mercoledì 24 dicembre 2014

Santa Messa della Notte nella Solennità del Natale del Signore. Omelia di Papa Francesco



Santa Messa della Notte nella Solennità del Natale del Signore. Omelia di Papa Francesco: "Lungo il cammino della storia, la luce che squarcia il buio ci rivela che Dio è Padre e che la sua paziente fedeltà è più forte delle tenebre e della corruzione. In questo consiste l’annuncio della notte di Natale"
Sala stampa della Santa Sede
[Text: Italiano, Français, English, Español, Português]
Il segno (...) indica frasi aggiunte dal Santo Padre e pronunciate a braccio.
- "La profezia di Isaia annuncia il sorgere di una immensa luce che squarcia il buio. Essa nasce a Betlemme e viene accolta dalle mani amorevoli di Maria, dall’affetto di Giuseppe, dallo stupore dei pastori."
- "Quando ci rendiamo conto che Dio è innamorato della nostra piccolezza, che Egli stesso si fa piccolo per incontrarci meglio, non possiamo non aprirgli il nostro cuore, e supplicarlo: “Signore, aiutami ad essere come te, donami la grazia della tenerezza nelle circostanze più dure della vita, donami la grazia della prossimità di fronte ad ogni necessità, della mitezza in qualsiasi conflitto”."

Alle ore 21.30, il Santo Padre Francesco presiede, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa della Notte per la Solennità del Natale del Signore 2014. Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa tiene la seguente omelia:
«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1). «Un angelo del Signore si presentò [ai pastori] e la gloria del Signore li avvolse di luce» (Lc 2,9). Così la liturgia di questa santa notte di Natale ci presenta la nascita del Salvatore: come luce che penetra e dissolve la più densa oscurità. La presenza del Signore in mezzo al suo popolo cancella il peso della sconfitta e la tristezza della schiavitù, e instaura la gioia e la letizia.
Anche noi, in questa notte benedetta, siamo venuti alla casa di Dio attraversando le tenebre che avvolgono la terra, ma guidati dalla fiamma della fede che illumina i nostri passi e animati dalla speranza di trovare la “grande luce”. Aprendo il nostro cuore, abbiamo anche noi la possibilità di contemplare il miracolo di quel bambino-sole che rischiara l’orizzonte sorgendo dall’alto.
L’origine delle tenebre che avvolgono il mondo si perde nella notte dei tempi. Ripensiamo all’oscuro momento in cui fu commesso il primo crimine dell’umanità, quando la mano di Caino, accecato dall’invidia, colpì a morte il fratello Abele (cfr Gen 4,8). Così, il corso dei secoli è stato segnato da violenze, guerre, odio, sopraffazione. Ma Dio, che aveva riposto le proprie attese nell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza, aspettava.  (...) Egli ha atteso talmente a lungo che forse ad un certo punto avrebbe dovuto rinunciare. Invece non poteva rinunciare, non poteva rinnegare sé stesso (cfr 2 Tm 2,13). Perciò ha continuato ad aspettare con pazienza di fronte alla corruzione di uomini e popoli.  (...) 
Lungo il cammino della storia, la luce che squarcia il buio ci rivela che Dio è Padre e che la sua paziente fedeltà è più forte delle tenebre e della corruzione. In questo consiste l’annuncio della notte di Natale. Dio non conosce lo scatto d’ira e l’impazienza; è sempre lì, come il padre della parabola del figlio prodigo, in attesa di intravedere da lontano il ritorno del figlio perduto.  (...) La profezia di Isaia annuncia il sorgere di una immensa luce che squarcia il buio. Essa nasce a Betlemme e viene accolta dalle mani amorevoli di Maria, dall’affetto di Giuseppe, dallo stupore dei pastori. Quando gli angeli annunciarono ai pastori la nascita del Redentore, lo fecero con queste parole: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Il “segno” è proprio l’umiltà di Dio portata all’estremo; è l’amore con cui, quella notte, Egli ha assunto la nostra fragilità, la nostra sofferenza, le nostre angosce, i nostri desideri e i nostri limiti. Il messaggio che tutti aspettavano, quello che tutti cercavano nel profondo della propria anima, non era altro che la tenerezza di Dio: Dio che ci guarda con occhi colmi di affetto, che accetta la nostra miseria, Dio innamorato della nostra piccolezza. In questa santa notte, mentre contempliamo il Bambino Gesù appena nato e deposto in una mangiatoia, siamo invitati a riflettere. Come accogliamo la tenerezza di Dio? Mi lascio raggiungere da Lui, mi lascio abbracciare, oppure gli impedisco di avvicinarsi? “Ma io cerco il Signore” – potremmo ribattere. Tuttavia, la cosa più importante non è cercarlo, bensì lasciare che sia Lui a cercarmi, a trovarmi e ad accarezzarmi con amorevolezza. Questa è la domanda che il Bambino ci pone con la sua sola presenza: permetto a Dio di volermi bene?
