venerdì 28 febbraio 2014

Sabato della VII settimana del Tempo Ordinario



L'ascensore che deve innalzarmi fino al Cielo sono le vostre braccia, Gesù!
Per questo non ho bisogno di crescere, al contrario bisogna che resti piccola,
che lo divenga sempre più.
Dio mio, avete superato la mia speranza,
ed io voglio cantare le vostre misericordie.

Santa Teresa di Lisieux




Dal Vangelo secondo Marco 10,13-16.

Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva.


Il commento

I discepoli di Gesù sono un vero mistero. Gesù li ha istruiti mostrando loro che cosa sia un discepolo. Li ha chiamati, eletti, amati, proprio perchè piccoli, perchè bambini. Ed essi sgridano chi presenta a Gesù dei bambini perchè li accarezzasse. Un mistero di stoltezza. La nostra. In fondo, non capendo non si può accogliere. Lo stolto non può penetrare il pensiero di Dio. Esso è lontano da lui quanto il cielo sovrasta la terra. La gratuità non è nel registro del pensiero dell'uomo. Pietro ne aveva dato dimostrazione quando si è messo di traverso sul cammino d'amore di Gesù. Cosa ha da offrire un bambino? Quali meriti? Nell'Israele del primo secolo il bambino era un simbolo di mancanza di stato sociale e di diritti legali. Era una sorta di "non-persona", completamente dipendente dagli altri per il sostentamento e la protezione. Poco più che nulla. San Paolo scrivendo ai Corinzi circa la loro elezione dirà: "Considerate bene la vostra chiamata fratelli. Non esistono molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti di nobili natali. Ma quel che esiste di folle nel mondo, proprio questo Dio ha scelto per confondere i sapienti; quello che esiste di debole nel mondo, ecco che Dio lo ha scelto per confondere la forza; quel che nel mondo è di ignobili natali (i figli di nessuno), e quello che viene disprezzato, ecco quello che Dio ha scelto: quello che non è per annientare quello che è, affinchè nessuna carne abbia a gloriarsi davanti a Dio" (1 Cor. 1,26-29). Dio ha scelto gente ignobile, disprezzata, figli senza genitori, abbandonati. Dio è andato per orfanotrofi a cercarsi i discepoli. E' sceso nei luoghi senza amore, senza dignità, nel nulla. Così ha chiamato Abramo, così il suo popolo, così i profeti, così Davide. Così il Suo Figlio, disprezzato, reietto, rifiuto degli uomini. Così ciascuno di noi, bambini, creature del tutto dipendenti, incapaci di tutto. Soprattutto, bambini abbandonati, di nessun valore agli occhi del mondo. Bambini capricciosi, spesso egoisti, ancor più spesso orgogliosi. Bambini che si son creduti adulti, e ricchi, e potenti. Autonomi. Bambini ingannati dallo splendore effimero di ciò che appariva bello e desiderabile. Bambini buttati via. Nulla, assolutamente nulla. Sin qui è giunto l'amore di Dio. In questo abisso è sceso il Signore, negli inferi del nostro nulla. Qui è il luogo dell'appuntamento, lo stadio della partita decisiva. 

Il suo amore, le sue mani benedicenti, le sue mani crocifisse ci vengono incontro oggi a svellere i cardini dell'orgoglio. Il suo amore disarma l'orgoglioIl suo amore proteso oggi su ciascuno di noi è la buona notizia d'una speranza. Il veleno che portiamo dentro si ribella, si agita, sgrida chiunque ci voglia condurre al Signore perché ci benedica. Lo spirito malvagio che s'è impossessato di noi non può accettare il cammino di conversione sul quale la Chiesa ci accompagna. L'avversario sa bene che nell'incontro con le mani di Gesù la nostra vita sarebbe salva, si chiuderebbero le porte del Regno dei Cieli. Se cattolici lo dobbiamo essere come "adulti"; comunque che nessuno si permetta di apostrofarci come bambini, abbiamo esperienza da vendere noi, non siamo sottomessi a nessuno! Ma è più forte l'indignazione di Gesù. La stessa che appare dinanzi all'opera nascosta e subdola del demonio, il dolore acuto che muove le viscere di misericordia di Gesù. Lui è geloso di tutti noi, non può esservi che indignazione dinanzi all'inganno di cui siamo preda. La sua voce tuona e dirada le nebbie dei nostri pensieri, delle paure, delle mormorazioni. La sua voce incatena il demonio al suo rantolo di gelosia. L'ultimo.
"Lasciate che i bambini vengano a me", Lui ci vuole a sé. Ci ha chiamati per stare con Lui. E' Lui che il Padre ha inviato all'orfanotrofio che è la nostra vita. E' Lui il Fratello che viene a riscattarci per farci, in Lui, figli adottivi del Suo Padre. E' Lui che brucia ogni tentativo del demonio di impedire, vietare, proibire che la nostra debolezza sia oggetto del suo amore, delle sue benedizioni. La nostra debolezza, l'essere bambini, disprezzati, deboli, capricciosi, inutili, dipendenti in tutto, l'essere quel che siamo non impedisce l'essere di Gesù. Anzi, il Regno dei Cieli, la Vita eterna in Lui è proprio dei bambini. La costruzione greca della frase infatti dice letteralmente che il Regno "a costoro appartiene". E' nostro, esattamente così come siamo. Le mani di Gesù che ci abbracciano, le sue mani che ci stringono, sono esse il nostro vero desiderio, l'unico, il più profondo.Qualcuno che ci accolga così come siamo, qualcuno che ci stringa a sé senza chieder nulla, senza esigere. Gratuitamente. La sua voce, le sue parole che ci attirano vincendo ogni impedimento orgoglioso; le sue mani che ci accolgono e ci stringono in un abbraccio misericordioso che colma ogni nostro vuoto. Il suo amore è il Cielo qui ed ora davanti a noi, è quello che abbiamo atteso, desiderato. E' la libertà. Da noi stessi, dal dover essere, dal dover fare. E' la felicità piena, è la beatitudine dei piccoli, dei poveri, è il Regno dei Cieli. Occorre solo accoglierlo come un bambino, come chi non ha nulla se non un bisogno infinito d'amore, di perdono, d'aiuto. Accogliere la buona notizia del Regno come chi non ha niente, ma proprio niente da dare se non la Grazia del suo stesso amore che lo ha fatto esistere e desiderare: «Dio tocca il cuore dell'uomo con l'illuminazione dello Spirito Santo, in modo che né l'uomo resti assolutamente inerte subendo quell'ispirazione, che certo può anche respingere, né senza la grazia divina, con la sua libera volontà, possa incamminarsi alla giustizia dinanzi a Dio» (Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 5: DS 1525). Accogliere come un bambino che conosce intimamente l'amore di suo padre, non ne dubita, si lascia abbracciare, e perdonare, e amare. Ed è felice così. Il Regno, per lui, sono quelle braccia che lo stringono, la forza di un infinito amore che non delude. Mai.

"Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola"


