domenica 28 dicembre 2014

Semi che sbocceranno nel futuro



Gesù nelle visioni di Benedetto e Francesco. 

Pubblichiamo una nostra traduzione di un articolo del rettore del Seminario rabbinico latinoamericano di Buenos Aires uscito sul quotidiano argentino «La Nación» del 24 dicembre scorso.
(Abraham Skorka) È nei testi non strutturati che si possono apprezzare chiaramente le idee e i concetti che i loro autori hanno sviluppato e sostenuto. I libri di divulgazione permettono allo scienziato, senza il rigore della definizione esatta e la complessità delle equazioni richieste dalle pubblicazioni specializzate, di esprimere nitidamente la linea del suo pensiero mediante un lessico semplice. Questo compito può realizzarlo con successo solo chi possiede una conoscenza molto profonda dei diversi temi. Nel campo della religione, e specialmente nel cattolicesimo, i testi non magistrali dei teologi che affrontano questioni religiose permettono comunque di conoscere la quintessenza della loro fede. 
Un testo con queste caratteristiche è il Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI. È un libro in cui, come lui stesso rivela, si riflette la sua ricerca personale del “volto del Signore”. Al di là delle sue interpretazioni dei racconti, delle parabole e di altri eventi narrati nei Vangeli, risalta, a mio modesto parere, l’introduzione dal titolo Un primo sguardo sul mistero di Gesù. 
Seguendo una costruzione logica simile a quella dei maestri del Talmud, Ratzinger espone al lettore l’apparente contraddizione di due versetti del Deuteronomio. In uno (18, 15) Mosè afferma che Dio invierà tra i suoi fratelli un profeta pari a lui, nell’altro (34, 10) che «non è più sorto in Israele un profeta come Mosè». Ratzinger supera la contraddizione interpretando la figura di Gesù come uno stadio profetico superiore a quello di Mosè e identificandola con quella del profeta la cui venuta è annunciata nel quinto libro del Pentateuco.
Come Mosè ebbe un rapporto di vicinanza con il Creatore, anche Gesù — secondo Ratzinger — ebbe un simile rapporto, ma in grado superlativo. 
Qualche tempo dopo l’uscita del libro di Ratzinger in castigliano, commentai con l’allora arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Bergoglio, quanto mi sembrava innovativa la presentazione del tema da parte di Benedetto XVI. L’immagine di Gesù più vincolata alla sua condizione umana, profetica, si avvicinava all’immagine che un ebreo può plasmare leggendo i Vangeli e tenendo presente il grado di spiritualità degli abitanti della Giudea del primo secolo di questa era. Percepivo che nell’atteggiamento di Ratzinger c’era una certa convergenza con l’immagine del Rabbino, di grande carisma e spiritualità, con cui molti ricercatori ebrei, come i noti Joseph Klausner e David Flusser, avevano contemplato Gesù nelle loro indagini. Bergoglio concordò con le mie considerazioni.
Quando Bergoglio è stato eletto Papa, dato il libro di dialoghi che abbiamo pubblicato insieme e i trentuno programmi di dialogo che abbiamo registrato, tra le tante altre cose, molti media mi hanno posto domande sul suo pensiero, sul suo modo di essere e di agire. Le mie risposte hanno enfatizzato la sua umiltà, il suo impegno verso i poveri e i bisognosi, la sua lotta per riscattare dalla miseria le persone spogliate di tutto, la sua assoluta coerenza e la sua volontà di aprire le porte della Chiesa a tutti. Erano qualità di cui potevo offrire una testimonianza precisa vista la nostra profonda e fraterna amicizia. 
Dopo aver sottolineato tali qualità a diversi media, mi sono reso conto che la sua condotta e i suoi atteggiamenti s’ispiravano alle azioni e alla parole di Gesù che si trovano nei Vangeli. 
Ho esaminato alcuni punti insieme al Papa riguardo al viaggio in Terra Santa e in particolare all’incontro con Peres e Abbas in Vaticano. Prima e dopo tale incontro, e soprattutto durante e dopo l’ultimo conflitto tra Gaza e Israele, molti hanno definito quella speciale invocazione per la pace un atto insignificante. Francesco ha ponderato pubblicamente e privatamente la sua importanza. Questi due atteggiamenti riflettono una visione diversa dell’esistenza. 
Da un lato ci sono quelli che compiono i propri atti di vita in funzione di un presente immanente, dall’altro ci sono quelli che proiettano i propri atti del presente in un futuro trascendente. Gesù, come i rabbini del suo tempo, insegnava l’importanza di vivere gettando semi attraverso le azioni che si compiono, semi che germoglieranno pienamente nel “mondo a venire”, in contrapposizione con un’esistenza che considera solo i bisogni di un “mondo del presente”. L’incontro in Vaticano getterà la sua luce in un futuro in cui il buon senso prevarrà nuovamente tra gli uomini. 
È questo l’atteggiamento che condivido pienamente con il Papa. Lui ispirandosi a Gesù, io agli insegnamenti dei maestri del Talmud.
Le azioni di Francesco devono essere viste in questa ottica. Egli sta plasmando gesti con sommo coraggio, al di là delle critiche di quanti sono soliti intraprendere la strada dei circoli viziosi che mantengono conflitti e disaccordi di generazione in generazione. Si sta dando da fare per lasciare nella storia segni di ricerca di pace e d’intesa che possano illuminare le azioni degli uomini in futuro. 
Gesù ha ispirato Bergoglio ad agire con molta umiltà, sapendo allo stesso tempo che un uomo può fare la differenza nel cammino dell’esistenza umana.
Se Francesco è succeduto a Benedetto XVI come vescovo di Roma, è stato per molteplici ragioni. Forse il fatto che siano accomunati da una vicinanza speciale al significato più umano di Gesù, nella concezione della fede cattolica, è un ulteriore segno della coerenza dell’elezione di Bergoglio come successore di Ratzinger. L’essenza ultima di questa comune visione di Gesù è che nell’amore che sa unire gli individui bisogna trovare il “volto di Dio”.
Servano queste riflessioni come saluto a tutti coloro che festeggeranno la nascita di Gesù, con l’augurio che possano trovare nella loro gioia la rinnovata speranza e l’impegno per la costruzione di un mondo migliore.
L'Osservatore Romano