giovedì 31 dicembre 2015

L'odio del mondo contro la semplicità della Tradizione

Monsignor NegriL'odio del mondo si scatena contro chi segue la semplicità della Tradizione
di Luigi Negri*

Carissimo direttore,
ti ringrazio per l’ospitalità che mi concedi su “La Nuova Bussola Quotidiana”, strumento sempre più efficace per l’approfondimento e la difesa dell’identità cristiana e per la sua azione missionaria nella vita di questo mondo di cui tutti sembrano così contenti, ma nei confronti dei quali io ho gravissime preoccupazioni.
Raccolgo qualche osservazione che si è formulata nel mio cuore nelle ben tristi vicende in cui sono stato coinvolto soprattutto ripercorrendo quegli oltre duemila messaggi che ho ricevuto in questi giorni da tante generazioni con cui ho vissuto, compresi quelli di tanti fratelli nell’episcopato e di tanta realtà ecclesiale delle due Diocesi che ho guidato.
Raccolgo alcune di queste testimonianze:
Da una coppia di ex studenti
“Reverendissimo Monsignore,
Mi rivolgo a te così per la stima e il rispetto che ho verso la carica che ricopri nella santa Chiesa di Dio, ma l’antica e bella amicizia mi spinge a darti ancora del tu.
Non voglio spendere troppe parole di sdegno per quello che è accaduto, mi associo alle tue. Mi preme di più condividere con te il dolore per il subdolo odio alla Chiesa. Ma contemporaneamente desidero raggiungerti con l’espressione di un sentimento di gratitudine e di certezza: ciò che il Signore ha costruito nella nostra storia è grande.
La bellezza che ci ha manifestato, l’unità a cui ci ha chiamato, la libertà che ci ha insegnato, la carnalità della Sua presenza che ci ha donato attraverso don Giussani e la vita del movimento, l’amore a Lui e alla sua Chiesa con cui continuamente ci alimenta, sono una roccia: non crollano con la tempesta né con le meschinità altrui.  “La gloria di Dio è l’uomo vivente”.
È a questa grazia che ho pensato subito dopo lo sgomento, e non volevo perdere l’occasione per ringraziarti, per la traccia di bene che hai lasciato nella mia vita e per la continua testimonianza. Il Signore ci sta chiamando ad una dura fedeltà: che ci sostenga e ci perdoni”.
Da un confratello nell’episcopato
Eccellenza Carissima

non riuscendo a contattarti direttamente mi permetto di inviarti questo messaggio:
ti confermo nella stima e nell’affetto che certamente sono cresciuti con le vicende che toccano da vicino chi ama la Chiesa. Credo che abbiano sbagliato persona. Ti sento così unito al Santo Padre che credo nella totale tua estraneità a mentalità che demoliscano e vorrebbero guerre all’interno della Chiesa che amiamo.
Un abbraccio pieno di affetto e di stima”.
Servire la persona di Cristo nella Chiesa e tentare di diffonderne la presenza nel mondo, facendo nascere nel cuore di tanti uomini e donne il desiderio dell’incontro con Lui e, dopo questo incontro, il desiderio di camminare sui Suoi passi per il conseguimento in noi della vita nuova che il Signore offre a quanti credono: questa è stata l’unica preoccupazione di tutta la mia vita, nel movimento e nella Chiesa. 
Era già un onore servire e non ho mai cercato altro che questo, come mi insegnò, con la sua grande testimonianza di pastore, l’Arcivescovo che mi ha ordinato, il Cardinale Giovanni Colombo, per cui l’unico onore consisteva nel vivere fino in fondo la responsabilità che la Chiesa e la nostra coscienza ci affida. 
Queste due testimonianze, di due giovanissimi studenti di allora e di un mio confratello vescovo, così diverso da me come storia e come temperamento, mi sembrano essere due punti che chiariscono che i miei intendimenti erano veri e restano veri, e si pongono nel mondo in modo inequivoco.
Ciò che ho compreso in queste settimane è che davvero si può essere chiamati a partecipare in modo particolarissimo alle sofferenze del Signore, come tanta spiritualità cristiana - cominciando da San Paolo - ha sottolineato e di cui ha dato grande testimonianza. 
Si può soffrire con Cristo e si può patire per Cristo e così, nonostante l’evidente reattività che accompagna l’uomo, nonostante la sofferenza che si subisce, prevale quest’ultima letizia di chi, soffrendo per Cristo, partecipa in modo singolare - e per fortuna momentaneo - alla sua passione.
Questo è ben espresso in un brano di un intervento di don Giussani del 1992, fattomi pervenire da un amico sacerdote, che dice: «L'ira del mondo oggi non si alza dinanzi alla parola della Chiesa, sta quieta anche di fronte all’idea che uno si definisca cattolico, o dinanzi alla figura del Papa dipinto come autorità morale, anzi vi è un ossequio formale, addirittura sincero. L’odio si scatena, a mala pena contenuto ma presto tracimerà, dinanzi a cattolici che si pongano per tali, cattolici che si muovono nella semplicità della Tradizione».
La grande capacità profetica che è propria dei grandi uomini spirituali mi ha definitivamente riconciliato con il Signore e anche con coloro che sono entrati in questa storia, bene moltissimi, male pochissimi. È inutile attardarsi a descrivere reazioni o ad esprimere sconcerto per atteggiamenti che non ho potuto e non posso condividere, meglio riconsegnare tutto al Signore con la certezza che, comunque, attraverso queste vicende, mi ha chiamato a fare un passo ancora più vero dietro di Lui, e di fronte al mondo. 
* Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa

Auguri ai naviganti


 Kairosterzomillennio
augura ai suoi lettori:

Buon Anno
Happy New Year
Bonne Année
Feliz Año Nuevo


2016: Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace 2016 di oggi, 1° gennaio



2016: Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace 2016 di domani, 1° gennaio. "Vinci l’indifferenza e conquista la pace"

1. Dio non è indifferente! A Dio importa dell’umanità, Dio non l’abbandona! All’inizio del nuovo anno, vorrei accompagnare con questo mio profondo convincimento gli auguri di abbondanti benedizioni e di pace, nel segno della speranza, per il futuro di ogni uomo e ogni donna, di ogni famiglia, popolo e nazione del mondo, come pure dei Capi di Stato e di Governo e dei Responsabili delle religioni. Non perdiamo, infatti, la speranza che il 2016 ci veda tutti fermamente e fiduciosamente impegnati, a diversi livelli, a realizzare la giustizia e operare per la pace. Sì, quest’ultima è dono di Dio e opera degli uomini. La pace è dono di Dio, ma affidato a tutti gli uomini e a tutte le donne, che sono chiamati a realizzarlo.
XLIX Giornata Mondiale della Pace 2016: Vinci l’indifferenza e conquista la pace
[Full text: Arabo  - Francese  - Inglese  - Italiano  - Polacco  - Portoghese  - Russo  - Spagnolo  - Tedesco]
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Stralci del messaggio in italiano
- Dio non è indifferente! A Dio importa dell’umanità, Dio non l’abbandona!
Non perdiamo, infatti, la speranza - che il 2016 ci veda tutti fermamente e fiduciosamente impegnati, a diversi livelli, a realizzare la giustizia e operare per la pace.
- La pace è dono di Dio, ma affidato a tutti gli uomini e a tutte le donne, che sono chiamati a realizzarlo.