L'ANNUNCIO di oggi, 28 febbraio

Il Signore "conosceva il cuore" dei farisei che gli avevano appena puntato alla tempia una domanda perversa. Sarebbe potuto stare lì a discutere, umiliare, deridere, vincere la sua battaglia ideologica, smascherare la perfidia e l'ipocrisia. Lo potrebbe fare mille volte con noi. Ma Lui è Dio, non siede in Parlamento o in un talk show; Lui ama e ha pietà del nostro "cuore indurito". Sa che siamo tutti affetti da sklerokardia, un termine rarissimo nel Nuovo Testamento, usato solo qui e nel finale di Marco, quando Gesù risorto appare ai discepoli e li rimprovera per la loro incredulità e durezza di cuore. La malattia del cuore è dunque l'incredulità, che lo rende impermeabile alla verità e all'amore. Nella discussione sul ripudio non era in gioco solo il matrimonio. Era "messo alla prova" Gesù stesso, quel "ma io ora vi dico" che aveva smascherato i farisei di ogni tempo: bastava uno sguardo di concupiscenza verso una donna per commettere adulterio nel proprio cuore. Già, il cuore. È qui che nascono i propositi malvagi e si "ripudia" la moglie, e la Legge non può nulla con un cuore malato; i codici indicano un cammino, aiutano a non perdersi, ma se il cuore è malato l'uomo finirà con infrangerli o adeguarli alla propria debolezza perché legittimino anche il peccato. Non si tratta dunque di "liceità", così fragile sotto i colpi delle culture, ma di libertà. Per questo Gesù risponde ai farisei di ogni tempo accendendo la memoria. Ci accompagna sino al "principio della creazione": creandolo "maschio e femmina" Dio non ha lasciato l'uomo rinchiuso in se stesso; lo ha creato dischiuso e proteso verso l'altro per il quale, a sua volta, divenire un luogo ospitale. Nell'alterità creata per completarsi nel dono reciproco vi è inscritta proprio la libertà, deposta nell'uomo in quel "principio" della vita. Per "lasciare suo padre e sua madre", infatti, occorre essere liberi; non ci si può unire "in una sola carne" al punto di "non essere più due" se non c'è totale libertà. I "primi sposi" però l'avevano tradita infilandosi in una menzogna allettante che li aveva condotti a tagliare con Dio. Ed è stato il primo "ripudio" con cui l'uomo, per così dire, è uscito dal "principio" che ne garantiva la felicità. "Ripudiando" Dio ha conosciuto un tempo nuovo, quello della libertà ferita, nel quale l'istinto d'amore è dominato e frustrato, scandito dai dolori del parto e dal sudore della fronte. Qui, nudo e impaurito davanti a Lui, Adamo ha consumato un secondo "ripudio", figlio perverso del primo: voltate le spalle a Dio non può che prendere le distanze anche da Eva: "la donna che mi hai messo accanto...". Ormai l'aveva scaricata per difendersi e salvare la pelle. E così i due sposi si sono ritrovati fuori del Paradiso di comunione e intimità, con Dio e tra loro. Ma Dio non li ha abbandonati, e ha inaugurato una storia d'amore per l'umanità, attraverso un Popolo che si è scelto come sposa. Sposo innamorato e ferito mille volte dai "ripudi" e dagli adulteri della sua sposa, Dio ha perdonato sempre. Ma non era bastato, anzi; quei farisei intenti a discutere con Gesù erano ancora Adamo ed Eva prigionieri dello stesso inganno, cercando di giustificare la propria incapacità di amare. Come un Padre tenerissimo Dio aveva "permesso" molto per inseguire i cuori malati dei suoi figli, ma per salvarli era necessario "permettere" ancora di più: doveva "permettere" che uccidessero suo Figlio. Urgeva la croce, il letto d'amore dove Dio, nel suo Figlio, avrebbe sposato nel perdono tutti noi, farisei ipocriti. Per questo le parole di Gesù annunciavano una Buona Notizia ad ogni uomo schiavo dell'incredulità e con il cuore indurito: è possibile amare al punto di donarsi per sempre perché Lui era lì, come è oggi dinanzi a noi. Lui ha vinto il peccato che "separa ciò che Dio ha congiunto" e ha dischiuso le porte del Paradiso, il "principio" che ci riaccoglie nella comunione e nella libertà perdute. Lui è il Nuovo Adamo che ci dona oggi la sua vita più forte della morte: accogliendola potremo tornare da nostra moglie e giustificarla, guardare a nostro marito con occhi misericordiosi. Le parole di Gesù hanno oggi il potere di polverizzare la "durezza del nostro cuore" perché vi deponga il suo amore. Crocifissi con Cristo, gli sposi, spesso "croci" gli uni per gli altri, sono tra loro "congiunti" indissolubilmente. Il verbo greco synezeuxen che indica "congiunto", infatti, è formato dal prefisso syn ("con") e dalla radice zeug-, che descrive anche due animali uniti dal "giogo" (zeugos). Il giogo che unisce gli sposi è la Croce, il giogo di Cristo. Esso è leggero e dolce perché è l'unico adeguato a ciascuno dei due e li fa camminare senza inciampare; l'unico che li fa, giorno dopo giorno, una sola carne. Per questo la Chiesa affronta le situazioni difficili e dolorose innanzitutto annunciando Cristo e Cristo crocifisso; essa sa che i divorzi, i tradimenti, le difficoltà provengono tutte dalla "durezza dei cuori". Così non si adegua alla mentalità del mondo e non si lascia irretire nelle dispute sulla "liceità" del divorzio o della comunione ai divorziati risposati. Come il suo Signore va diritta al cuore, con misericordia autentica. Di fronte alle situazioni più drammatiche non si perde d'animo, confida nel potere di Gesù Cristo e del suo Vangelo; lo annuncia con parresia accogliendo ogni uomo nel suo seno materno per accompagnarlo in un cammino serio e profondo di conversione. Cristo è vivo nella sua Chiesa e la comunità concreta è il suo corpo che si dona a tutti, feriti, agonizzanti, peccatori. Qui le ferite possono essere curate, ammorbidito il cuore, vinta la paura. Qui è riannodata la relazione con Dio, preludio alla comunione con i fratelli, con lo sposo e la sposa che ha tradito e fatto del male. Qui è il luogo dove, perdonati, si impara a perdonare. Non si può banalizzare tutto e ridurre la soluzione ai matrimoni feriti con il concedere la comunione sacramentale. E' un insulto alla serietà della vita, e un inganno profondo sull'antropologia che ci consegnano la Scrittura, il Magistero e Cristo stesso. Come un rapporto prematrimoniale non è autentico perché esprime una pienezza di donazione che non c'è, così l'accostarsi alla comunione sacramentale avendo nel cuore una divisione è un segno che non corrisponde alla realtà. Nella Chiesa primitiva l'eucarestia sigillava le nozze con Cristo del cristiano rinato dall'acqua e colmo di Spirito Santo. Era il culmine dell'iniziazione cristiana, un arcano. Oggi c'è molta confusione, figlia del relativismo e del buonismo che non salvano nessuno. In tanti casi, invece di far bene si aggrava la ferita. All'inizio magari sembra aiutare e consolare, ma alla lunga assopisce il cuore e secca l'anima. La Verità fa sempre liberi, e non si può conoscere Dio e il suo amore senza conoscere se stessi. La Croce è la risposta di Dio ad ogni questione sul matrimonio e la sua indissolubilità perché è la risposta dell'amore soprannaturale al peccato, origine di ogni divisione. Ma bisogna scoprirsi e riconoscersi peccatori, anche quando è l'altro ad averci tradito; sperimentare che Cristo è morto per me sulla Croce. Altrimenti non si potrà perdonare, perché "colui al quale è perdonato poco ama poco". Tutto ciò si comprende solo se, come gli apostoli, "interroghiamo" ancora il Signore "rientrati a casa" con Lui; questo significa che l'annuncio del Vangelo deve essere seguito da una seria iniziazione cristiana dove essere gestati nella fede, nella verità e nella libertà dei figli per conoscere Cristo, sperimentare il suo amore e il suo potere su ogni situazione. La Chiesa ha dato il battesimo e la comunione ai bambini sull'impegno di genitori e padrini a trasmettere la fede ai figli; se non lo assolvessero, quei rimarrebbero come dei semi senza frutti. Così, senza iniziazione cristiana, i matrimoni continueranno a fallire, anche se i coniugi divorziati e risposati avessero la possibilità di accedere alla comunione; la Chiesa, infatti, non è chiamata a mettere un rattoppo su un vestito strappato, ma a versare vino nuovo in otri nuovi. La Chiesa è ogni giorno a Cana con Gesù, pronta a obbedirgli e a versare l'acqua della debolezza umana perché Gesù la trasformi nel vino nuovo dell'amore che accoglie, perdona e si consegna all'altro, nella gioia e nel dolore, nella buona e nella cattiva sorte, onorandolo ed essendogli fedele per tutti i giorni della vita.

A lezione di stupidaggini



GENDER A SCUOLA: PRIME REAZIONI DELLA CHIESA ITALIANA – di GIUSEPPE RUSCONI –www.rossoporpora.org – 28 febbraio 2014


Con l'avanzata della  rivoluzione antropologica imposta dalla nota lobby, che con inaudita arroganza (Mammona adiuvante) vuole instaurare la dittatura del ‘gender’, incominciano a farsi sentire – oltre a quelle di gruppi di laici-  anche le voci di diversi vescovi, dal cardinale Bagnasco al Vicariato di Roma, dalla Conferenza episcopale del Triveneto a quella toscana, a singoli presuli (da tempo in trincea). Insultato il vescovo di Cremona. Il prezioso fiancheggiamento di ‘Avvenire’

Giornalmente ormai la nota lobby ci propone svariati tentativi di introdursi in ogni ambito sociale per diffondere il suo verbo che, se applicato, comporterà guasti sociali enormi di cui saranno vittime le nuove generazioni, la cui identità personale verrà resa insicura. Tale propaganda socialmente irresponsabile (almeno per chi è abituato ad agire secondo ragione e buon senso) ha ormai incominciato ad aggredire la scuola, già a partire dall’asilo, creando – laddove ha allungato i suoi tentacoli - prevedibili turbamenti nei pargoli e forti tensioni tra scuola e famiglia. E’ di questi giorni poi la notizia che la nota lobby tenta di utilizzare uno sport popolare come il calcio per lanciare i suoi messaggi devastanti con il pretesto consueto della ‘lotta all’omofobia’: ai calciatori è stato chiesto da un sito di scommesse (ma guarda guarda…), da Arcigay, Arcilesbica e Fondazione Cannavò (!) di ‘colorare’ gli scarpini di lacci arcobaleno. Manco a dirlo il presidente della Federazione gioco calcio ha già annunciato l’adesione alla campagna, che dovrebbe coinvolgere anche la Serie A e addirittura la nazionale azzurra guidata dal commissario tecnico più politicamente corretto della storia calcistica tricolore. Si può prevedere che non tutti gradiranno, calciatori e in particolar modo le curve, così che sarà fatalmente introdotto anche il ‘reato calcistico’ di discriminazione sessuale con conseguenti squalifiche a pioggia nell’Italia intera.   
Tutti ormai ai piedi della nota lobby? Fortunatamente no. Gli attacchi portati nel settore dell’educazione scolastica stanno provocando una diffusa presa di coscienza tra molti genitori - fin qui assopiti- spaventati e indignati dal vedersi arrivare in casa, con i pargoli, anche opuscoli con storie di due papà o due principi azzurri. Si incomincia a organizzare in quelle parti d’Italia - come in Umbria, in Veneto, in Toscana, in Lombardia, in cui la propaganda è in netto crescendo - la resistenza da parte dei genitori, coadiuvati da associazioni laiche spontanee come la Manif pour tous o le Sentinelle in piedi o laiche istituzionali come il Forum delle Famiglie. Dalle segnalazioni ai dirigenti scolastici alle lettere di diffida, dalle manifestazioni di piazza alla prospettata obiezione di coscienza (tenere i figli a casa quando la nota lobby imperversa) è tutto un fiorire di iniziative  tese a bloccare la degenerazione antropologica imposta ad allievi, studenti ed insegnanti. Un po’ nel solco di quanto è successo e sta succedendo in Francia, dove la grande mobilitazione popolare contro la legge del ‘mariage pour tous’ e sviluppi successivi ha già indotto il presidente Hollande a rinviare di un anno la discussione su una nuova legge riguardante la famiglia. “Si deve resistere, continuiamo a resistere” – ci ha detto battagliero a tal proposito l’arcivescovo di Lione, cardinale Philippe Barbarin, all’uscita del Concistoro di sabato 22 febbraio.


