venerdì 19 dicembre 2014

Quell’ampia strada lunga venti secoli.




 La rivoluzione della carità

(Silvia Gusmano) «Possiamo paragonare la carità a una strada ampia che attraversa venti secoli» e si snoda lungo le manifestazioni più autentiche e forti dell’amore cristiano. A vent’anni dalla prima edizione di Storia dei poveri in Occidente, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, ripercorre questa strada, in un’opera rivista e ampliata alla luce delle vicende contemporanee, Storia della Povertà. La rivoluzione della carità dalle radici del Cristianesimo alla Chiesa di Papa Francesco (Milano, Rizzoli, 2014, pagine 626, euro 20).
Monsignor Paglia invita il lettore a seguirlo attraverso una ricca galleria di personaggi e scenari storico-geografici, che ruotano intorno a due punti fermi: la povertà, pur cambiando volto in ogni epoca, non ha mai allentato la sua morsa sugli ultimi della terra e «i grandi momenti di riforma della Chiesa sono sempre stati segnati da un rinnovato impegno in favore dei poveri».
In quanto essenza del messaggio evangelico, infatti, il privilegium pauperum ha rappresentato per la Chiesa una bussola preziosa in tanti frangenti critici. E oggi stesso, siamo testimoni dell’effetto dirompente e contagioso che ha avuto su milioni di cuori, non solo cristiani, la scelta preferenziale di Papa Francesco per gli ultimi. «Il programma del cristiano — dice Benedetto XVI — è un cuore che vede» e che, sin dalle origini, agisce in modo concreto, silenzioso, spesso eroico.
I protagonisti del libro sono sempre, prima di tutto, donne e uomini d’azione e anche un padre della Chiesa come san Basilio, monaco e vescovo, «giunge a dire che non contano digiuni, preghiere, penitenze e tante altre pratiche pie, se non si è attenti ai poveri».
La stessa conversione di san Francesco non inizia dall’incontro con Gesù nella chiesa di San Damiano, ma dall’abbraccio al lebbroso, un gesto così eclatante da essere censurato da Giotto nel suo ciclo pittorico sulla vita del Poverello di Assisi. «Chi conosce la caritas — diceva Dostoevskij — si spinge negli estremi territori della pietà e della compassione, disposto a perdersi pur di salvare una sola scintilla umana dalla rovina».
Perdersi nelle stradine malfamate che discendono verso il porto di Corinto, forti solo della Parola di Gesù, come san Paolo. Perdersi tra eremiti e poveri, prostitute e lebbrosi, diseredati e vagabondi, e vivere con loro in una nuova comunità fraterna in mezzo alla foresta, come Roberto d’Arbrissel alla fine dell’XI secolo.
Perdersi a Little Italy, tra gli immigrati, come madre Francesca Cabrini e le sue suore, «scendendo in sporchi scantinati e in certi antri — si legge sul «New York Sun» del 30 giugno 1889 — in cui nemmeno i poliziotti di New York osano entrare da soli». Perdersi in un campo di concentramento ed essere deportato e ucciso per aver nascosto alcuni ebrei dalla caccia dei nazisti, come padre Giuseppe Girotti. Perdersi in Congo, a fianco dei malati di Ebola, come le sei suore Poverelle di Bergamo, morte per non aver voluto abbandonare i loro amici.
Perdersi, come ripete più volte il presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, sulla scia dell’esempio di Gesù, con il desiderio di cambiare il mondo, ma senza la volontà di sostituirsi alle istituzioni, il cui fondamentale dovere di soccorso, assistenza e recupero delle fasce più deboli dell’umanità, non può essere delegato, neanche alla Chiesa.
Il compito dei cristiani, di fronte al dramma odierno di interi popoli affamati e milioni di bambini senza futuro — afferma monsignor Paglia — è combattere «lo straripamento della mentalità egoistica» e aprire una breccia di umanità in quell’Occidente opulento che finge di non vedere o semplicemente non è interessato a farlo.
Già in altri passaggi della lunga storia raccontata nel volume, l’atteggiamento dei ricchi nei confronti dei bisognosi è sfociato in aperto disprezzo e violenta colpevolizzazione, soprattutto a partire dall’era moderna, quando un nuovo ethos del lavoro, delineato tra gli altri da Thomas More ne L’Utopia, porta alla dura condanna di ozio, mendicità e povertà. Nel XVII secolo, in tutta Europa, i poveri, e talvolta gli stranieri, vengono reclusi in case di correzione e sottoposti a lavoro coatto, o isolati, ghettizzati, allontanati, pur di nasconderli alla vista degli “altri”. Oggi, che il mondo si divide in Paesi ricchi e Paesi poveri e la solidarietà è «considerata controproducente, contraria alla razionalità finanziaria ed economica», ignorare la miseria è sin troppo facile. A dispetto di mezzi di informazione sempre più all’avanguardia.
Da qui la missione vitale della Chiesa e di una fede che, come diceva Giovanni Paolo II, «crei cultura», ispiri «un senso condiviso di giustizia», rimetta al centro della visione politica la persona umana e la sua dignità.
L'Osservatore Romano