- Alcuni avvenimenti degli anni passati e dell’anno appena trascorso mi invitano, nella prospettiva del nuovo anno, a rinnovare l’esortazione a non perdere la speranza nella capacità dell’uomo, con la grazia di Dio, di superare il male e a non abbandonarsi alla rassegnazione e all’indifferenza.
- Ci sono molteplici ragioni per credere nella capacità dell’umanità di agire insieme in solidarietà, nel riconoscimento della propria interconnessione e interdipendenza, avendo a cuore i membri più fragili e la salvaguardia del bene comune.
- La dignità e le relazioni interpersonali ci costituiscono in quanto esseri umani, voluti da Dio a sua immagine e somiglianza.
- Come creature dotate di inalienabile dignità noi esistiamo in relazione con i nostri fratelli e sorelle, nei confronti dei quali abbiamo una responsabilità e con i quali agiamo in solidarietà. Al di fuori di questa relazione, ci si troverebbe ad essere meno umani.
- Certo è che l’atteggiamento dell’indifferente, di chi chiude il cuore per non prendere in considerazione gli altri, di chi chiude gli occhi per non vedere ciò che lo circonda o si scansa per non essere toccato dai problemi altrui, caratterizza una tipologia umana piuttosto diffusa e presente in ogni epoca della storia.
- La prima forma di indifferenza nella società umana è quella verso Dio, dalla quale scaturisce anche l’indifferenza verso il prossimo e verso il creato. È questo uno dei gravi effetti di un umanesimo falso e del materialismo pratico, combinati con un pensiero relativistico e nichilistico.
- L’indifferenza nei confronti del prossimo assume diversi volti. C’è chi è ben informato, ascolta la radio, legge i giornali o assiste a programmi televisivi, ma lo fa in maniera tiepida, quasi in una condizione di assuefazione: queste persone conoscono vagamente i drammi che affliggono l’umanità ma non si sentono coinvolte, non vivono la compassione.
- Purtroppo dobbiamo constatare che l’aumento delle informazioni, proprio del nostro tempo, non significa di per sé aumento di attenzione ai problemi, se non è accompagnato da un’apertura delle coscienze in senso solidale . Anzi, esso può comportare una certa saturazione che anestetizza e, in qualche misura, relativizza la gravità dei problemi.
- In altri casi, l’indifferenza si manifesta come mancanza di attenzione verso la realtà circostante, specialmente quella più lontana. Alcune persone preferiscono non cercare, non informarsi e vivono il loro benessere e la loro comodità sorde al grido di dolore dell’umanità sofferente. Quasi senza accorgercene, siamo diventati incapaci di provare compassione per gli altri, per i loro drammi, non ci interessa curarci di loro, come se ciò che accade ad essi fosse una responsabilità estranea a noi, che non ci compete . 
- L’indifferenza verso Dio supera la sfera intima e spirituale della singola persona ed investe la sfera pubblica e sociale. Come affermava Benedetto XVI, «esiste un’intima connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra» . Infatti, «senza un’apertura trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace» . L’oblio e la negazione di Dio, che inducono l’uomo a non riconoscere più alcuna norma al di sopra di sé e a prendere come norma soltanto sé stesso, hanno prodotto crudeltà e violenza senza misura .
- A livello individuale e comunitario l’indifferenza verso il prossimo, figlia di quella verso Dio, assume l’aspetto dell’inerzia e del disimpegno, che alimentano il perdurare di situazioni di ingiustizia e grave squilibrio sociale, le quali, a loro volta, possono condurre a conflitti o, in ogni caso, generare un clima di insoddisfazione che rischia di sfociare, presto o tardi, in violenze e insicurezza.
- In questo senso l’indifferenza, e il disimpegno che ne consegue, costituiscono una grave mancanza al dovere che ogni persona ha di contribuire, nella misura delle sue capacità e del ruolo che riveste nella società, al bene comune, in particolare alla pace, che è uno dei beni più preziosi dell’umanità .
- Quante guerre sono state condotte e quante ancora saranno combattute a causa della mancanza di risorse o per rispondere all’insaziabile richiesta di risorse naturali ?
- «Non soltanto Caino non sopporta suo fratello Abele, ma lo uccide per invidia» . Il fratricidio allora diventa la forma del tradimento, e il rifiuto da parte di Caino della fraternità di Abele è la prima rottura nelle relazioni familiari di fraternità, solidarietà e rispetto reciproco.
- Dio, invece, non è indifferente: il sangue di Abele ha grande valore ai suoi occhi e chiede a Caino di renderne conto. Dio, dunque, si rivela, fin dagli inizi dell’umanità come Colui che si interessa alla sorte dell’uomo. Quando più tardi i figli di Israele si trovano nella schiavitù in Egitto, Dio interviene nuovamente.
. Gesù ci insegna ad essere misericordiosi come il Padre (cfr Lc 6,36). Nella parabola del buon samaritano (cfr Lc 10,29-37) denuncia l’omissione di aiuto dinanzi all’urgente necessità dei propri simili: «lo vide e passò oltre» (cfr Lc 10,31.32). Nello stesso tempo, mediante questo esempio, Egli invita i suoi uditori, e in particolare i suoi discepoli, ad imparare a fermarsi davanti alle sofferenze di questo mondo per alleviarle, alle ferite degli altri per curarle, con i mezzi di cui si dispone, a partire dal proprio tempo, malgrado le tante occupazioni.
- L’indifferenza, infatti, cerca spesso pretesti: nell’osservanza dei precetti rituali, nella quantità di cose che bisogna fare, negli antagonismi che ci tengono lontani gli uni dagli altri, nei pregiudizi di ogni genere che ci impediscono di farci prossimo.
- La misericordia è il cuore di Dio. Perciò dev’essere anche il cuore di tutti coloro che si riconoscono membri dell’unica grande famiglia dei suoi figli; un cuore che batte forte dovunque la dignità umana – riflesso del volto di Dio nelle sue creature – sia in gioco. Gesù ci avverte: l’amore per gli altri – gli stranieri, i malati, i prigionieri, i senza fissa dimora, perfino i nemici – è l’unità di misura di Dio per giudicare le nostre azioni.
- La solidarietà come virtù morale e atteggiamento sociale, frutto della conversione personale, esige un impegno da parte di una molteplicità di soggetti, che hanno responsabilità di carattere educativo e formativo.
Il mio primo pensiero va alle famiglie, chiamate ad una missione educativa primaria ed imprescindibile. Esse costituiscono il primo luogo in cui si vivono e si trasmettono i valori dell’amore e della fraternità, della convivenza e della condivisione, dell’attenzione e della cura dell’altro.
- Anche gli operatori culturali e dei mezzi di comunicazione sociale hanno responsabilità nel campo dell’educazione e della formazione, specialmente nelle società contemporanee, in cui l’accesso a strumenti di informazione e di comunicazione è sempre più diffuso. E’ loro compito innanzitutto porsi al servizio della verità e non di interessi particolari.
- I mezzi di comunicazione, infatti, «non solo informano, ma anche formano lo spirito dei loro destinatari e quindi possono dare un apporto notevole all’educazione dei giovani. È importante tenere presente che il legame tra educazione e comunicazione è strettissimo: l’educazione avviene, infatti, per mezzo della comunicazione, che influisce, positivamente o negativamente, sulla formazione della persona» .
- La pace: frutto di una cultura di solidarietà, misericordia e compassione
- Consapevoli della minaccia di una globalizzazione dell’indifferenza, non possiamo non riconoscere che, nello scenario sopra descritto, si inseriscono anche numerose iniziative ed azioni positive che testimoniano la compassione, la misericordia e la solidarietà di cui l’uomo è capace.
- Il mio pensiero va anche ai giornalisti e fotografi che informano l’opinione pubblica sulle situazioni difficili che interpellano le coscienze, e a coloro che si impegnano per la difesa dei diritti umani, in particolare quelli delle minoranze etniche e religiose, dei popoli indigeni, delle donne e dei bambini, e di tutti coloro che vivono in condizioni di maggiore vulnerabilità. Tra loro ci sono anche tanti sacerdoti e missionari che, come buoni pastori, restano accanto ai loro fedeli e li sostengono nonostante i pericoli e i disagi, in particolare durante i conflitti armati.
- Quante famiglie, poi, in mezzo a tante difficoltà lavorative e sociali, si impegnano concretamente per educare i loro figli “controcorrente”, a prezzo di tanti sacrifici, ai valori della solidarietà, della compassione e della fraternità!
- Infine, vorrei menzionare i giovani che si uniscono per realizzare progetti di solidarietà, e tutti coloro che aprono le loro mani per aiutare il prossimo bisognoso nelle proprie città, nel proprio Paese o in altre regioni del mondo. Voglio ringraziare e incoraggiare tutti coloro che si impegnano in azioni di questo genere, anche se non vengono pubblicizzate: la loro fame e sete di giustizia sarà saziata, la loro misericordia farà loro trovare misericordia e, in quanto operatori di pace, saranno chiamati figli di Dio (cfr Mt 5,6-9).
- Anche gli Stati sono chiamati a gesti concreti, ad atti di coraggio nei confronti delle persone più fragili delle loro società, come i prigionieri, i migranti, i disoccupati e i malati. Per quanto concerne i detenuti, in molti casi appare urgente adottare misure concrete per migliorare le loro condizioni di vita nelle carceri, accordando un’attenzione speciale a coloro che sono privati della libertà in attesa di giudizio , avendo a mente la finalità rieducativa della sanzione penale e valutando la possibilità di inserire nelle legislazioni nazionali pene alternative alla detenzione carceraria. In questo contesto, desidero rinnovare l’appello alle autorità statali per l’abolizione della pena di morte, là dove essa è ancora in vigore, e a considerare la possibilità di un’amnistia.
- Per quanto riguarda i migranti, vorrei rivolgere un invito a ripensare le legislazioni sulle migrazioni, affinché siano animate dalla volontà di accoglienza, nel rispetto dei reciproci doveri e responsabilità, e possano facilitare l’integrazione dei migranti. In questa prospettiva, un’attenzione speciale dovrebbe essere prestata alle condizioni di soggiorno dei migranti, ricordando che la clandestinità rischia di trascinarli verso la criminalità.
- Desidero, inoltre, in quest’Anno giubilare, formulare un pressante appello ai responsabili degli Stati a compiere gesti concreti in favore dei nostri fratelli e sorelle che soffrono per la mancanza di lavoro, terra e tetto. Penso alla creazione di posti di lavoro dignitoso per contrastare la piaga sociale della disoccupazione, che investe un gran numero di famiglie e di giovani ed ha conseguenze gravissime sulla tenuta dell’intera società. La mancanza di lavoro intacca pesantemente il senso di dignità e di speranza, e può essere compensata solo parzialmente dai sussidi, pur necessari, destinati ai disoccupati e alle loro famiglie.
- Un’attenzione speciale dovrebbe essere dedicata alle donne – purtroppo ancora discriminate in campo lavorativo – e ad alcune categorie di lavoratori, le cui condizioni sono precarie o pericolose e le cui retribuzioni non sono adeguate all’importanza della loro missione sociale.
- In questa prospettiva, desidero rivolgere un triplice appello ad astenersi dal trascinare gli altri popoli in conflitti o guerre che ne distruggono non solo le ricchezze materiali, culturali e sociali, ma anche – e per lungo tempo – l’integrità morale e spirituale; alla cancellazione o alla gestione sostenibile del debito internazionale degli Stati più poveri; all’adozione di politiche di cooperazione che, anziché piegarsi alla dittatura di alcune ideologie, siano rispettose dei valori delle popolazioni locali e che, in ogni caso, non siano lesive del diritto fondamentale ed inalienabile dei nascituri alla vita.