In Italia è ‘Avvenire’ tra i quotidiani nazionali a condurre con tenacia e fermezza la battaglia, chè di battaglia si tratta, sia pure combattuta con le armi della ragione e del buon senso, così da cercare di risvegliare gli assopiti e di instillare qualche dubbio serio in tante menti ‘politicamente corrette’.
IL VICARIATO DI ROMA: “RIVOLUZIONE CULTURALE, MA LE FAMIGLIE NON NE AVVERTONO IL BISOGNO”

Dicevamo di Avvenire che la domenica ha nella capitale un inserto particolare, Roma sette, il settimanale della diocesi di Roma. Domenica 23 febbraio la prima pagina era quasi tutta dedicata all’ “operazione ideologica” del “gender in classe”, voluta sia dal noto Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) che dal noto Campidoglio targato Marino (uno che toglie alle famiglie numerose e promuove anche finanziariamente i programmi scolastici di ‘educazione’ gay). Sicuramente la pagina è apparsa sotto l’impulso del cardinale Vicario Agostino Vallini, che già qualche tempo fa aveva diramato una nota (giustamente) molto dura contro i gai maneggi del noto Marino in materia di registro delle ‘unioni civili’.
Nell’editoriale firmato da don Filippo Morlacchi, sacerdote tanto colto quanto pacato e direttore dell’Ufficio pastorale scolastica, si legge tra l’altro, riferendosi ai programmi di gaio indottrinamento che hanno ormai preso il via in diverse scuole (d’ogni ordine e grado) della capitale della Cristianità: “La priorità emergente, il pensiero dominante sembra, già nella prima infanzia, la proposta dell’ideologia gender, ossia la dottrina secondo cui il dato biologico originario del dimorfismo sessuale è marginale rispetto alla costruzione dell’identità di genere”. E’ evidente che “si vuole così avviare una vera rivoluzione culturale, di cui la maggioranza delle famiglie italiane, impegnata ad affrontare tanti problemi educativi con i figli, non sembra proprio sentire il bisogno. Tutto questo, si noti, già con bambini molto piccoli”. Sono programmi di “educazione alla diversità”, come è noto: “Peccato però che almeno una di queste diversità, cioè quella assolutamente originaria, quella che ogni bambino coglie al volo, quella tra maschietti e femminucce, quella tra mamma e papà, in breve la differenza sessuale, venga invece trascurata, fluidificata e perfino contestata come obsoleto stereotipo culturale”. Constata la “tristezza” di tale situazione, don Morlacchi annota infine: “Anche in altri Paesi europei (ad esempio la Francia) la potente minoranza favorevole al gender ha dettato l’agenda degli impegni scolastici; ma le associazioni di genitori hanno alzato la voce e prodotto agili pubblicazioni per avvertire le famiglie del fenomeno. Forse è tempo che anche in Italia non solo i cattolici, ma tutti gli uomini convinti della bontà della famiglia naturale si esprimano pubblicamente”. Un invito, quello di don Morlacchi in nome della diocesi di Roma, fatto con il suo garbo naturale, ma non per questo meno tranchant (per dirla nella lingua di un Paese il cui popolo in maggioranza si è risvegliato in nome prima di tutto del buon senso e della coscienza di corresponsabilità sociale).
A cura del direttore Angelo Zema appare poi a tutta pagina un’intervista al professor Tonino Cantelmi (psicoterapeuta) e a Elisa Manna (sociologa del Censis), i quali si occupano delle recenti, devastanti iniziative capitoline. “Colpo di mano ideologico” le definisce Cantelmi, autore tra l’altro (insieme con il collega Marco Scicchitano) del libro “Educare al maschile e al femminile” (presentazione venerdì 28 febbraio alle 20.30 presso la Chiesa Nuova). “Il sindaco Marino – rileva Cantelmi – è accecato dall’ideologia. (…) I progetti educativi del Comune sono terribili perché, con la motivazione di combattere il bullismo, propongono una visione confusa dell’uomo”. Per Elisa Manna un fondamento è incontrovertibile: “Gli esseri umani nascono dall’incontro tra un maschio e una femmina, e la società sopravvive grazie a quest’incontro (…) Bisogna rifuggire dagli stereotipi, ma è innegabile che esista uno specifico maschile e uno femminile e che l’educazione ne debba tener conto”. Nel taglio basso troviamo un articolo (a sigla r.s.) sui famigerati opuscoli dell’Unar (preparati dal noto Istituto Beck di Roma) in cui si legge tra l’altro un’affermazione gravissima, oltre che offensiva, come quella che segue: “I tratti caratteriali, sociali e culturali, come il grado di religiosità, costituiscono fattori importanti da tenere in considerazione nel delineare il ritratto di un individuo omofobo”. Completa la pagina un ‘box’ sulla dinamica dei progetti capitolini, da “Le cosecambiano@Roma” a”Bulli e pupe, ragazzi che faticano a crescere” del Circolo omosessuale Mario Mieli (il ‘filosofo’ che in “Elementi di critica omosessuale” del 1977 scriveva tra l’altro: “Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro”). Da notare che quest’ultimo progetto è in collaborazione con la Asl Roma E e finanziato dalla Regione Lazio, quella di Zingaretti.
IL CARD. BAGNASCO, I VESCOVI DEL TRIVENETO, I VESCOVI DELLA TOSCANA
Cardinal Bagnasco: “Nel torbido il male opera meglio”
Se allarghiamo lo sguardo all’Italia constatiamo che incominciano a levarsi diverse voci di vescovi responsabili e coraggiosi che non temono di essere etichettati come sappiamo. Ribadendo con forza quanto già detto nelle sue prolusioni da presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco il 15 febbraio ha parlato chiaro a Genova: “E’ in atto una strategia persecutoria, un attacco per destrutturare la persona e quindi destrutturare la società, mettendola in balia di chi è più forte e ha tutto l’interesse a che la gente sia smarrita”. Perché “nel torbido il male opera meglio”.
I vescovi del Triveneto: utilizzare pubblicamente i termini padre, madre, moglie, maritoe l’espressione ‘famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna’
In precedenza, per la Giornata della Vita del 2 febbraio, la Conferenza episcopale del Triveneto aveva approvato una “Nota su alcune urgenti questioni di carattere antropologico ed educativo”. Un documento nitido, essenziale, inequivocabile, stimolato dal patriarca di Venezia Francesco Moraglia e redatto in un “momento grave  per il bene delle persone e della società”. A causa del dilagare dell’imposizione dell’ideologia gender che comporta una “vera emergenza educativa”, i vescovi triveneti si sentono “sollecitati” a una risposta proprio da alcune parole di papa Francesco che, nell’Evangelii gaudium (n. 182) scrive: “I Pastori (…) hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può affermare che la religione deve limitarsi nell’ambito del privato”.
Sottolineano i vescovi triveneti “il grave pericolo che deriva, per la nostra civiltà, dal disattendere o stravolgere i fondamentali fatti e principi di natura che riguardano i beni della vita, della famiglia e dell’educazione, confondendo gli elementi obiettivi con quelli soggettivi, veicolati da discutibili concezioni ideologiche della persona che non conducono al vero bene né dei singoli né della società”. Evidenziano poi: “Siamo consapevoli che la differenza dei sessi è elemento portante di ogni essere umano ed espressione chiara del suo essere ‘in relazione’; senza la comune salvaguardia delle ‘grandi differenze’ vi è un grave e concreto rischio per la realizzazione di un autentico e pieno sviluppo della vita delle persone e della società”. Perciò ribadiscono “il rifiuto di un’ideologia del gender che neghi di fatto il fondamento oggettivo della differenza e complementarietà dei sessi, divenendo anche fonte di confusione sul piano giuridico”. Non solo: i vescovi del Triveneto invitano “a non avere paura e a non nutrire ingiustificati pudori o ritrosie nel continuare ad utilizzare, anche nel contesto pubblico, le parole tra le più dolci e vere che ci sia mai dato di poter pronunciare: padre, madre, marito, moglie, famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna”.