E ancora: abbiamo il coraggio di accogliere con tenerezza le situazioni difficili e i problemi di chi ci sta accanto, oppure preferiamo le soluzioni impersonali, magari efficienti ma prive del calore del Vangelo? Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo!  (...) 
La risposta del cristiano non può essere diversa da quella che Dio dà alla nostra piccolezza. La vita va affrontata con bontà, con mansuetudine. Quando ci rendiamo conto che Dio è innamorato della nostra piccolezza, che Egli stesso si fa piccolo per incontrarci meglio, non possiamo non aprirgli il nostro cuore, e supplicarlo: “Signore, aiutami ad essere come te, donami la grazia della tenerezza nelle circostanze più dure della vita, donami la grazia della prossimità di fronte ad ogni necessità, della mitezza in qualsiasi conflitto”.
Cari fratelli e sorelle, in questa notte santa contempliamo il presepe: lì «il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (Is 9,1). La vide la gente semplice, disposta ad accogliere il dono di Dio. Al contrario, non la videro gli arroganti, i superbi, coloro che stabiliscono le leggi secondo i propri criteri personali, quelli che assumono atteggiamenti di chiusura. Guardiamo il presepe e preghiamo, chiedendo alla Vergine Madre: “O Maria, mostraci Gesù!”.
Francese
« Le peuple qui marchait dans les ténèbres a vu se lever une grande lumière ; et sur les habitants du pays de l’ombre, une lumière a resplendi » (Is 9, 1). « L’ange du Seigneur se présenta devant eux [les pasteurs] et la gloire du Seigneur les enveloppa de sa lumière » (Lc 2, 9). C’est ainsi que la liturgie de cette sainte nuit de Noël nous présente la naissance du Sauveur : comme une lumière qui pénètre et dissout l’obscurité la plus dense. La présence du Seigneur au milieu de son peuple efface le poids de la défaite et la tristesse de l’esclavage, et instaure la joie et l’allégresse.
Nous aussi, en cette nuit sainte, nous sommes venus dans la maison de Dieu en traversant les ténèbres qui enveloppent la terre, mais guidés par la flamme de la foi qui éclaire nos pas et animés par l’espérance de trouver la ‘‘grande lumière’’. En ouvrant notre coeur, nous avons, nous aussi, la possibilité de contempler le miracle de cet enfant-soleil qui éclaircit l’horizon en surgissant d’en-haut.
L’origine des ténèbres qui enveloppent le monde se perd dans la nuit des temps. Repensons au moment obscur où a été commis le premier crime de l’humanité, quand la main de Caïn, aveuglé par la jalousie, a frappé à mort son frère Abel (cf. Gn 4, 8). Ainsi, le cours des siècles a été marqué par des violences, des guerres, la haine et des abus. Mais Dieu, qui avait placé ses propres attentes en l’homme fait à son image et à sa ressemblance, attendait. Il a attendu tellement longtemps que peut-être à un certain moment il aurait dû renoncer. Mais il ne pouvait renoncer, il ne pouvait pas se renier lui-même (cf. 2 Tm 2, 13). C’est pourquoi, il a continué à attendre avec patience face à la corruption des hommes et des peuples.
Au long du chemin de l’histoire, la lumière qui perce l’obscurité nous révèle que Dieu est Père et que sa patiente fidélité est plus forte que les ténèbres et la corruption. C’est en cela que consiste l’annonce de la nuit de Noël. Dieu ne connaît pas d’accès de colère et l’impatience ; il est toujours là, comme le père de la parabole du fils prodigue, dans l’attente d’entrevoir de loin le retour du fils perdu.