Il confine largo

roberto-benigni-i-10-comandamenti
di Tonino Cantelmi
Roberto Benigni, il comico irriverente, Costanza Miriano, la cattolica col tacco 12, e Mario Adinolfi, il devoto anticlericale: ecco a voi il cattolicesimo di “contaminazione” ai tempi di Papa Francesco. E sì, perché Papa Francesco, colui che insegna con la profezia, ha cambiato il concetto di confine: non più una linea, che separa il di qua e il di la, il dentro e il fuori, ma un territorio, un luogo di mezzo, largo, sempre più largo che attira gli abitanti del centro e quelli dell’extraperiferia, contaminandoli inesorabilmente. Insomma il confine non è più una sottile linea di separazione, ma un grande territorio, espanso ed inclusivo, una nuova agorà.
Cosicchè abbiamo coloro che abitano al di là, fuori, ma che fanno incredibili incursioni in questo largo territorio (Benigni), coloro che abitano al di qua, dentro, che pure non rinunciano a percorrere il confine (Miriano) e i tanti nuovi abitanti di questo territorio border, che non possono abitare al di qua e non vogliono più abitare al di là (Adinolfi). Roberto Benigni, colui che strapazzò con irriverenza San Giovanni Paolo II, che è stato  l’indimenticabile interprete di un diavoletto simpatico, ma anche del Pap’Occhio, che abita ancora al di là del confine, ebbene proprio lui non rinuncia a metter su uno straordinario spettacolo che ha per protagonista Dio Creatore, i 10 Comandamenti e il Comandamento dell’amore di Gesù. E lo fa molto, ma davvero molto meglio di un mucchio di teologi, di preti e di catechisti. Se ci fossero 1000 Benigni a spezzare così la Parola, avremmo le chiese strapiene in Italia e le omelie sarebbero finalmente comprensibili e interessanti.
Eppure Benigni abita al di là del confine, ma evidentemente non può non frequentarlo, generando una contaminazione avvincente e entusiasmante. Costanza Miriano, invece, abita per sua dichiarazione al di qua del confine, dentro insomma. Ma anche lei non può non fare incursioni in questo affascinante territorio inventato da Papa Francesco. Scusate l’irriverenza, ma la Miriano ha sdoganato per le donne cattoliche tacchi a spillo, trucchi, decoltè, smalti e, udite udite, calze autoreggenti! Insomma il rosario al polso (lo indossa davvero, l’ho visto) e il rossetto in mano: contaminazioni di rara efficacia. Se ci fossero 1000 Miriano il messaggio evangelico sarebbe alla moda, allegro e frizzante. E che dire dei nuovi abitanti del confine, di coloro che non vogliono stare fuori e che non si sentono pronti per stare dentro, ma che finalmente hanno un territorio da abitare? Gli abitanti di questo territorio border sono davvero tanti.
Come Mario Adinolfi: politico dichiaratamente non baciapile, smodato giocatore di poker, divorziato eppure antidivorzista, antiabortista, contrario all’utero in affitto e ai falsi (e disumani) miti del progresso e direttore di un giornale che si chiama “La Croce”, facendo riferimento proprio a quella di Cristo. Con 1000 Adinolfi, il Vangelo sarebbe notizia da prima pagina ogni giorno. Si, i cattolici statici e parrocchiosi come me, rimangono un po’ perplessi di fronte alle contaminazioni, eppure a ben vedere ha ragione Papa Francesco: è questo territorio di confine il nuovo centro, per la sua forza dinamica e per la sua capacità inclusiva. Il cattolicesimo “di contaminazione” è la via: quando Papa Francesco cita Benigni in una omelia o telefona ad Emma Bonino (di cui ho un ricordo personale: mi attaccò pubblicamente e in modo strumentale in una polemica del passato in cui sperimentai, credetemi sulla parola, i suoi pregiudizi anticattolici di allora), ebbene in queste circostanze come in tante altre, Papa Francesco ci indica, in modo profetico e non istituzionale, la strada maestra. Perciò ben vengano Benigni, Miriano, Adinolfi e i tanti altri protagonisti di questa straordinaria invenzione di Papa Francesco: il confine largo!