I presuli difendono e promuovono poi “il carattere decisivo – oggi più che mai – della libertà di educazione dei figli che spetta, di diritto, al padre e alla madre aiutati, di volta in volta, da soggetti istituzionali chiamati a coadiuvarli”. E rigettano “ogni tentativo ideologico che porterebbe ad omologare tutto e tutti in una sorta di deviante e mortificante ‘pensiero unico’, sempre più spesso veicolato da iniziative delle pubbliche istituzioni”. Importante anche ciò che segue: i vescovi sostengono e incoraggiano “l’impegno e lo sforzo di quanti, a vari livelli e su più ambiti, affrontano ogni giorno, anche nel contesto pubblico e nella prospettiva di una vera e positiva ‘laicità’, tutte le più importanti questioni antropologiche ed educative del nostro tempo e che segnatamente riguardano: la difesa della vita, dal concepimento al suo naturale spegnersi, la famiglia, il matrimonio e la differenza sessuale, la libertà religiosa e di educazione”.
Una ‘Nota’ ,quella dei vescovi del Triveneto (tra cui si annovera l’arcivescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi, lottatore indomito per la dottrina sociale della Chiesa, contestato duramente l’anno scorso da gruppi appartenenti alla nota lobby), che si potrebbe definire anche con un aggettivo solo: esemplare.
I vescovi della Toscana:  preoccupazione per il grave rischio
La Conferenza episcopale toscana, su forte spinta del suo presidente cardinale Giuseppe Betori, ha emesso il 12 febbraio (dopo la riunione all’eremo fiorentino di Lecceto) una ‘Nota’ in cui si fa riferimento in primo luogo alla propaganda della nota lobby in diverse scuole toscane. I vescovi si dicono “preoccupati per i tentativi di introdurre il tema della ‘valorizzazione delle differenze di genere’ nei percorsi formativi dei docenti e degli studenti, secondo modalità ispirate alla cosiddetta teoria del gender”. Grave “il rischio che, per motivi ideologici, venga propagata nelle scuole una concezione della famiglia lontana da quella della famiglia naturale, subordinando la stessa identità sessuale biologica a quella culturale, perdipiù soggettivamente determinata”. Ribadita poi la “dignità culturale di una visione antropologica fondata sulla differenza e complementarietà tra i sessi”.
Da tempo poi la Conferenza episcopale dell’Emilia-Romagna, stimolata dal cardinale arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra, insiste sulla difesa e il promuovimento dei ‘valori non negoziabili’. Anche singoli presuli – ad esempio, per quanto ci è noto, l’arcivescovo Luigi Negri a Ferrara, il vescovo Massimo Camisasca a Reggio-Emilia, l’arcivescovo di Crotone Domenico Graziani (vedi l’articolo in questo stesso sito sulla manifestazione anti legge ‘contro l’omofobia’ nella città calabrese), il già citato monsignor Gianpaolo Crepaldi a Trieste – promuovono con ammirevole continuità una riflessione critica sull’avanzata delle tesi della nota lobby.
Tra le reazioni laiche segnaliamo in particolare – oltre a quelle della ‘Manif pour tous –Italia’ e delle ‘Sentinelle in piedi’ – vari convegni tenutisi nella Penisola (in particolare quello di Roma, svoltosi dopo molte peripezie in Campidoglio e di cui abbiamo riferito ampiamente) e l’attivismo responsabile dei “Giuristi per la vita”. Ripetuti gli interventi del ‘Forum delle famiglie’, che in Umbria, per bocca del suo presidente Simone Pillon, ha invitato all’obiezione di coscienza dei genitori (un po’ come è accaduto in Spagna e sta accadendo in Francia) nel caso in cui le autorità scolastiche proseguano nell’indottrinamento venefico di bambini, ragazzi e studenti. Per i genitori sfortunatamente coinvolti nella trista questione segnaliamo il ‘dodecalogo’ dello stesso Forum delle famiglie dell’Umbria , “dodici strumenti di autodifesa dalla ‘teoria del gender’ per genitori con figli da 0 a 18 anni” (www.forumfamiglieumbria.org ).
Gli insulti al vescovo di Cremona, Dante Lafranconi

Il vescovo di Cremona, Dante Lafranconi, è stato uno dei primi in Italia ad istituire un gruppo di accompagnamento pastorale degli omosessuali cristiani. Ciò non gli ha però risparmiato un attacco violentissimo da parte dell’eurodeputata Sonia Alfano (gruppo dei cosiddetti democratici e liberali), per aver osato inviare una mail, in cui il 31 gennaio chiedeva di non votare il famigerato rapporto Lunacek, intitolato “Tabella di marcia contro l’omofobia e la discriminazione legata all’orientamento sessuale e all’identità di genere”. Ricordiamo che il 4 febbraio l’Europarlamento ha votato il rapporto con 394 sì, 176 no e 72 astensioni (tra i favorevoli, oltre alla sinistra, ai verdi e a una minoranza ‘illuminata’ del PPE, anche deputati del centrodestra come Licia Ronzulli, Barbara Matera e Aldo Patriciello, mentre tra gli astenuti troviamo – secondo l’agenzia Ansa – addirittura il popolare Ciriaco De Mita). Ebbene Sonia Alfano ha dichiarato, a proposito dell’invito del vescovo Lafranconi: “E’ gravissimo che il vescovo di Cremona, con una mail inviata alla mia casella di posta elettronica, mi chieda di votare contro la relazione sui diritti degli omosessuali della collega europarlamentare Ulrike Lunacek. (…) Se votassi come mi chiede il vescovo Lafranconi, avallerei una discriminazione che non condivido e che non fa parte della mia storia politica. Dico questo anche alla luce della presa di posizione di Papa Francesco, che a proposito dell’omosessualità, ha detto: “Se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Anche perché ‘Dio ci ha reso liberi’. Da un esponente della Chiesa ci aspetteremmo ben altre indicazioni che non quelle della discriminazione”. Dopo Sonia Alfano gli esponenti lombardi e nazionali dell’Arcigay hanno fatto a gara nel lapidare monsignor Lafranconi. E pensare che la famigerata legge ‘contro l’omofobia’ ancora non è stata approvata! 

Tabasamu



Tabasamu, tratta dalla colonna sonora di Bakhita scritta da Stefano Lentini. Significa "sorriso" in lingua swahili. Eseguita dalla National Bulgarian Symphony Orchestra diretta da Dejan Pavlov, pianoforte Stefano Lentini, voce Kavi Pratt. La regia del film è di Giacomo Campiotti ed è stato trasmesso ad aprile 2009 su Rai Uno.

Un’utopia per i giovani. (ITA/ESP)





Papa Francesco alla plenaria della Pontificia commissione per l’America latina

E ha raccomandato memoria e discernimento per un apostolato “corpo a corpo”. Memoria del passato, discernimento del presente, utopia del futuro: è questo, per Papa Francesco, lo schema in cui cresce la fede di un giovane. Il Pontefice lo ha indicato ai partecipanti alla plenaria della Pontificia commissione per l’America latina, ricevuti in udienza nella mattina di venerdì 28 febbraio, nella sala Clementina.

Nel discorso pronunciato a braccio il Santo Padre, riferendosi al tema dell’emergenza educativa al centro dei lavori dell’assemblea, ha sottolineato la necessità di individuare i presupposti antropologici della trasmissione della fede. Educare, infatti, non è trasmettere soltanto contenuti e conoscenze ma anche comportamenti e valori. Alle nuove generazioni, ha raccomandato il Papa, va insegnato in particolare a coltivare e a saper gestire l’utopia — un giovane senza utopia è come un vecchio precoce, ha ammonito — tenendo conto che questa deve essere accompagnata dalla memoria e dal discernimento. Da qui l’importanza di favorire l’incontro tra anziani e giovani, che rappresenta la chiave per trasmettere la memoria di un popolo. A questo proposito il Santo Padre ha parlato di un apostolato “corpo a corpo”, indicando l’esigenza di buoni padri spirituali e maestri di discernimento in grado di ascoltare e guidare i giovani.
Al trinomio “memoria, discernimento, utopia” il Pontefice ha accostato, infine, la questione della cultura dello scarto, che costituisce un aspetto importante del contesto sociale in cui si inserisce l’opera di trasmissione della fede. Papa Francesco si è riferito soprattutto alle dimensioni che ha assunto oggi il dramma dell’aborto e ha riproposto il problema dell’“eutanasia nascosta” con la quale gli anziani vengono trattati, di fatto, come “materiale da scarto”. Dal Pontefice anche un richiamo al tema del lavoro, la cui mancanza ha conseguenze devastanti soprattutto sui giovani, assommandosi ai danni provocati dalla diffusione di fenomeni come la dipendenza dalle droghe e dal gioco.
In conclusione il Papa ha invocato un rinnovato impegno di apostolato in grado di coniugare la traditio fidei con la traditio spei. Occorre ridare speranza ai giovani, ha affermato, per evitare che l’utopia si trasformi in disincanto. «I giovani ci aspettano. Non deludiamoli» aveva raccomandato anche nel discorso preparato per l’occasione e consegnato ai membri della Commissione.
L'Osservatore Romano

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Testo del discorso di Papa Francesco ai membri della Pontificia Commissione per l'America Latina. "Ai giovani disincantati bisogna dare fede e speranza"
Sito della Santa Sede
Buongiorno! Ringrazio il Cardinale Ouellet per le sue parole e tutti voi per il lavoro che avete fatto in questi giorni.Trasmissione della fede, emergenza educativa. La trasmissione della fede la sentiamo diverse volte, non ci sorprende tanto la parola. Sappiamo che è un dovere al giorno d’oggi, come si trasmette la fede, che è già stato il tema proposto dal precedente Sinodo, che terminò nell’evangelizzazione. Emergenza educativa è un’espressione adottata recentemente da voi con coloro che hanno preparato questo lavoro. (...)