La prophétie d’Isaïe annonce l’apparition d’une immense lumière qui perce l’obscurité. Elle naît à Bethléem et elle est accueillie par les tendres mains de Marie, par l’affection de Joseph, par l’étonnement des bergers. Quand les anges ont annoncé aux bergers la naissance du Rédempteur, ils l’ont fait avec ces paroles : ‘‘Et voici le signe qui vous est donné : vous trouverez un nouveau-né emmailloté et couché dans une mangeoire » (Lc 2, 12). Le ‘‘signe’’ c’est l’humilité de Dieu porté à l’extrême ; c’est l’amour avec lequel, cette nuit, il a assumé notre fragilité, notre souffrance, nos angoisses, nos désirs et nos limites. Le message que tous attendaient, le message que tous cherchaient dans la profondeur de leur âme, n’était autre que la tendresse de Dieu : Dieu qui nous regarde avec des yeux pleins d’affection, qui accepte notre misère, Dieu amoureux de notre petitesse.
En cette sainte nuit, tandis que nous contemplons l’Enfant Jésus qui vient de naître et d’être déposé dans une mangeoire, nous sommes invités à réfléchir. Comment accueillons-nous la tendresse de Dieu ? Est-ce que je me laisse rejoindre par lui, est-ce que je me laisse embrasser, ou bien est-ce que je l’empêche de s’approcher ? ‘‘Mais je cherche le Seigneur’’ – pourrions nous rétorquer. Toutefois, la chose la plus importante n’est pas de le chercher, mais plutôt de faire en sorte que ce soit lui qui me trouve et qui me caresse avec amour. Voici la question que nous pose l’Enfant par sa seule présence : est-ce que je permets à Dieu de m’aimer ? Et encore : avons-nous le courage d’accueillir avec tendresse les situations difficiles et les problèmes de celui qui est à côté de nous, ou bien préférons-nous les solutions impersonnelles, peut-être efficaces mais dépourvues de la chaleur de l’Évangile ? Combien le monde a besoin de tendresse aujourd’hui !
La réponse du chrétien ne peut être différente de celle que Dieu donne à notre petitesse. La vie doit être affrontée avec bonté, avec mansuétude. Quand nous nous rendons compte que Dieu est amoureux de notre petitesse, que lui-même se fait petit pour mieux nous rencontrer, nous ne pouvons pas ne pas lui ouvrir notre coeur et le supplier : ‘‘Seigneur, aide-moi à être comme toi, donne-moi la grâce de la tendresse dans les circonstances les plus dures de la vie, donne-moi la grâce de la proximité face à toute nécessité, de la douceur dans n’importe quel conflit’’. Chers frères et soeurs, en cette nuit sainte, contemplons la crèche : là, ‘‘le peuple qui marchait dans les ténèbres a vu se lever une grande lumière’’ (Is 9, 1). Les gens simples, disposés à accueillir le don de Dieu, l’ont vue. Au contraire, les arrogants, les orgueilleux, ceux qui établissent les lois selon leurs propres critères personnels, ceux qui assument des attitudes de fermeture, ne l’ont pas vue. Regardons la crèche et prions, en demandant à la Vierge Mère : ‘‘ Ô Marie, montre-nous Jésus’’.
Inglese
“The people who walked in darkness have seen a great light; those who dwelt in a land of deep darkness, on them has light shined” (Is 9:1). “An angel of the Lord appeared to [the shepherds] and the glory of the Lord shone around them” (Lk 2:9). This is how the liturgy of this holy Christmas night presents to us the birth of the Saviour: as the light which pierces and dispels the deepest darkness. The presence of the Lord in the midst of his people cancels the sorrow of defeat and the misery of slavery, and ushers in joy and happiness.
We too, in this blessed night, have come to the house of God. We have passed through the darkness which envelops the earth, guided by the flame of faith which illuminates our steps, and enlivened by the hope of finding the “great light”. By opening our hearts, we also can contemplate the miracle of that child-sun who, arising from on high, illuminates the horizon. The origin of the darkness which envelops the world is lost in the night of the ages. Let us think back to that dark moment when the first crime of humanity was committed, when the hand of Cain, blinded by envy, killed his brother Abel (cf. Gen 4:8). As a result, the unfolding of the centuries has been marked by violence, wars, hatred and oppression. But God, who placed a sense of expectation within man made in his image and likeness, was waiting. He waited for so long that perhaps at a certain point it seemed he should have given up. But he could not give up because he could not deny himself (cf. 2 Tim 2:13). Therefore he continued to wait patiently in the face of the corruption of man and peoples.