Solennità di Maria Santissima Madre di Dio -- 1 gennaio 2016. Commento al Vangelo

Virgin Mary with Jesus

Nella pienezza della gioia del Natale festeggiamo la Vergine Maria quale Madre di Dio e scopriamo che Dio ha desideri immensi per ciascuno di noi: “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is. 55, 10-11). La Parola discesa dal Cielo nel grembo di Maria si è fatta carne per compiere, qui sulla terra, i desideri di Dio.
Gesù ne è il compimento, e Maria è la Madre del desiderio divino. Come non esplodere di gioia allora, sapendo d’essere al centro dei desideri di Dio? Come non fermarsi nello stupore dei pastori alla grotta di Betlemme e contemplare l’amore inaudito di Dio? Gesù è nato per me. “Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi dio” dicevano i Padri. Il desiderio di Dio è dunque farci come Lui.
Gesù Cristo è il nuovo Adamo che ha riscattato il peccato del primo Adamo per ricondurci a Dio attraverso l’ amore e l’obbedienza al Padre. Ma il nuovo Adamo aveva bisogno di una nuova Eva, la Panaghia (Tutta Santa) della Tradizione ortodossa; Maria che, nella fede, ha cancellato l’infedeltà della prima Eva. Quest’ultima aveva incitato Adamo alla disubbidienza. La nuova Eva si offre per l’incarnazione del nuovo Adamo, il quale condurrà l’umanità ad obbedire a Dio.
La Theotokos (Colei che partorisce Dio), offrendo tutta se stessa, ha donato la propria libertà e volontà a Dio, per portarlo a sé e a noi. L’architettura di una chiesa ortodossa lo  riflette benissimo: sotto la cupola viene rappresentato Cristo Pantocrator. Tale dipinto simboleggia la discesa di Dio dal cielo sulla terra, che “divenne uomo ed abitò tra noi” (Gv 1, 14).
Dal momento in cui Dio è divenuto uomo attraverso Maria, gli ortodossi dipingono la Theotokos sull’abside dell’altare. Il significato è chiaro: essa è “il ponte che Dio ha usato per discendere”, “il ponte che ha portato chi stava sulla terra al cielo” il luogo accordato dal Dio infinito per la nostra salvezza, la Platytera (più vasta) del cielo.
Inoltre, la Chiesa dipinge gli uomini deificati, coloro che, per la Grazia di Dio, sono divenuti dei perché Dio è divenuto uomo. Così nelle chiese dell’Oriente cristiano intorno e sotto l’Onnipotente, non vi sono solo il Dio incarnato, Gesù Cristo e la sua immacolata Madre, la Signora Theotokos, ma anche i santi.
Su tutti i muri della chiesa sono, per così dire, dipinte le conseguenze dell’incarnazione di Dio: gli uomini e le donne santificati e deificati. Perciò, entrando in una chiesa ortodossa e vedendo la sua bella iconografia, si fa immediatamente un’esperienza: comprendiamo l’opera di Dio a vantaggio dell’uomo e lo scopo della nostra vita.
Tutto nella Chiesa afferma l’incarnazione di Dio e la deificazione dell’uomo. E’ questo il desiderio di Dio per ciascuno di noi, il tesoro racchiuso nel mistero dl Natale che oggi, festeggiando la Madre di Dio, ci si svela con ineffabile gioia. Con Maria diveniamo dunque anche noi i figli desiderati di Dio.
All’alba di un nuovo anno, con Maria impariamo a discernere nella storia che ci ha accompagnato e in quella che si dischiude il desiderio di Dio per la nostra felicità. Tutto è gravido d’amore, in ogni istante Dio desidera dare alla luce, attraverso la Chiesa, l’amore fatto carne. 
Ecco, nella storia di questo nuovo anno, le nostre storie saranno il desiderio divino di salvezza per ogni uomo, incarnato e finalmente visibile. Ogni aspetto della nostra vita sarà dunque un frammento del destino eterno che cerca questa generazione per accompagnarla al Cielo. Non vi sarà nel futuro nulla da sfuggire (tranne il peccato) perché nulla vi è da dimenticare nel passato. Tutto è santo nel presente eterno inaugurato da Gesù, perché su tutto è discesa la Grazia di Dio.
In questo nuovo  andiamo allora come i pastori “senza indugio” al presepe della nostra vita: dalla moglie e dal marito, dai figli e dai genitori, anche dai nemici. In loro è nascosto Cristo, per loro daremo alla luce il suo amore. E impariamo da nostra Madre il silenzio di chi non vuole rapinare il senso della storia, ma sa attendere nella preghiera che sia Dio a svelarlo nel momento opportuno.
Gesù ha ardentemente desiderato di mangiare la Pasqua con i suoi discepoli. Il verbo “desiderare” in greco è molto forte, esprime la concupiscenza. Sì, esiste una santa concupiscenza, l’ardente desiderio di Dio di donarsi per farsi uno con ciascuno di noi, per condurci vittoriosi oltre la barriera del peccato e della morte. E, attraverso di noi sua Chiesa, con ogni uomo.
Nel corpo di Cristo offerto e consegnato sulla Croce dei suoi fratelli, si manifesta il desiderio di Dio per il mondo. Maria è Madre di questo corpo donato; attraverso di Lei giunge a tutti la misericordia fatta pane. Possiamo così ricevere in dono il cibo che non perisce, l’unico capace di saziarci e condurci nel cammino del nuovo anno. Non a caso “Betlemme” in aramaico significa “casa del pane”. Non a caso Gesù è nato in una mangiatoia. Non a caso l’annuncio dell’angelo ai pastori parlava di un segno come una Parola compiuta.
Ecco oggi Maria, la Madre di Dio e Madre della Storia, Madre della Chiesa e Madre nostra. Ecco i nostri giorni come una mangiatoria dove saziarci di Cristo, deposto nelle gioie e nei dolori, l’unico segno del Cielo dato alla terra, fonte di gioia e stupore per chi ci è accanto.
Ed eccoci con Lui offerti da Maria sulla mangiatoia del lavoro e della scuola, del matrimonio e delle malattie, di ogni ora preparate per noi. In ciascuna di esse coloro che ci incontreranno potranno contemplare il mistero di Dio fatto carne in un bambino. Sì, gli eventi di questo nuovo anno ci "circoncideranno" per presentarci a Dio come i suoi figli offerti al mondo, profezia e annuncio di salvezza compiuti per questa generazione; la carne segnata dall'appartenenza al Cielo, mentre la storia ci farà bambini nel Bambino, pane nel Pane, vita e amore nella Vita e nell’amore che non muoiono.