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Discurso del Papa a los Miembros de la Pontificia Comisión para América Latina (CAL): "La Santa Madre Iglesia está convencida de que el mejor Maestro de los jóvenes es Jesucristo. Queridos hermanos, los jóvenes nos esperan. No los defraudemos"

Queridos hermanos:
Me llena de alegría recibirlos esta mañana. Agradezco el saludo que, en nombre de todos, me ha dirigido el Cardenal Marc Ouellet, presentándome las líneas de sus trabajos y los propósitos que animan su labor.
Este año, siguiendo las huellas de la Jornada Mundial de la Juventud de Río de Janeiro, han querido centrar sus reflexiones en los millones de jóvenes de América Latina y el Caribe, que viven en condiciones de “emergencia educativa” y para quienes se plantea la cuestión fundamental de la traditio de la fe.

La Iglesia quiere imitar a Jesús en su acercamiento a los jóvenes. Desea repetirles que merece la pena seguir el ejemplo que nos dió, ejemplo de entrega, de servicio, de amor desinteresado, de lucha por la justicia y la verdad. La Santa Madre Iglesia está convencida de que el mejor Maestro de los jóvenes es Jesucristo. Ella quiere inculcar en todos ellos sus mismos sentimientos, mostrándoles así que es hermoso vivir como él lo hizo, desterrando el egoísmo y dejándose atraer por la belleza de la bondad. Quien conoce en profundidad a Jesús no se queda en el sofá. Se engancha a su estilo de vida y llega a ser un discípulo misionero de su Evangelio, dando testimonio entusiasta de su fe, no ahorrando sacrificios.
Siempre me ha impresionado el encuentro de Jesús con el joven rico (cf. Lc 18,18-23). Creo que es un lindo modelo que expone al vivo la pedagogía del Señor. Me detengo en tres aspectos de este relato: cómo Cristo acoge, escucha y llama a ese joven a seguirlo.
1. La acogida: Éste es el gesto primero de Jesús y también nuestro. Es previo a toda enseñanza o misión apostólica. Cristo se detuvo con aquel joven, lo miró con afecto, con mucho amor: es el abrazo de la caridad sin condiciones. El Señor se pone en la situación de cada uno, incluso de aquellos que lo rechazan. No les paga con la misma moneda. Estar cercanos a los jóvenes en todos los ambientes de su vida: en la escuela, la familia, el trabajo..., atentos a sus necesidades y aspiraciones, no sólo materiales. Muchos pasan por graves problemas. Cómo no pensar en el fracaso escolar, el desempleo, la soledad, la amargura en las familias desunidas. Son momentos difíciles, que les hacen experimentar frustración y desprotección; los vuelven vulnerables a las drogas, al sexo sin amor, a la violencia... Se nos pide no abandonar a los jóvenes, no dejarlos al costado del camino; necesitan mucho sentirse valorados en su dignidad, rodeados de cariño, comprendidos.
2. Después, Jesús entabló un diálogo franco y cordial con aquel joven. Escuchó sus inquietudes y las clarificó con la luz de la Sagrada Escritura. Jesús, de entrada, no condena, no tiene prejuicios, no cae en los tópicos de siempre; del mismo modo los jóvenes tienen que sentirse en la Iglesia como en casa. No solamente ha de abrirles sus puertas; tiene que salir a buscarlos, sintonizando con sus reclamos y dando espacio para que se sientan escuchados. Ella es madre y no puede permanecer indiferente, sino conocer sus preocupaciones y llevarlas al corazón de Dios.
3. Y, finalmente, Jesús invita a aquel joven a seguirlo: Vende todo… y luego ven y sígueme (cf. Lc 18,22). Estas palabras no han perdido su actualidad. Los jóvenes las tienen que oír de nosotros. Que escuchen que Cristo no es un personaje de novela, sino una persona viva, que quiere compartir ese deseo irrenunciable que ellos tienen de vida, de compromiso, de entrega. Si nos contentamos con darles un mero consuelo humano, los defraudamos. Es importante ofrecerles lo mejor que tenemos: a Jesucristo, su Evangelio, y con ello un horizonte nuevo, que les haga afrontar la vida con coherencia, honradez y altura de miras. Ellos ven los males del mundo y no se callan, ponen el dedo en la llaga, piden un mundo mejor, no admiten sucedáneos. Quieren ser protagonistas de su presente y constructores de un futuro en donde no quepa la mentira, la corrupción, la insolidaridad... La Iglesia en América Latina no puede desperdiciar el tesoro de su juventud, con todas sus potencialidades para el crecimiento de la sociedad, con sus grandes anhelos de forjar una gran familia de hermanos reconciliados en el amor. En ese camino, Jesús sale al encuentro de nuestros jóvenes, los llama a su lado y les regala su fuerza, su Palabra, en la que pueden encontrar inspiración para afrontar los retos que se les presentan. Necesitan ser amigos de Cristo, para convertirse en “callejeros de la fe” y llevarlo a cada esquina, a cada plaza, a cada rincón de la tierra (cf. Esort. ap. Evangelii gaudium, 106). Y que sientan la calidez de la santa Madre Iglesia, tanto en el recibirlos como en el acompañarlos; y también la calidez de la otra Madre, la de Jesús y la nuestra. Cuando caminamos agarrados de su mano, se nos va el miedo y aprendemos a sonreír de un modo nuevo.
Queridos hermanos, los jóvenes nos esperan. No los defraudemos. Los invito a asumir este desafío con decisión. Que las comunidades cristianas de América Latina y el Caribe sepan ser acompañantes, maestras y madres de todos y cada uno de sus jóvenes. Educar a los jóvenes, evangelizarlos y convertirlos en discípulos misioneros es tarea ardua, paciente, pero muy urgente y necesaria. Les confieso que merece la pena. Saluden a los jóvenes en mi nombre y díganles que les pido el favor de que recen por mí. Que Jesús vaya siempre con ustedes y los bendiga.

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Plenaria de la Pontificia Comisión para América Latina. Homilía del cardenal Leonardo Sandri. El Prefecto recuerda el card. Juan Jesús Ocampo, mons. Oscar Romero e mons. Enrique Angelelli