Through the course of history, the light that shatters the darkness reveals to us that God is Father and that his patient fidelity is stronger than darkness and corruption. This is the message of Christmas night. God does not know outbursts of anger or impatience; he is always there, like the father in the parable of the prodigal son, waiting to catch from afar a glimpse of the lost son as he returns.
Isaiah’s prophecy announces the rising of a great light which breaks through the night. This light is born in Bethlehem and is welcomed by the loving arms of Mary, by the love of Joseph, by the wonder of the shepherds. When the angels announced the birth of the Redeemer to the shepherds, they did so with these words: “This will be a sign for you: you will find a baby wrapped in swaddling clothes and lying in a manger” (Lk 2:12). The “sign” is the humility of God taken to the extreme; it is the love with which, that night, he assumed our frailty, our suffering, our anxieties, our desires and our limitations. The message that everyone was expecting, that everyone was searching for in the depths of their souls, was none other than the tenderness of God: God who looks upon us with eyes full of love, who accepts our poverty, God who is in love with our smallness.
On this holy night, while we contemplate the Infant Jesus just born and placed in the manger, we are invited to reflect. How do we welcome the tenderness of God? Do I allow myself to be taken up by God, to be embraced by him, or do I prevent him from drawing close? “But I am searching for the Lord” – we could respond. Nevertheless, what is most important is not seeking him, but rather allowing him to find me and caress me with tenderness. The question put to us simply by the Infant’s presence is: do I allow God to love me?
More so, do we have the courage to welcome with tenderness the difficulties and problems of those who are near to us, or do we prefer impersonal solutions, perhaps effective but devoid of the warmth of the Gospel? How much the world needs tenderness today! The Christian response cannot be different from God’s response to our smallness. Life must be met with goodness, with meekness. When we realize that God is in love with our smallness, that he made himself small in order to better encounter us, we cannot help but open our hearts to him, and beseech him: “Lord, help me to be like you, give me the grace of tenderness in the most difficult circumstances of life, give me the grace of closeness in the face of every need, of meekness in every conflict”.
Dear brothers and sisters, on this holy night we contemplate the Nativity scene: there “the people who walked in darkness have seen a great light” (Is 9:1). People who were unassuming, open to receiving the gift of God, were the ones who saw this light. This light was not seen, however, by the arrogant, the proud, by those who made laws according to their own personal measures, who were closed off to others. Let us look to the crib and pray, asking the Blessed Mother: “O Mary, show us Jesus!”.
Spagnolo
«El pueblo que caminaba en tinieblas vio una luz grande; habitaban tierras de sombras y una luz les brilló» (Is 9,1). «Un ángel del Señor se les presentó [a los pastores]: la gloria del Señor los envolvió de claridad» (Lc 2,9). De este modo, la liturgia de la santa noche de Navidad nos presenta el nacimiento del Salvador como luz que irrumpe y disipa la más densa oscuridad. La presencia del Señor en medio de su pueblo libera del peso de la derrota y de la tristeza de la esclavitud, e instaura el gozo y la alegría.
También nosotros, en esta noche bendita, hemos venido a la casa de Dios atravesando las tinieblas que envuelven la tierra, guiados por la llama de la fe que ilumina nuestros pasos y animados por la esperanza de encontrar la «luz grande». Abriendo nuestro corazón, tenemos también nosotros la posibilidad de contemplar el milagro de ese niño-sol que, viniendo de lo alto, ilumina el horizonte.
El origen de las tinieblas que envuelven al mundo se pierde en la noche de los tiempos. Pensemos en aquel oscuro momento en que fue cometido el primer crimen de la humanidad, cuando la mano de Caín, cegado por la envidia, hirió de muerte a su hermano Abel (cf. Gn 4,8). También el curso de los siglos ha estado marcado por la violencia, las guerras, el odio, la opresión. Pero Dios, que había puesto sus esperanzas en el hombre hecho a su imagen y semejanza, aguardaba pacientemente. Esperó durante tanto tiempo, que quizás en un cierto momento hubiera tenido que renunciar. En cambio, no podía renunciar, no podía negarse a sí mismo (cf. 2 Tm 2,13). Por eso ha seguido esperando con paciencia ante la corrupción de los hombres y de los pueblos.