LA MISERICORDIA È IL LINGUAGGIO DEL CUORE



Annachiara Valle per Famiglia Cristiana
«Misericordia è il nome di Dio», aveva esclamato il cardinale Bergoglio prima del Conclave prendendo tra le mani il libro di Walter Kasper Misericordia. «Misericordia è avere un cuore aperto per i miseri, per la miseria», spiega il cardinale, presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani durante l’intervista pubblica tenutasi presso la libreria delle Figlie di San Paolo a Roma.  «La miseria c’è sempre, adesso ci sono i rifugiati che arrivano, nuovi problemi, nuovi scandali, ci sono cose terribili. E la legge e la giustizia da sole non bastano, ci vogliono persone che hanno un cuore, che vedono, ascoltano il grido e fanno qualcosa».
Quindi la misericordia non abolisce la giustizia?
«La misericordia non vuole togliere la giustizia. La giustizia è importante, fa riferimento ai diritti umani e ci sono molti Paesi dove non c’è giustizia. Anche da noi non c’è sempre giustizia, anzi c’è molta ingiustizia in questo mondo e i cristiani devono essere difensori della giustizia dei diritti umani. Ma la questione è: basta la giustizia? La giustizia può essere – questa è la frase del filosofo dell’antica Roma –“summa ius summa iniuria” perché “giustizia” è un termine generale ma si situa nelle situazioni che sono molto diversificate e, se si applica semplicemente la legge, questa può diventare una cosa ingiusta, perché ci sono nuovi problemi e nuove sfide per le quali le leggi antiche non bastano. Ci vogliono persone che hanno occhi aperti per vedere i nuovi bisogni e anche le gambe veloci per andare incontro a questi nuovi bisogni. Si può dire che essi hanno un cuore di misericordia. La misericordia è il linguaggio del cuore e questo lo capiscono tutti. Le leggi sono spesso molto complicate, ma la misericordia capisce l’altro».
Perché un tema così centrale  per i cristiani è stato a lungo trascurato?
«È trascurato oggi, i santi non lo trascuravano e dai santi si imparano molte cose sulla misericordia. Soprattutto Teresa di Lisieux nella Storia di un’anima ne parla molto e anche Caterina da Siena. Ma penso che, oltre ai santi, anche il popolo fedele ha sempre saputo che noi tutti abbiamo bisogno della misericordia. Non c’è nessuno che non abbia questo bisogno, ma i teologi hanno un po’ dimenticato questo. Non san Tommaso D’Aquino. Nella Summa teologica lui dice che “la misericordia ha la priorità sulla giustizia. Prima la misericordia e dopo la giustizia”. Perché, lui dice, Dio non è dipendente dalle nostre regole di giustizia, Dio è sovrano, Dio è Dio e Dio è amore. Dio è giusto a sé stesso, al suo amore, perché è amore, come dice la Prima lettera di Giovanni, e quindi non può fare altrimenti che essere misericordioso. È per questo che la misericordia ci lascia guardare nel cuore di Dio stesso. Dio non può essere altrimenti che misericordioso e questo Tommaso lo ha capito e detto: la misericordia è la giustizia di Dio, non è una contrapposizione, perché Dio è giusto a sé stesso, lui è misericordioso e per questo il Papa ha potuto dire, quando gli ho offerto il libro in lingua spagnola, “Misericordia, questo è il nome del nostro Dio”, una bella frase».
C’è chi sostiene che la misericordia tradisce comandamenti e dottrina...
«La misericordia stessa è un comandamento di Gesù. “Beati i misericordiosi”, dice il discorso sulla montagna. E quando si parla dell’ultimo giudizio i criteri sono sulla misericordia. Saremo giudicati se abbiamo dato da mangiare e da bere, se abbiamo dato un tetto. Perciò questo è centrale. Gesù non ci domanderà: “Siete stati ogni domenica a Messa?”, sebbene anche questo sia importante. Ma è la misericordia il tema centrale. Lui dice: “Ciò che avete fatto agli altri avete fatto a me”. Vuol dire che, alla fine, quando incontreremo il Signore lui ci riconoscerà su questo: “Tu mi hai già aiutato. Ti riconosco”».
Lei ha spesso detto che la misericordia cambia il mondo. In che modo?
«Ciascuno di noi vuole essere apprezzato, vuole essere amato. E quando io trovo che sono apprezzato e amato cambia il mio rapporto con l’altro. E così la misericordia cambia il cuore dell’uomo. Dio dice: “Siate misericordiosi come è misericordioso il vostro Padre nel cielo. Lui lascia sorgere il sole per i peccatori e per i buoni e dà la pioggia a tutti e due e così dovete fare anche voi”. È così che possiamo diventare “costruttori della pace”».
È questo che ci insegna l’Anno della misericordia?
«Noi abbiamo spesso parlato del Dio giusto che punisce, che minaccia, di cui dobbiamo aver paura. Invece Dio è misericordioso, ha tenerezza, ha un cuore per i miseri e soprattutto per i peccatori. Pensando alla parabola del figliol prodigo e al figlio più grande che si arrabbia per il perdono del padre ho l’impressione che alcuni cristiani sono più dalla parte di questo figlio anziano e non vogliono che si usi tanta misericordia con questi peccatori. Invece Gesù dice: “Sono venuto per salvare i peccatori, non i perfetti”. Questo è il messaggio di Gesù e questo messaggio lo abbiamo spesso dimenticato. Abbiamo parlato troppo della giustizia e abbiamo dimenticato la misericordia. Con questo Giubileo papa Francesco vuole iniziare il tempo della misericordia. E se vediamo il nostro mondo come è oggi con questi milioni di rifugiati, con le  stragi che ci sono state a Parigi, in Mali, con la situazione in Siria e in Iraq e con molto altro si vede che ci vuole veramente misericordia».

Udienza ai partecipanti al Congresso Internazionale dei “Pueri Cantores”, 31.12.2015. Dialogo del Santo Padre



Nuovo tweet del Papa:"Ringraziamo Dio che è sempre presente, vicino e misericordioso (MV 6)." (31 dicembre 2015)

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Udienza ai partecipanti al Congresso Internazionale dei “Pueri Cantores”, 31.12.2015. Dialogo del Santo Padre 
 Sala stampa della Santa Sede 
Alle ore 11 di oggi, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza i partecipanti al 40.mo Congresso internazionale dei Pueri Cantores (Roma, 28 dicembre 2015 – 1° gennaio 2016). Pubblichiamo di seguito la trascrizione del dialogo che il Papa ha tenuto con i giovani coristi nel corso dell’incontro:
Dialogo del Santo Padre
Prima domanda: Che cosa pensa del nostro canto? Le piace cantare?
Papa Francesco – “Che cosa pensi del nostro canto? Ti piace cantare?”… Mi piacerebbe sentirvi cantare di più! Ho sentito soltanto un canto, spero che ne facciate altri... Mi piace sentire cantare, ma, se io cantassi, sembrerei un asino, perché non so cantare. Neppure so parlare bene, perché ho un difetto nel modo di parlare, nella fonetica (...)