(NdR. L'omelia è stata pronunciata oggi, 28 febbraio, durante la Celebrazione Eucaristica in occasione della Sessione Plenaria della Pontificia Commissione per l'America Latina).
Queridos Hermanos y Hermanas:
Terminaremos hoy nuestra Plenaria con esta última  celebración eucarística en honor del Sagrado Corazón de Jesús. De este modo nuestra plenaria acaba con la mirada puesta en Cristo crucificado y resucitado, núcleo esencial de nuestra fe y núcleo  fundamental a proclamar  en la emergencia educativa y en la “traditio” de la fe a nuestra juventud.
Aquí sobre el altar que guarda las reliquias de San Juan Crisóstomo reviviremos el sacrificio de la cruz, poniéndonos con nuestra mente y nuestro corazón frente al costado abierto de Cristo, traspasado por la lanza del soldado, para adorar el misterio de nuestra salvación y de aquí sacar el coraje necesario para el anuncio del Evangelio y para nuestro testimonio de discípulos. 
Una constante de la historia cristiana es la persecución y la cruz que en este mundo y en este tiempo de la Iglesia toca a muchos de sus hijos. Es la entrega de la propia vida en medio de la violencia y del desprecio de los valores de la dignidad de la persona humana, de los ataques a personas, a símbolos y a lugares sagrados de nuestra fe que han tenido por consecuencia no solamente el secuestro sino también el asesinato y la muerte de obispos, sacerdotes, religiosos, y religiosas. Esta línea roja de la sangre de los mártires, ha sido registrada en veinte siglos de historia  y las Iglesias Orientales Católicas como también las comunidades ortodoxas y otros cristianos han sido y son hoy protagonistas de esta evangélica nota de identidad del discípulo con  su maestro y esta fue y es  la garantía de la esperanza cierta del cielo nuevo y de la tierra nueva que esperamos ver y tocar con nuestras manos en la eternidad.
Benedicto XVI, en la Exhortación Apostólica “Ecclesia in Medio Oriente”, escribe: “La situación en Medio Oriente es en sí  misma un llamamiento urgente a la santidad de vida. Los martirologios enseñan que los santos y los mártires, de cualquier pertenencia eclesial, han sido – y algunos lo son todavía – testigos vivos de esta unidad sin fronteras en Cristo glorioso, anticipando nuestro “estar reunidos” como pueblo finalmente reconciliado en él” (EMO n. 11).
De estos últimos años recuerdo a los 52 mártires de la Catedral Siro-católica de Bagdad, en cuya reconsagración participé en diciembre 2012, y recuerdo el dolor y, la mayoría de las veces,  la muda impotencia con la que se tiene que asistir al avance del mal, al desprecio de Dios y de su ley y al desprecio de la dignidad de la persona humana. Y me he preguntado cual era el nexo que podía existir entre esta realidad  y la de nuestra América Latina. Es la sangre de Cristo, que ahora vemos derramada en la persona de nuestros hermanos, víctimas de persecución, del terrorismo en general, y del terrorismo de estado en particular, de la violencia irracional y de la del narcotráfico en particular o víctimas por ser fieles a la opción preferencial por los pobres, implícita en la fe cristológica, como indicado por el Papa Benedicto XVI en el discurso inaugural de la Conferencia de Aparecida  (cfr también Aparecida nn. 391-392 y ss.) el nexo de nuestras dos realidades. 
Leemos en Aparecida: “El cristiano corre la misma suerte del Señor, incluso hasta la cruz: “Si alguno quiere venir detrás de mí…”…. Nos alienta el testimonio de tantos misioneros y mártires de ayer y de hoy en nuestros pueblos que han llegado a compartir la cruz de Cristo hasta la entrega de su vida” (N. 140).
Prescindiendo del número abultado de obispos y sacerdotes, religiosos y religiosas y hombres y mujeres  que en nuestro continente han perdido la vida como discípulos de Cristo  (es suficiente recordar que en el 2013 han sido asesinados en América Latina 15 sacerdotes),  quisiera conmemorar a tres pastores concretos,  desde luego sin anticiparme al juicio de la Iglesia y  sin dar a las palabras “martirio” y “mártir” una significación canónica y teológica y evitando cualquier interpretación política.  Ellos son:
1)    el Cardenal Juan Jesús Posadas Ocampo, Arzobispo de Guadalajara, México, asesinado el 24 de mayo 1993. El Beato Papa Juan Pablo II designó como su Representante Personal  para la celebración de sus funerales al Siervo de Dios Cardenal Eduardo Pironio y en su mensaje, refiriéndose al pastor asesinado, escribió:  “La figura de tan ejemplar Pastor, que con generosidad y abnegación dedicó su vida al servicio de Dios y de la Iglesia , es motivo de profunda acción de gracias al contemplar la fortaleza de su fe, la fecundidad de su ministerio, la solicitud y amor para con la grey que el Señor le había confiado. Su entrega sin reservas a la misión de hacer presente el mensaje salvador de Jesucristo lo hizo acreedor del cariño de sus diocesanos y del respeto de los hombres de buena voluntad” y continúa: “ (…) Las trágicas circunstancias de la muerte del querido Arzobispo de Guadalajara, junto con otras seis personas, han de ser un apremiante llamado a todos para erradicar tan execrable violencia, causa de tanto dolor y muerte, como es el caso de abominable crimen del narcotráfico” (27 de mayo de 1993, Giovanni Paolo II, Insegnamenti XVI, I, 1993 pp. 1341-1342, cf. también ib. pp. 1326-1327).
2) El Arzobispo Oscar Arnulfo Romero, Arzobispo de San Salvador, asesinado el 24 de marzo 1980 y de quien el Beato Papa Juan Pablo II escribió una vez conocida la noticia del crimen: “Al conocer con ánimo traspasado de dolor y aflicción la infausta noticia del sacrílego asesinato de Monseñor Oscar A. Romero y Galdamez, cuyo servicio sacerdotal a la Iglesia ha quedado sellado con la inmolación de su vida mientras ofrecía la víctima eucarística, no puedo menos de expresar mi más profunda reprobación de Pastor universal ante este crimen execrable que, además de flagelar de manera cruel la dignidad de la persona, hiere en lo más hondo la conciencia de comunión eclesial y de quienes abrigan sentimientos de fraternidad humana” (25 de marzo 1980, Giovanni Paolo II, Insegnamenti III, 1, 1980, p. 734). La causa de canonización de Mons. Romero ha sido introducida y esperamos pronto verlo como modelo para toda la Iglesia.
3)    El Obispo Enrique Angelelli, Obispo de La Rioja, Argentina, muerto el 4 de agosto 1976, en un sospechoso accidente de auto y en un contexto de valentía del Obispo. De él recuerdo hoy no solamente la pasión y el convencimiento de que su muerte fue por ser defensor de Dios, de la persona humana y del Evangelio que me expresaba el Arzobispo Carmelo Juan Giaquinta, Arzobispo de Resistencia, sino también la homilía pronunciada  por el entonces Cardenal Jorge M. Bergoglio  el 4 de agosto del 2006 en Punta de los Llanos, lugar donde cayó Angelelli. Un periodista refiere así la homilía del Cardenal Bergoglio (Guillermo Alfieri, Semanario Digital,  como también el libro “E’ l’amore che apre gli occhi”, ed. Rizzoli): el Arzobispo de Buenos Aires “rescató(…) la convicción de que la Iglesia riojana era perseguida pero se encontraba entera, con un diálogo de amor entre el pueblo y su pastor. Comparó los ataques sufridos por Angelelli con el maltrato padecido por Pablo, en Filipos, “a través de los consabidos métodos de la desinformación, la difamación y la calumnia”. El Arzobispo de Buenos Aires abordó las muertes de la represión y sostuvo que “Wenceslao, Carlos, Gabriel (nota: nombre de tres sacerdotes aesinados) y el Obispo Enrique fueron testigos de la Fe, derramando su sangre”. Reflexionó que si alguien “se puso contento, creyó que era su triunfo” en realidad fue la derrota de los adversarios. (…) sangre de los cristianos, semilla de cristianos”. Del Obispo Angelelli está introducida también la causa de canonización.
Citando los ejemplos de estos tres pastores, vienen a la memoria las palabras de Benedicto XVI: “El màrtir es una persona sumamente libre, libre frente al poder, libre frente al mundo; una persona libre, que en un acto definitivo dona a Dios toda su vida” (Catequesis del miércoles 11 de agosto 2010).
A la luz de la Palabra de Dios y de los numerosos testigos que nos han precedido,  podemos entretejer con el hilo rojo de la sangre de los mártires, la historia común de nuestra América con las Iglesias  Orientales: Es Cristo Crucificado quien conecta, con un paralelismo sorprendente,  ambas porciones del Pueblo de Dios. La del Pueblo de Dios en América Latina,  que Aparecida convoca para ser discípulos y misioneros y la del Oriente cristiano,  convocado, después del Sínodo especial para el Medio Oriente,  a la comunión y al testimonio.  Para nuestra plenaria nos queda la convicción que la “Emergencia educativa y la traditio de la fe en la juventud latinoamericana”,  será afrontada a través de todos los estudios y recursos sobrenaturales y humanos de los que gracias a Dios disponemos en nuestro continente, pero sobre todo a través de los maestros y testigos que iluminan con su oblación nuestro cielo estrellado. Brilla María,  Madre de la Iglesia, quien acompañó con su cariño y ternura hasta el supremo momento a nuestros hermanos y amigos que están ya con su Hijo en la eternidad, y pedimos que brille para nosotros esta corona de pastores puros y valientes que serán el mejor lenguaje, incontrovertible, de una fe vivida y “tradita”, entregada, hoy, hasta la asimilación a Cristo, Pastor supremo, cordero inmolado para la salvación del mundo. Amén.

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“Avvenire” - Rassegna "Fine settimana" 
«Colui che si dona per amore di Cristo al servizio degli altri, vivrà come il chicco di grano che muore, ma muore solo in apparenza. Se non morisse, rimarrebbe solo. Se il raccolto esiste è perché il chicco muore, perché si lascia sacrificare in questa terra, ed è solo così che (...)

I vescovi che piacciono a Francesco

vescovi

Il  tweet di Papa Francesco: "L’Eucaristia è essenziale per noi:è Cristo che vuole entrare nella nostra vita e riempirla con la sua grazia" (28 febbraio 2014)

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Lo si è capito dalla rara lunghezza del discorso – quattro o cinque volte i suoi abituali sermoni – che la questione trattata è di quelle che stanno più a cuore a papa Francesco.
Quando in ballo c’è la nomina dei vescovi, Jorge Mario Bergoglio dà il massimo di sé. “Ecco i vescovi che vogliamo avere”,  ha titolato a piena pagina “L’Osservatore Romano”, centrando in pieno l’intenzione del papa, nel discorso da lui rivolto giovedì 27 febbraio alla plenaria della congregazione per i vescovi.
L’impianto del discorso non è sistematico ma rapsodico. Cuce assieme delle riflessioni sulla figura ideale del vescovo e quindi sulle responsabilità di chi li sceglie. Qua e là con delle sferzate tipiche di Bergoglio, come quando ingiunge di obbedire al decreto di residenza del concilio di Trento, tanto più impellente oggi “in questo tempo di incontri e convegni” che vedono troppi vescovi sempre in giro per il mondo, dimentichi del loro gregge diocesano. E la mente va ad esempi preclari di cardinali globetrotter, tipo quell’Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga che pochi sanno essere vescovo di Tegucigalpa, specie da quando è l’esuberante coordinatore degli otto cardinali del gran consiglio di papa Francesco.
Questo del 27 febbraio è un discorso che va letto per intero, assieme a quell’altro del 21 giugno 2013 rivolto dal papa ai nunzi apostolici, anello essenziale della catena di comando che seleziona i nuovi appartenenti all’episcopato.
Con la congregazione per i vescovi e in particolare con un nunzio Bergoglio aveva un conto in sospeso, quando fu eletto papa. Da arcivescovo di Buenos Aires aveva sofferto parecchio l’ostilità del nunzio Adriano Bernardini, in carica dal 2003 al 2011 e oggi rappresentante pontificio presso lo Stato italiano. Bernardini, legatissimo al cardinale Angelo Sodano, sistematicamente promuoveva la nomina in Argentina di vescovi invisi a Bergoglio. Al quale non bastava avere in Vaticano, nella congregazione, un suo fidato officiale, Fabián Pedacchio Leaniz, oggi suo segretario particolare.
Di questo tormento dell’allora arcivescovo di Buenos Aires riferisce con precisione Elisabetta Piqué, la biografa più accreditata di Bergoglio, nel libro “Francesco, vita e rivoluzione” edito in Italia da Lindau.
E questo antefatto spiega la determinazione con cui Bergoglio, da papa, ha rivoluzionato la composizione della congregazione per i vescovi e ha proceduto alla nomina di nuovi vescovi in Argentina, scelti da lui personalmente, saltando tutte le procedure.
A cominciare dalla promozione ad arcivescovo di Víctor Manuel Fernández, rettore della pontificia università cattolica argentina e suo principale ghostwriter nella stesura della “Evangelii gaudium”, la carta programmatica di questo pontificato.
S. Magister

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Visita del Papa al Seminario Romano Maggiore. Intervista con il card. Vallini


Papa Francesco si reca oggi alle 18,00 – è la sua prima volta - al Pontificio Seminario Romano Maggiore per incontrare i seminaristi di Roma in occasione della festa della Madonna della Fiducia. Sull’attesa di questo incontro il cardinale vicario Agostino Vallini:

R. - C’è una grande gioia, una grande attesa, e certamente questa sera il Santo Padre dialogherà con i seminaristi e darà loro un forte incoraggiamento e delle luci per il loro cammino formativo.