A lo largo del camino de la historia, la luz que disipa la oscuridad nos revela que Dios es Padre y que su paciente fidelidad es más fuerte que las tinieblas y que la corrupción. En esto consiste el anuncio de la noche de Navidad. Dios no conoce los arrebatos de ira y la impaciencia; está siempre ahí, como el padre de la parábola del hijo pródigo, esperando atisbar a lo lejos el retorno del hijo perdido.
La profecía de Isaías anuncia la aparición de una gran luz que disipa la oscuridad. Esa luz nació en Belén y fue recibida por las manos tiernas de María, por el cariño de José, por el asombro de los pastores. Cuando los ángeles anunciaron a los pastores el nacimiento del Redentor, lo hicieron con estas palabras: «Y aquí tenéis la señal: encontraréis un niño envuelto en pañales y acostado en un pesebre» (Lc 2,12). La «señal» es la humildad de Dios llevada hasta el extremo; es el amor con el que, aquella noche, asumió nuestra fragilidad, nuestros sufrimientos, nuestras angustias, nuestros anhelos y nuestras limitaciones. El mensaje que todos esperaban, que buscaban en lo más profundo de su alma, no era otro que la ternura de Dios: Dios que nos mira con ojos llenos de afecto, que acepta nuestra miseria, Dios enamorado de nuestra pequeñez.
Esta noche santa, en la que contemplamos al Niño Jesús apenas nacido y acostado en un pesebre, nos invita a reflexionar. ¿Cómo acogemos la ternura de Dios? ¿Me dejo alcanzar por él, me dejo abrazar por él, o le impido que se acerque? «Pero si yo busco al Señor» –podríamos responder–. Sin embargo, lo más importante no es buscarlo, sino dejar que sea él quien me encuentre y me acaricie con cariño. Ésta es la pregunta que el Niño nos hace con su sola presencia: ¿permito a Dios que me quiera?
Y más aún: ¿tenemos el coraje de acoger con ternura las situaciones difíciles y los problemas de quien está a nuestro lado, o bien preferimos soluciones impersonales, quizás eficaces pero sin el calor del Evangelio? ¡Cuánta necesidad de ternura tiene el mundo de hoy! La respuesta del cristiano no puede ser más que aquella que Dios da a nuestra pequeñez. La vida tiene que ser vivida con bondad, con mansedumbre. Cuando nos damos cuenta de que Dios está enamorado de nuestra pequeñez, que él mismo se hace pequeño para propiciar el encuentro con nosotros, no podemos no abrirle nuestro corazón y suplicarle: «Señor, ayúdame a ser como tú, dame la gracia de la ternura en las circunstancias más duras de la vida, concédeme la gracia de la cercanía en las necesidades de los demás, de la humildad en cualquier conflicto». Queridos hermanos y hermanas, en esta noche santa contemplemos el misterio: allí «el pueblo que caminaba en tinieblas vio una luz grande» (Is 9,1). La vio la gente sencilla, dispuesta a acoger el don de Dios. En cambio, no la vieron los arrogantes, los soberbios, los que establecen las leyes según sus propios criterios personales, los que adoptan actitudes de cerrazón. Miremos al misterio y recemos, pidiendo a la Virgen Madre: «María, muéstranos a Jesús».
Portoghese
«O povo que andava nas trevas viu uma grande luz; habitavam numa terra de sombras, mas uma luz brilhou sobre eles»(Is 9,1). «Um anjo do Senhor apareceu [aos pastores], e a glória do Senhor refulgiu em volta deles» (Lc 2,9). É assim que a Liturgia desta santa noite de Natal nos apresenta o nascimento do Salvador: como luz que penetra e dissolve a mais densa escuridão. A presença do Senhor no meio do seu povo cancela o peso da derrota e a tristeza da escravidão e restabelece o júbilo e a alegria.