E’ Maria il ponte tra cristiani e Islam

Pope to consecrate world to Mary's Immaculate Heart - it




CHIARA SANTOMIERO/ALETEIA
L’ha detto anche il giorno della sua consacrazione episcopale il 19 dicembre scorso: “Maria presente e viva nella sua casa di Efeso attira ancora oggi migliaia di pellegrini, cristiani e musulmani. E’ lei la speranza di un futuro di riconciliazione e di pace”. Monsignor Lorenzo Piretto è il nuovo arcivescovo di Smirne in Turchia, diocesi nel cui territorio è compresa Efeso, il luogo dove la tradizione vuole che la madre di Gesù abbia trascorso gli ultimi anni della sua vita. Secondo la tradizione l’apostolo Giovanni, obbedendo alla consegna di Gesù sulla croce, ha portato con sé a Efeso la Vergine Maria che proprio qui, nel Concilio del 431, è stata dichiarata “Theotokos”, Madre di Dio, la solennità celebrata il 1° gennaio. Per cristiani e musulmani la casa di Efeso è il luogo ove è avvenuta la “dormizione di Maria Santissima” e la sua conseguente Assunzione al Cielo. “Ho sempre considerato Maria, la madre di Gesù – afferma nell’intervista ad Aleteiamons. Piretto – un punto di riferimento fondamentale per il dialogo islamo-cristiano”.
Piretto, domenicano, è in Turchia da trent’anni, trascorsi soprattutto a Istanbul dove è stato vicario generale della diocesi, ha insegnato all’università e alla facoltà di teologia islamica e si è occupato della piccola comunità parrocchiale di san Pietro e san Paolo, punto di riferimento dellapresenza domenicana nel Paese. In questa chiesa non poteva mancare una raffigurazione – cara ai domenicani – della Madonna del Rosario che tiene Gesù Bambino in braccio.
“Com’è dolce!”, racconta monsignor Piretto a proposito dei commenti delle donne musulmane che si raccolgono davanti alla statua policroma di scuola genovese della fine del ‘600 custodita in una nicchia. “I turchi – prosegue – chiamano laMadonna ‘Meryem ana’, ‘Maria mamma”. Il Coranoparla di Maria definendola la ‘tutta santa’ che ha ricevuto Gesù da Dio, rimanendo vergine”.
In un altro brano del Corano si descrivono le mormorazioni della gente riguardo a Maria rimasta incinta senza essere sposa e del neonato Gesù, considerato un profeta per l’Islam, che parla in difesa della madre. “Maria quindi – spiega l’arcivescovo di Smirne – può essere determinante per la compresione reciproca e me ne ricordo nei momenti di difficoltà del dialogo con i musulmani”.
Legate alla figura di Maria esistono delle coincidenze che forse potranno svelare un significato in futuro. “Maria – sottolinea Piretto – è apparsa nel 1858 a Lourdes, un nome che viene da una parola araba che significa ‘rosa’ e la Madonna è apparsa a Bernadette con due rose ai piedi”. E la Vergine, ancora, è apparsa nel 1917 a Fatima, uno sperduto villaggio del Portogallo fondato da arabi musulmani che l’avevano chiamato con il nome della figlia prediletta di Maometto, Fatma. “Perchè è apparsa proprio a Fatima? Il suo significato si svelerà. Attraverso Maria – sostiene Piretto – si può vedere che siamo tutti fratelli e siamo chiamati ad amare Dio come padre di tutti”.

La Chiesa di Smirne è l’unica delle sette Chiese destinatarie delle lettere con cui si apre il libro dell’Apocalisse, tutte nella penisola anatolica, in cui sia rimasta attiva una seppur piccola comunità cattolica. Una responsabilità importante per il nuovo arcivescovo, chiamato ad essere pastore in un Paese dove i cristiani delle diverse confessioni (armeni, siriaci, ortodossi, caldei, protestanti) rappresentano lo 0,15% di una popolazione di quasi 75 milioni di abitanti.
Non è facile essere una minoranza – concorda mons. Piretto – ma può essere uno stimolo a una consapevolezza più viva della propria fede, della fedeltà al Vangelo e a Gesù. Non importa ‘fare’ grandi cose ma ‘essere’ lievito. ‘Vi riconosceranno’, ha detto Gesù, ‘ se vi amerete tra di voi’. Dobbiamo evitare il rischio della chiusura e vivere come fratelli in mezzo a tutti, diventando artigiani di riconciliazione e di pace. E bisogna iniziare dalla stima e dalla conoscenza reciproca. In questoMaria e la valorizzazione del santuario di Efeso, punto d’incontro di cristiani e musulmani, potranno essere di grande aiuto”.

Celebrazione dei primi Vespri della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e “Te Deum” di ringraziamento per l’anno trascorso. Omelia di Papa Francesco

Celebrazione dei primi Vespri della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e “Te Deum” di ringraziamento per l’anno trascorso. Omelia di Papa Francesco:  "Non possiamo dimenticare che tante giornate sono state segnate da violenza, da morte, da sofferenze indicibili di tanti innocenti, di profughi costretti a lasciare la loro patria, di uomini, donne e bambini senza dimora stabile, cibo e sostentamento"

Sala stampa della Santa Sede


"Oggi i nostri occhi hanno bisogno di focalizzare in modo particolare i segni che Dio ci ha concesso, per toccare con mano la forza del suo amore misericordioso."
Quanto è colmo di significato il nostro essere radunati insieme per dare lode al Signore al termine di questo anno!
La Chiesa in tante occasioni sente la gioia e il dovere di innalzare il suo canto a Dio con queste parole di lode, che fin dal quarto secolo accompagnano la preghiera nei momenti importanti del suo pellegrinaggio terreno. E’ la gioia del ringraziamento che quasi spontaneamente promana dalla nostra preghiera, per riconoscere la presenza amorevole di Dio negli avvenimenti della nostra storia.
Come spesso succede, però, sentiamo che nella preghiera non basta solo la nostra voce. Essa ha bisogno di rinforzarsi con la compagnia di tutto il popolo di Dio, che all’unisono fa sentire il suo canto di ringraziamento. Per questo, nel Te Deum chiediamo l’aiuto agli Angeli, ai Profeti e a tutta la creazione per dare lode al Signore. Con questo inno ripercorriamo la storia della salvezza dove, per un misterioso disegno di Dio, trovano posto e sintesi anche le varie vicende della nostra vita di quest’anno trascorso.
In questo Anno giubilare assumono una speciale risonanza le parole finali dell’inno della Chiesa: «Sia sempre con noi, o Signore, la tua misericordia: in te abbiamo sperato». La compagnia della misericordia è luce per comprendere meglio quanto abbiamo vissuto, e speranza che ci accompagna all’inizio di un nuovo anno.
Ripercorrere i giorni dell’anno trascorso può avvenire o come un ricordo di fatti e avvenimenti che riportano a momenti di gioia e di dolore, oppure cercando di comprendere se abbiamo percepito la presenza di Dio che tutto rinnova e sostiene con il suo aiuto. Siamo interpellati a verificare se le vicende del mondo si sono realizzate secondo la volontà di Dio, oppure se abbiamo dato ascolto prevalentemente ai progetti degli uomini, spesso carichi di interessi privati, di insaziabile sete di potere e di violenza gratuita.
E, tuttavia, oggi i nostri occhi hanno bisogno di focalizzare in modo particolare i segni che Dio ci ha concesso, per toccare con mano la forza del suo amore misericordioso. Non possiamo dimenticare che tante giornate sono state segnate da violenza, da morte, da sofferenze indicibili di tanti innocenti, di profughi costretti a lasciare la loro patria, di uomini, donne e bambini senza dimora stabile, cibo e sostentamento. Eppure, quanti grandi gesti di bontà, di amore e di solidarietà hanno riempito le giornate di quest’anno, anche se non sono diventate notizie dei telegiornali! Le cose buone non fanno notizia. Questi segni di amore non possono e non devono essere oscurati dalla prepotenza del male. Il bene vince sempre, anche se in qualche momento può apparire più debole e nascosto.
La nostra città di Roma non è estranea a questa condizione del mondo intero. Vorrei che giungesse a tutti i suoi abitanti l’invito sincero per andare oltre le difficoltà del momento presente. L’impegno per recuperare i valori fondamentali di servizio, onestà e solidarietà permetta di superare le gravi incertezze che hanno dominato la scena di quest’anno, e che sono sintomi di scarso senso di dedizione al bene comune. Non manchi mai l’apporto positivo della testimonianza cristiana per consentire a Roma, secondo la sua storia, e con la materna intercessione di MariaSalus Populi Romani, di essere interprete privilegiata di fede, di accoglienza, di fraternità e di pace.
«Noi ti lodiamo, o Dio. […] Tu sei la nostra speranza. Non saremo confusi in eterno».
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Al termine della Celebrazione dei Vespri in Basilica, il Santo Padre compie una breve visita al Presepio allestito all’obelisco in Piazza San Pietro.

mercoledì 30 dicembre 2015

L'Udienza generale di Papa Francesco: "Scopriamo, anzitutto, che i bambini vogliono la nostra attenzione...