D. - Come sta cambiando il seminarista nella Diocesi di Roma?

R. - La novità più grande è che la maggioranza dei seminaristi è composta da giovani adulti, normalmente già in possesso di titoli di studi accademici, che hanno maturato la loro scelta nelle parrocchie o in altre forme di esperienze spirituali; sono giovani che fanno un cammino di discernimento, perché prima di iniziare la formazione in senso stretto, frequentano il seminario, anche se in modo alterno, per un anno propedeutico di discernimento, di approfondimento della loro vocazione. In seguito, cominciano gli studi della filosofia e della teologia e il loro itinerario di formazione che prevede anche esperienze pastorali e soprattutto il forgiare lo spirito in un’esperienza di vita comunitaria. Saranno chiamati dal sacerdote ad essere guide di comunità: il Seminario li prepara a questo. Direi che oggi c’è una maggiore consapevolezza dell’impegno ma anche direi della generosità e tanta passione.

D. - Quindi per Roma si può parlare di una tradizione di vocazioni adulte …

R. - È un po’ una tradizione, ormai da molti anni; ci sono anche numeri più piccoli di giovani che vengono dal cammino preparatorio al Seminario Maggiore: quelli del Seminario Minore. Però, certo, oggi sarebbe necessario anche un numero maggiore di giovani e di vocazioni per Roma.

D. – Questi giovani restano o ci sono anche delle uscite dal Seminario? 

R. - Partiamo dalla considerazione che la chiamata del Signore attende una risposta libera. Durante il cammino formativo, se un giovane comprende o è aiutato a comprendere, che il cammino seminaristico non è il suo bene viene aiutato o sceglie di lasciare. Sono eccezioni per la verità, perché prima di entrare nell’itinerario di formazione seminaristica vero e proprio, c’è una preparazione, contatti, discernimento, fatto anche con delle guide, e questo certo dispensa poi da sorprese successive.

D. - Quale sarà l’augurio che rivolgerà la comunità dei seminaristi al Papa questa sera?

R. - Come tutti, c’è un grande affetto verso la persona di Papa Francesco e quindi sono desiderosi di ascoltare che cosa il cuore del Papa confida loro, ma gli augureranno un lungo Pontificato e prometteranno di essergli accanto con la preghiera e con la generosa sequela.
Radio Vaticana 

Messa a Santa Marta. Quando fallisce un amore

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Quando un amore fallisce le persone non vanno condannate ma accompagnate. Lo ha raccomandato Papa Francesco nella messa celebrata venerdì 28 febbraio nella cappella della Casa Santa Marta. La bellezza e la grandezza dell’amore, ha spiegato in proposito il Pontefice, si riconoscono fin dal capolavoro della creazione, narrato dalla Genesi, e scelto da Dio stesso come «icona» per spiegare l’essenza dell’amore tra l’uomo e la donna. Ma anche tra Cristo e la Chiesa.

«Gesù stava sempre con la gente» ha spiegato il Papa riferendosi al passo evangelico di Marco (10, 1-12) proposto dalla liturgia. E in mezzo alla gente il Signore insegnava, ascoltava e guariva gli ammalati. Qualche volta però, tra la folla, si presentavano anche i dottori della legge che volevano in realtà «metterlo alla prova», cercando in qualche modo di farlo cadere. La ragione è presto detta: «Loro – ha evidenziato il Pontefice — vedevano l’autorità morale che Gesù aveva». Un fatto evidente che però sentivano come «un rimprovero per loro». E così «cercavano di farlo cadere per togliergli questa autorità morale».
Il Vangelo di Marco racconta che i farisei, proprio «per metterlo alla prova», pongono a Gesù «questo problema sul divorzio». Una questione presentata con il loro solito «stile» basato sulla «casistica». Quanti volevano mettere in difficoltà Gesù, infatti, non gli ponevano mai «una problematica aperta». Preferivano invece ricorrere alla «casistica, sempre al piccolo caso», domandandogli: «È lecito questo o no?».
La «trappola» che volevano tendere a Gesù è insita in questo modo di vedere le cose. Perché, ha avvertito il Papa, «dietro la casistica, dietro il pensiero casistico, sempre c’è una trappola, sempre!». Una trappola, ha proseguito, «contro la gente, contro di noi e contro Dio, sempre!». Così, racconta l’evangelista Marco, la domanda che i farisei fanno a Gesù è «se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie». E Gesù risponde anzitutto chiedendo loro «cosa dice la legge e spiegando perché Mosè ha fatto quella legge così».
Il Signore tuttavia non si ferma a questa prima risposta e «dalla casistica va al centro del problema». Anzi, ha precisato il Santo Padre, «qui va proprio ai giorni della creazione», ricorrendo a un riferimento biblico «tanto bello» al libro della Genesi: «Ma dall’inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne» .
Papa Francesco ha riletto questo passo, spiegando che «il Signore si riferisce al capolavoro della creazione». Infatti Dio «ha creato la luce e ha visto che era buona». Poi «ha creato gli animali, gli alberi, le stelle: tutto buono». Ma «quando ha creato l’uomo» è arrivato a dire «che era molto buono». Infatti «la creazione dell’uomo e della donna è il capolavoro della creazione». Anche perché Dio «non voleva l’uomo solo: lo voleva con la sua compagna, la sua compagna di cammino».
Questo è anche il momento, ha detto il Pontefice, dell’«inizio dell’amore». E «tanto poetico» è proprio l’incontro tra Adamo e Eva. A loro Dio raccomanda di andare avanti insieme «come una sola carne». Ecco allora che «il Signore prende sempre il pensiero casistico e lo porta all’inizio della rivelazione». Ma, ha avvertito il Papa, «questo capolavoro del Signore non è finito lì, nei giorni della creazione». Infatti il Signore ha scelto proprio «questa icona per spiegare l’amore che lui ha verso il suo popolo, l’amore che lui ha con il suo popolo». Un amore grande «al punto che quando il popolo non è fedele», comunque «lui parla con parole di amore». «Pensiamo — ha aggiunto — alla descrizione che il Signore fa dell’infedeltà del suo popolo, nel capitolo sedicesimo del profeta Ezechiele».
Così «il Signore — ha spiegato — prende questo amore del capolavoro della creazione per spiegare l’amore che ha con il suo popolo. E un passo in più: quando Paolo ha bisogno di spiegare il mistero di Cristo, lo fa anche in rapporto, in riferimento alla sua sposa. Perché Cristo è sposato: aveva sposato la Chiesa, il suo popolo». E proprio «come il Padre aveva sposato il popolo di Israele, Cristo sposò il suo popolo».
«Questa — ha affermato il Papa — è la storia dell’amore. Questa è la storia del capolavoro della creazione. E davanti a questo percorso di amore, a questa icona, la casistica cade e diventa dolore». Dolore davanti al fallimento: «Quando lasciare il padre e la madre per unirsi a una donna, farsi una sola carne e andare avanti, quando questo amore fallisce — perché tante volte fallisce — dobbiamo sentire il dolore del fallimento». E proprio in quel momento dobbiamo anche «accompagnare quelle persone che hanno avuto questo fallimento nel loro amore». Non bisogna «condannare» ma «camminare con loro». E soprattutto «non fare casistica con la loro situazione».
Tutto questo, ha proseguito il Pontefice, fa pensare a un «disegno di amore», al «cammino d’amore del matrimonio cristiano che Dio ha benedetto nel capolavoro della sua creazione, con una benedizione che mai è stata tolta. Neppure il peccato originale l’ha distrutta». E «quando uno pensa a questo», ha precisato il Papa, trova naturale riconoscere «quanto bello è l’amore, quanto bello è il matrimonio, quanto bella è la famiglia, quanto bello è questo cammino». Ma anche «quanto amore, e quanta vicinanza, anche noi dobbiamo avere per i fratelli e le sorelle che nella loro vita hanno avuto la disgrazia di un fallimento nell’amore». Un amore, ha ricordato, che «comincia poeticamente, perché la seconda narrazione della creazione dell’uomo è poetica, nel libro della Genesi». E che «finisce nella Bibbia, poeticamente, nelle lettere di san Paolo, quando parla dell’amore che Cristo ha per la sua sposa, la Chiesa».
Però, ha messo in guardia il Papa, «anche qui dobbiamo stare attenti che non fallisca l’amore», finendo magari per «parlare di un Cristo troppo “scapolo”: Cristo sposò la Chiesa! E non si può capire Cristo senza la Chiesa» come «non si può capire la Chiesa senza Cristo». Proprio «questo — ha ribadito — è il grande mistero del capolavoro della creazione». Papa Francesco ha concluso la sua meditazione chiedendo al Signore la grazia di capire questo mistero «e anche la grazia di non cadere mai in questi atteggiamenti casistici dei farisei e dei dottori della legge».
L'Osservatore Romano

Francesco alla conquista di Facebook

Papa Francesco


In Vaticano si stanno definendo gli ultimi dettagli tecnici in vista dell’imminente apertura del profilo sul celebre social network

GIACOMO GALEAZZICITTA' DEL VATICANO


Un profilo per Francesco sul più celebre social network. In Vaticano si stanno definendo gli ultimi dettagli tecnici prima per consentire l'apertura della pagina Facebook di papa Bergoglio. Secondo quanto appreso in Curia da "Vatican Insider", l'operazione è in fase molto avanzata di elaborazione e se ne occupano gli uffici tecnici del Vaticano. In vista dello sbarco del Pontefice su Fb, infatti, la Santa Sede ha assegnato a un équipe di informatici il compito di studiare come ovviare all'eventuale tentativo di pubblicazione sul profilo di messaggi e contenuti offensivi o inappropriati da parte degli utenti della Rete. 