Também nós, nesta noite abençoada, viemos à casa de Deus atravessando as trevas que envolvem a terra, mas guiados pela chama da fé que ilumina os nossos passos e animados pela esperança de encontrar a «grande luz». Abrindo o nosso coração, temos, também nós, a possibilidade de contemplar o milagre daquele menino-sol que, surgindo do alto, ilumina o horizonte.
A origem das trevas que envolvem o mundo perde-se na noite dos tempos. Pensemos no obscuro momento em que foi cometido o primeiro crime da humanidade, quando a mão de Caim, cego pela inveja, feriu de morte o irmão Abel (cf. Gn 4, 8). Assim, o curso dos séculos tem sido marcado por violências, guerras, ódio, prepotência. Mas Deus, que havia posto suas expectativas no homem feito à sua imagem e semelhança, esperava. O tempo de espera fez-se tão longo que a certo momento, quiçá, deveria renunciar; mas Ele não podia renunciar, não podia negar-Se a Si mesmo (cf. 2 Tm 2, 13). Por isso, continuou a esperar pacientemente face à corrupção de homens e povos.
Ao longo do caminho da história, a luz que rasga a escuridão revela-nos que Deus é Pai e que a sua paciente fidelidade é mais forte do que as trevas e do que a corrupção. Nisto consiste o anúncio da noite de Natal. Deus não conhece a explosão de ira nem a impaciência; permanece lá, como o pai da parábola do filho pródigo, à espera de vislumbrar ao longe o regresso do filho perdido.
A profecia de Isaías anuncia a aurora duma luz imensa que rasga a escuridão. Ela nasce em Belém e é acolhida pelas mãos amorosas de Maria, pelo afecto de José, pela maravilha dos pastores. Quando os anjos anunciaram aos pastores o nascimento do Redentor, fizeram-no com estas palavras: «Isto vos servirá de sinal: encontrareis um menino envolto em panos e deitado numa manjedoura» (Lc 2, 12). O «sinal» é a humildade de Deus levada ao extremo; é o amor com que Ele, naquela noite, assumiu a nossa fragilidade, o nosso sofrimento, as nossas angústias, os nossos desejos e as nossas limitações. A mensagem que todos esperavam, que todos procuravam nas profundezas da própria alma, mais não era que a ternura de Deus: Deus que nos fixa com olhos cheios de afecto, que aceita a nossa miséria, Deus enamorado da nossa pequenez. Nesta noite santa, ao mesmo tempo que contemplamos o Menino Jesus recém-nascido e reclinado numa manjedoura, somos convidados a reflectir. Como acolhemos a ternura de Deus? Deixo-me alcançar por Ele, deixo-me abraçar, ou impeço-Lhe de aproximar-Se? «Oh não, eu procuro o Senhor!»– poderíamos replicar. Porém a coisa mais importante não é procurá-Lo, mas deixar que seja Ele a encontrar-me e cobrir-me amorosamente das suas carícias. Esta é a pergunta que o Menino nos coloca com a sua mera presença: permito a Deus que me queira bem? E ainda: temos a coragem de acolher, com ternura, as situações difíceis e os problemas de quem vive ao nosso lado, ou preferimos as soluções impessoais, talvez eficientes mas desprovidas do calor do Evangelho? Quão grande é a necessidade que o mundo tem hoje de ternura!
A resposta do cristão não pode ser diferente da que Deus dá à nossa pequenez. A vida deve ser enfrentada com bondade, com mansidão. Quando nos damos conta de que Deus Se enamorou da nossa pequenez, de que Ele mesmo Se faz pequeno para melhor nos encontrar, não podemos deixar de Lhe abrir o nosso coração pedindo-Lhe: «Senhor, ajudai-me a ser como Vós, concedeime a graça da ternura nas circunstâncias mais duras da vida, dai-me a graça de me aproximar ao ver qualquer necessidade, a graça da mansidão em qualquer conflito».

Queridos irmãos e irmãs, nesta noite santa, contemplamos o presépio: nele,«o povo que andava nas trevas viu uma grande luz» (Is 9,1). Viram-na as pessoas simples, dispostas a acolher o dom de Deus. Pelo contrário, não a viram os arrogantes, os soberbos, aqueles que estabelecem as leis segundo os próprios critérios pessoais, aqueles que assumem atitudes de fechamento. Olhemos o presépio e façamos este pedido à Virgem Mãe: «Ó Maria, mostrai-nos Jesus!»