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Nuovo tweet del Papa: "Nessuno può porre un limite all’amore di Dio che è sempre pronto a perdonare (MV 3)." (30 dicembre 2015)

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L'Udienza generale di Papa Francesco: "Scopriamo, anzitutto, che i bambini vogliono la nostra attenzione. Loro devono stare al centro perché hanno bisogno di sentirsi protetti"
Fratelli e sorelle, buongiorno! Un giorno un po' freddo.
In questi giorni natalizi ci viene posto dinanzi il Bambino Gesù. Sono sicuro che nelle nostre case ancora tante famiglie hanno fatto il presepe, portando avanti questa bella tradizione che risale a san Francesco d’Assisi e che mantiene vivo nei nostri cuori il mistero di Dio che si fa uomo.
La devozione a Gesù Bambino è molto diffusa. Tanti santi e sante l’hanno coltivata nella loro preghiera quotidiana, e hanno desiderato modellare la loro vita su quella di Gesù Bambino. Penso, in particolare a santa Teresa di Lisieux, che come monaca carmelitana ha portato il nome di Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo. Lei – che è anche Dottore della Chiesa – ha saputo vivere e testimoniare quell’“infanzia spirituale” che si assimila proprio meditando, alla scuola della Vergine Maria, l’umiltà di Dio che per noi si è fatto piccolo. (...)
C’è stato un tempo in cui, nella Persona divino-umana di Cristo, Dio è stato un bambino, e questo deve avere un suo significato peculiare per la nostra fede. E’ vero che la sua morte in croce e la sua risurrezione sono la massima espressione del suo amore redentore, però non dimentichiamo che tutta la sua vita terrena è rivelazione e insegnamento. Nel periodo natalizio ricordiamo la sua infanzia. Per crescere nella fede avremmo bisogno di contemplare più spesso Gesù Bambino. Certo, non conosciamo nulla di questo suo periodo. Le rare indicazioni che possediamo fanno riferimento all’imposizione del nome dopo otto giorni dalla sua nascita e alla presentazione al Tempio (cfr Lc 2,21-28); e inoltre alla visita dei Magi con la conseguente fuga in Egitto (cfr Mt 2,1-23). Poi, c’è un grande salto fino ai dodici anni, quando con Maria e Giuseppe Gesù va in pellegrinaggio a Gerusalemme per la Pasqua, e invece di ritornare con i suoi genitori si ferma nel Tempio a parlare con i dottori della legge.
Come si vede, sappiamo poco di Gesù Bambino, ma possiamo imparare molto da Lui se guardiamo alla vita dei bambini. (...)

Scopriamo, anzitutto, che i bambini vogliono la nostra attenzione. Loro devono stare al centro perché (...) hanno bisogno di sentirsi protetti. E’ necessario anche per noi porre al centro della nostra vita Gesù e sapere, anche se può sembrare paradossale, che abbiamo la responsabilità di proteggerlo. Vuole stare tra le nostre braccia, desidera essere accudito e poter fissare il suo sguardo nel nostro. Inoltre, far sorridere Gesù Bambino per dimostrargli il nostro amore e la nostra gioia perché Lui è in mezzo a noi. Il suo sorriso è segno dell’amore che ci dà certezza di essere amati. I bambini, infine, amano giocare. Far giocare un bambino, però, significa abbandonare la nostra logica per entrare nella sua. Se vogliamo che si diverta è necessario capire cosa piace a lui. (...) E’ un insegnamento per noi. Davanti a Gesù siamo chiamati ad abbandonare la nostra pretesa di autonomia,(...) per accogliere invece la vera forma di libertà, che consiste nel conoscere chi abbiamo dinanzi e servirlo. Lui è il Figlio di Dio che viene a salvarci. E’ venuto tra di noi per mostrarci il volto del Padre ricco di amore e di misericordia. Stringiamo, dunque, tra le nostre braccia il Bambino Gesù, mettiamoci al suo servizio: Lui è fonte di amore e di serenità. (...)

martedì 29 dicembre 2015

Solo la confessione e la domanda di Misericordia...


