, la verità di un Dio che si priva di ogni gloria per esserci vicino.
2.         Ma c’è una seconda dimensione nel mistero di luce che stiamo celebrando. Essa è brillata nella coscienza dei pastori, ed in seguito nella coscienza di ogni uomo che si accosta al Dio-bambino con umiltà.
            Cari fratelli e sorelle, il rischio più grande che corre ogni persona umana è di perdere se stessa. Quanta sofferenza portano molte persone nel buio dell’anonimato, della solitudine! Cancellati dai processi della storia, in cui conta la quantità o la massa. Era la condizione dei pastori di cui parla il Vangelo.
            Ma una luce si accende nella loro coscienza. “Se Dio mi ama fino a questo punto, quanto sono prezioso davanti ai suoi occhi, quanto sono grande!”. Questa notte per la prima volta nel cuore dell’uomo fiorì lo stupore per la sua dignità. La coscienza della dignità di ogni persona si è accesa, per la prima volta, in questa notte. Conoscendo Dio nel bambino di Betlemme, l’uomo ha conosciuto se stesso.
            Veramente, «il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce», poiché in questa notte «è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza».

*

Bagnasco: «Auguro agli italiani di non deprimersi per il malcostume»   
Corriere della Sera
 
In una intervista a Rai Uno, il cardinale Angelo Bagnasco ha detto di intravvedere il rischio di «una sfiducia radicale». L’invito è: riscoprire il «patrimonio di valori condivisi» -- L’augurio del cardinale Angelo Bagnasco agli italiani è di «non deprimersi davanti agli episodi gravi di malcostume». (...)

*

Papa Francesco e il richiamo alla «rivoluzione della tenerezza»
Corriere della Sera
 
(Gian Guido Vecchi) «Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo!». Il secondo Natale di Francesco è accompagnato dalle note dell’«Et Incarnatus est», dalla Messa in Do minore di Mozart, un canto che per Bergoglio «è insuperabile: ti porta a Dio!». E nella Basilica Vaticana, davanti al Bambinello che il Papa porta di persona nel presepe in fondo alla basilica di San Pietro, l’omelia di Francesco è un richiamo a quella «rivoluzione della tenerezza» (...) 
Natale, «Dio innamorato della nostra piccolezza» (Andrea Tornielli, Vatican Insider)

*

Le lacrime (e gli auguri) di Natale
AsiaNews
 
( Bernardo Cervellera) Col Natale Dio mostra che non si è stancato di noi. Pur fra tante guerre, ingiustizie, torture, persecuzioni, Dio non ha smesso di sperare nel cambiamento dell'uomo e viene ad aiutarlo. Il mondo vive di immobilismo sterile e di terrore apocalittico. (...)

*

Perché stiamo con Francesco 
il Fatto Quotidiano
(Antonio Padellaro) Non occorre essere credenti per avere un senso religioso della vita e per saper distinguere ciò che è bene da ciò che non lo è. Per esempio, basta assistere a una messa domenicale e anche chi ritiene che l’ostia consacrata sia soltanto un frammento di pane azzimo non potrà non riflettere sul raccoglimento delle persone che si avvicinano all’altare; su quel preciso momento in cui in esse sembra dileguarsi ogni fatica, ogni dispiacere del mondo quotidiano. Perfino l’ateo più incallito non potrà non riconoscere che quei fedeli abbiano trovato un benessere interiore che, magari per un solo istante, li renderà per così dire migliori. Lì certamente batte il cuore di una comunità unita nella fede, lì c’è la Chiesa che aiuta e che consola. Ma ne esiste un’altra di chiesa, purtroppo, ed è sufficiente leggere le quindici malattie della Curia romana secondo papa Bergoglio per comprendere come la descrizione puntuale di quei mali non riguardi soltanto le porpore vaticane smarrite nei propri vizi e affette da “Alzheimer spirituale”. Perché è così che Francesco continua a parlarci della battaglia finale tra forze opposte che convivono sotto la stessa croce. Senza scomodare gli angeli e i demoni di Dan Brown, non è uno scontro di potere: è in gioco l’affermazione o la sconfitta dei valori universali di pace, di uguaglianza, di tolleranza e di giustizia sociale, dentro ma anche oltre i confini della dottrina cattolica. Solo che, sembra avvertirci Bergoglio, la coesistenza (tante volte descritta su queste pagine da Marco Politi) tra la Chiesa della carità e la chiesa del carrierismo, tra quella altezzosamente dottrinaria e quella che preferisce stare tra la gente, è sempre più difficile e impone ormai una scelta di campo. Che non riguarda solo i cattolici, ma anche il mondo laico che non può fare finta di non vedere. Perché, se perde Francesco, con lui si consumerà una speranza formidabile di dialogo e di rinnovamento, mentre la restaurazione svuoterà di nuovo piazza San Pietro e il cuore di milioni di persone. Per questo Francesco combatte per tutti gli uomini di buona volontà. Per questo bisogna stargli accanto. PS. Al cospetto di questa affascinante e drammatica rivoluzione, fanno sorridere coloro, che solo per aver cambiato (spesso in peggio) alcune leggi, annunciano continue mirabolanti “rivoluzioni” e si sentono profeti del cambiamento. Anche a loro auguriamo buon Natale.