I dati dimostrano che le nuove tecnologie rappresentano una straordinaria opportunità di diffusione per la predicazione di un Pontefice popolarissimo e apprezzato dai giovani di tutto il mondo. Già adesso, oltre dodici milioni di persone seguono Francesco su Twitter. Inoltre i suoi "cinguettii" sono più retwittati persino di quelli del presidente Usa, Obama e raggiungono una platea di sessanta milioni di utenti.

L'account papale «@Pontifex», voluto da Joseph Ratzinger, era stato inaugurato il 12 dicembre 2012 in otto lingue. Poi il 17 gennaio 2013 è stata aggiunta una nona lingua, il latino, che ha subito suscitato interesse e un sorprendente seguito. Circa 3 milioni di seguaci erano già stati raggiunti il 28 febbraio, giorno della fine del pontificato di Benedetto XVI. Durante la sede vacante l’account è stato sospeso per essere riaperto il 17 marzo, cinque giorni dopo l’elezione di Bergoglio. Da allora si è registrato un crescendo inarrestabile. Attualmente la lingua-record è lo spagnolo, seguita dall’inglese e dall’italiano. Ma non ci sono solo i "seguaci diretti": un numero cinque volte superiori di utenti riceve i tweet di Francesco grazie al fenomeno del re-tweetting. Cioè i messaggi del Papa vengono «re-tweettati», cioè rilanciati dai suoi «amici» e in questo modo, secondo un calcolo per difetto (come osserva monsignor Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali) più di 60 milioni di persone ricevono il tweet del Papa che l’arcivescovo definisce «una pillola», «una goccia di spiritualità e di speranza».


Aggiunge Celli: «Il Papa vuole parlare agli uomini e alle donne di oggi con un linguaggio che è comprensibile e molto usato». Quindi «utilizza 140 caratteri per un suo pensiero e quel tweet che possiamo leggere sul cellulare ci aiuta a capire che c’è una vicinanza, che non siamo soli». Inoltre «anche la presenza del Papa su News.va ha una risonanza in continuo aumento». È «nel silenzio che si può acquistare la capacità di trasmettere concetti e valori che sono fondamentali per la vita dell’uomo contemporaneo». E ciò «con semplicità e immediatezza: in appena 140 caratteri».


Il cardinale Gianfranco Ravasi, ministro vaticano della Cultura, contestualizza teologicamente gli effetti sull’individuo e la società delle innovazioni tecnologiche. «La lingua italiana conta 150 mila vocaboli, mentre i giovani oggi ne usano dagli ottocento ai mille», spiega il porporato. «È mutato il modello antropologico dei “nativi digitali”, quindi un vescovo che non sa muoversi in questa nuova atmosfera si mette fuori della sua missione». Nulla di nuovo sotto il sole. «Gesù anticipa il linguaggio sintetico dei tweet: “Il regno di Dio è vicino, convertitevi”, “Ama il prossimo tuo come te stesso”», precisa Ravasi. 


Già Benedetto XVI, nel messaggio per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2011, aveva sottolineato che Facebook e le chat non sono da demonizzare, anzi «permettono alle persone di incontrarsi oltre i confini dello spazio e delle stesse culture, inaugurando così un intero nuovo mondo di potenziali amicizie». Quindi, «bene i social network, però sul Web non createvi falsi profili». Da parte sua Joseph Ratzinger ha elogiato la rivoluzione sociale provocata da Internet, mettendo però in guardia i giovani dal confinarsi solo in territori virtuali e in «un mondo parallelo».


E' stato, infatti, Benedetto XVI a dettare le linee-guida per un uso etico della Rete. Dunque, nella partecipazione ai «social network» e nella ricerca di un sempre maggior numero di «amici» bisogna restare «fedeli a se stessi» e mai cedere a trucchi o «illusioni» come la creazione di una falsa identità attraverso il proprio profilo. I «social network», a cui sempre più persone, soprattutto giovani, partecipano su Internet, offrono «nuove opportunità di condivisione, dialogo, scambio, solidarietà, creazione di relazioni positive». Occorre però «evitarne i pericoli», ossia «il rifugiarsi in una sorta di mondo parallelo o l'eccessiva esposizione al mondo virtuale». Come «ogni altro frutto dell'ingegno umano, le nuove tecnologie della comunicazione chiedono di essere poste al servizio del bene integrale della persona e dell'umanità intera». Se usate saggiamente, «possono contribuire a soddisfare il desiderio di senso, di verità e di unità che rimane l'aspirazione più profonda dell'essere umano». Esistono tuttavia «alcuni limiti tipici della comunicazione digitale: la parzialità dell'interazione, la tendenza a comunicare solo alcune parti del proprio mondo interiore, il rischio di cadere in una sorta di costruzione dell'immagine di sè, che può indulgere all'autocompiacimento». Il coinvolgimento nella pubblica arena digitale, quella creata dai social network, «conduce a stabilire nuove forme di relazione interpersonale, influisce sulla percezione di sé». Dunque, «si pone la questione non solo della correttezza del proprio agire, ma dell'autenticità del proprio essere». E' opportuno chiedersi anche sul Web «chi è il mio prossimo?» per non incorrere nel «pericolo di essere meno presenti verso chi incontriamo nella vita quotidiana».

Le vie telematiche, secondo la lezione di Benedetto XVI, vanno cristianizzate senza «annacquare il Vangelo per renderlo popolare». Proprio Joseph Ratzinger ha stigmatizzato come «un grave danno» il fatto che le tecnologie non siano «accessibili agli emarginati», nel timore di una spaccatura tra Occidente «digitale» e Terzo Mondo tagliato fuori. In più occasioni, fin dall'inizio del suo pontificato, Benedetto XVI ha espresso apprezzamento per la velocità e l’efficienza dei «new media», ma soprattutto per la loro capacità di rispondere «al desiderio fondamentale delle persone di entrare in rapporto le une con le altre». Un anelito innato al quale viene fornito un nuovo strumento, in grado di favorire contatti, amicizia, arricchimento morale e materiale. Per questo Benedetto XVI ha fornito alcune «istruzioni per l’uso»: rispetto, dialogo, vera amicizia. Attenti, quindi, a non farsi sopraffare da un desiderio di «connessione virtuale» che diventi «ossessivo», e «non giungere a sacrificare i rapporti con la famiglia, i vicini, i colleghi di lavoro, gli amici “reali”, altrimenti la persona si isola e interrompe la reale interazione sociale».


Una preoccupazione che ha ripreso una dura nota di cinque del dicastero vaticano della Famiglia contro la «realtà virtuale» e il monito della Cei per uno «scisma telematico» di fedeli «alienati» in Rete alla Chiesa. Un appello alla responsabilità a «coloro che operano nel settore della produzione e della diffusione di contenuti dei nuovi media», a «impegnarsi al rispetto della dignità e del valore della persona umana». Vanno evitate, quindi, pornografia, violenza e intolleranza, e tutto ciò che «svilisce la bellezza e l’intimità della sessualità umana, sfrutta i deboli e gli indifesi». La Rete potrebbe così dispiegare il suo immenso potenziale «per la vita e il bene della creazione», e diventare strumento di evangelizzazione, affidata da Benedetto XVI ai giovani cattolici. Il primo a richiamare l'attenzione sui «social network» fu nel 2009 il cardinale Ennio Antonelli, all'epoca ministro vaticano della Famiglia, con particolare riferimento alle chat e ai giochi di ruolo in rete, «in cui si entra con identità fittizie per lavorare, fare acquisti, costruire la casa, impiantare aziende, impiegare il tempo libero in modo gratificante, fare incontri interessanti, avere legami affettivi e sessuali, perfino celebrare il matrimonio». Un’«alienazione dalla realtà» che «detta modelli di pensiero estranei ai valori del Vangelo».

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“www.publik-forum.de” - Rassegna "Fine settimana"
(Christian Modehn) Fra pochi giorni sarà in carica da un anno: il 13 marzo 2013, l'argentino Jorge Mario Bergoglio fu a sorpresa eletto papa. Sia conservatori che progressisti sembra lo amino. Ma in che direzione manovra papa Francesco il timone della sua Chiesa? (...)