Il Penitenziere Maggiore, cardinale Mauro Piacenza

...liberano dal peccato che inquina i cuori e il mondo
di Lorenzo Bertocchi
In occasione del Santo Natale il Penitenziere Maggiore, cardinale Mauro Piacenza, ha scritto una bella lettera ai confessori (clicca qui). Quest’anno la lettera ha un sapore particolare, visto che da pochi giorni siamo entrati nel Giubileo della Misericordia, un anno straordinario che mette al centro proprio il confessionale.
Eminenza, in occasione del Santo Natale ha scritto una lettera ai confessori anche per ringraziarli del «generoso ministero»che svolgono. Tra l'altro, dal suo scritto emerge che quello della confessione è il luogo privilegiato per la difesa ecologica. Perché salva «dal più letale degli smog». In che modo?
«L’inquinamento, causa ultima di tutti gli inquinamenti è il peccato. È il peccato che de-ordina dal fine, è il peccato che scatena quegli elementi egoistici che, a vasto raggio, determinano i vari tipi di inquinamento dell’ambiente. É il peccato che porta l’uomo a sfidare la natura, a sostituire Dio con l’Io. La società, in genere, quando si parla di inquinamento è portata a pensare immediatamente al surriscaldamento dell’atmosfera, allo scioglimento di ghiacciai, al disboscamento selvaggio e così via. Allora, rispondendo talvolta anche a orientamenti politici, si organizzano incontri, tavole rotonde, programmi di sensibilizzazione dei diversi ambienti. Tutte cose positive e magari anche doverose, sì! Ma poiché non si va al cuore dell’uomo, si tratta di porre dei cerotti anziché di lavorare direttamente sulla malattia e di seguire, conseguentemente, il trattamento terapeutico adeguato.  Si è talmente fuori strada che si fanno magari campagne perché talune specie animali rischiano l’estinzione e poi non si batte ciglio  sui milioni di bambini abortiti ogni anno, una vera ecatombe, da rabbrividire. E gli esempi si potrebbero moltiplicare. Allora si comprende perché il confessionale diventa il luogo di difesa dell’ecologia integrale e autentica. Lì, a seguito di un onesto esame di coscienza, di un autentico pentimento, di un sincero desiderio di cambiare vita, con la grazia di Dio e la gioia che deriva dal sentirsi riconciliati con Dio e con il prossimo, nasce un uomo rinnovato, pulito, in comunione con tutti, anche con il creato. Allora si guarda con occhi nuovi. Se onestamente rileggiamo i dieci Comandamenti e le otto Beatitudini, allora ci accorgiamo che l’osservanza di essi garantirebbe un mondo migliore nel quale si vivrebbe come un mottetto polifonico. Rendiamoci conto che i doveri che abbiamo nei confronti dell’ambiente sono correlati ai doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e disattendere gli altri. Questa è una gravissima antinomia della mentalità corrente che avvilisce la persona, sconvolge l’ambiente e danneggia la società. Tutte le nobili questioni legate all’ambiente e alla sua salvaguardia sono intimamente connesse con il tema dello sviluppo umano armonico e integrale. Sono tutti concetti sempre portati avanti dal Magistero autentico e perenne della Chiesa, anche di recente ribaditi dall’Enciclica Laudato sì di Papa Francesco».
Il sacramento della Confessione sembra essere in crisi. Il cardinale Martini, ad esempio, in un itinerario quaresimale segnalava la differenza tra un “pentito giudiziario”, che non purifica il cuore, e il riconoscimento della colpa davanti a “Colui che cambia il cuore”. É il senso del peccato ad essere in crisi? 
«Le crisi di questo genere hanno come radice una crisi di fede. Quando diminuisce la fede diminuisce la pratica della Confessione in quanto alla diminuzione di fede fa riscontro consequenziale la diminuzione, fino alla perdita, del senso del peccato. Anche la diminuzione del senso della santità e della maestà di Dio inducono alla diminuzione del senso del peccato. Se ripensiamo a quello che leggiamo sui quotidiani, quello che vediamo in televisione, quello che cogliamo nei discorsi di molta gente, ci rendiamo poi conto che si verifica un dissociamento comportamentale: da una parte c’è un duro rigorismo pubblico in forza del quale ci si scandalizza di tutti e di tutto, anche acriticamente o con toni sbilanciati e cattivi, da un altro lato vige un estremo permissivismo individuale in base al quale si perdona tutto a se stessi. Talvolta si “divinizzano” persone che poi, col tempo, magari cadono miseramente e talvolta si “demonizzano” persone che poi, col tempo, magari si rivelano innocenti perseguitati da livide malevolenze pregiudiziali. Ma dobbiamo ricordare che la legge di Dio è una e indivisibile e va rispettata in tutti i suoi aspetti e le sue rifrazioni. Vale in tutti i campi: quelli dell’economia e della finanza, come quelli dell’informazione e della politica, quelli del comportamento personale, familiare, civico ed ecclesiale. Innanzi alla legge di Dio non ci sono privilegi: nessuno può infangarla impunemente, nemmeno i personaggi più autorevoli per ruolo, neppure i più famosi e i più idolatrati, neppure gli “intoccabili”. Talvolta, poi, si pensa che determinati peccati fossero ritenuti tali in un periodo storico, ma in un altro no, per uno strano concetto di “evoluzione”. Certamente tutto ciò che è secondario può mutare e, talvolta, addirittura deve mutare, ma come dice il Salmo «la Parola di Dio rimane in eterno»; essa è sempre identica a sé e non muta in nulla con il mutare delle instabili leggi umane e con le mode transeunti».
Dunque il nostro tempo ha perso il senso del peccato? 
«In parte mi pare di aver risposto ma, soprattutto per l’esperienza che ho come confessore – ed ho sempre confessato molto, come pure continuo a fare con gioia- in un certo senso c’è pure un pungente senso del peccato ma, purtroppo, del peccato degli altri e non del proprio. Non è bello, né tanto meno giusto, battere il petto degli altri anziché il proprio. É uno sport molto praticato, salvo magari frasi manieristiche di mielosa umiltà. Quanta intransigenza per gli altri e quanta indulgenza con se stessi! Bisogna tener vivo il senso del nostro peccato personale. Dobbiamo lasciarci convertire dall’azione dello Spirito Santo e riversare sugli altri quello stesso torrente di misericordia rigenerante che il Signore riversa su di noi al momento in cui il nostro Redentore, per il tramite del Sacerdote Confessore, pronuncia la formula dell’assoluzione sacramentale». 
In questi giorni festeggiamo il Santo Natale, l'Avvenimento che ha cambiato le sorti della storia e di ogni uomo. Nell'Anno della Misericordia, in particolare, cosa può significare celebrare il mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio?
«Ma il Natale è, in se stesso, Avvenimento di Misericordia!  La Misericordia è la ragione dell’azione creatrice e dell’azione salvifica di Dio. La Misericordia è il senso ultimo dell’universo. Come ricorda sant’Ambrogio, Dio ha plasmato l’uomo come capolavoro finale, come apice della creazione perché in lui ha trovato qualcuno al quale poter perdonare i peccati (cf S.Ambr., Exameron IX,76); è un Dio che dall’eternità ha deciso di donarci il suo Unico Figlio come grande sacramento della divina pietà (cf Timoteo,3,16), perché egli diventasse per noi “sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (1 Cor 1,30). Il nostro Dio è “buono e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore” (salmo 102,8). Il Natale è capolavoro di Misericordia. Di qui la gioia come tema dominante delle festività natalizie. É la gioia di essere stati raggiunti dalla verità; di essere stati raggiunti dalla grazia; di essere stati redenti e conquistati dalla “gloria dell’Unigenito del Padre”, che è venuto a noi “pieno di grazia e di verità” (cf Gv 1,14). La celebrazione del mistero dell’Incarnazione salvifica nell’Anno della Misericordia ci stimola a una sincera revisione di vita davanti alla grotta di Betlemme nel presepe per gettarci poi, con l’umiltà insegnataci dal Santo Bambino, fra le braccia del Padre delle Misericordie in una confessione rigenerante e varcare poi la Porta Santa, passare al di là di un vecchio modo di  agire e poter ricevere il dono dell’Indulgenza plenaria, ovvero anche la remissione di tutti i residui di pena da scontare come purificazione dalle scorie del peccato. Che gioia passare quella Porta, puliti come dopo il Battesimo. Sì “quoniam in aeternum misericordia eius”, perché in eterno è la sua misericordia!». 

Un nuovo inizio


Deum Laudamus perché ci regala un nuovo inizio
di Angelo Busetto

Un’amica manda un messaggino: «Dovresti consigliare alle persone di dire più spesso il Te Deum. Non basta dirlo una volta a fine anno». Nel mondo delle lamentele, è un consiglio da prendere al volo. E dunque comincio a infilare l’invito tra le persone in gran traffico - che prende le mosse assai in anticipo - per i festini di fine anno. Il Te Deum fa bella mostra di sé nel tabellone degli avvisi in Chiesa. Te Deum Laudamus, perché? Perché, con un altro anno alle spalle, ci ritroviamo ancora vivi. Un anno dopo ci ritroviamo ancora cristiani. Basterebbe questo! 
C’è tutto l’universo al nostro servizio, per farci vivere, e tutta la storia si è mossa per farci cristiani. Tutto noi riceviamo. Viviamo perché riceviamo: l’aria e l’acqua e il cibo e il vestito; la terra e il cielo e il sole e il mare; le persone che ci amano, ci servono, ci accompagnano; quelle che ci seguono, ci provocano, ci contestano, ci trascurano. Riceviamo i giornali, le notizie, l’arte, la bellezza, i progetti, i sorrisi, i pianti; il mondo, l’universo, l’umanità; le stagioni, il freddo, il caldo, la primavera. Viviamo in grazia di tutto quello che ci fa vivere e che noi non abbiamo creato, il dono delle cose e delle persone. Sostegno e bellezza per il corpo e per l’anima; compagnia per la vita e strada aperta per il compimento.
Te Deum Laudamus. Riceviamo Gesù. Gesù come i primi, e anche di più, perché lo riceviamo con ilcumulo di bellezza e di umanità nato da Lui e cresciuto nel tempo. Gli scritti e gli scrittori, i santi e le opere, le preghiere e gli oranti, i canti e i musicisti, le chiese e i costruttori, i campanili e i campanari, le liturgie e i sacerdoti, la misericordia e i misericordiosi, la confessione e i confessori, l’eucaristia e i celebranti, la carità e gli operatori di carità. Rivoli e ruscelli e torrenti e fiumi e laghi e mari di Grazia che hanno attraversato le pianure della storia per portare fino al nostro tempo, fino al nostro spazio, fino a me e a te, la Presenza che ci sostiene, ci consola, ci apre al futuro. Tante persone, uomini e donne, padri e madri, sacerdoti e suore, hanno attraversato steppe e boscaglie per portare fino a noi il Signore. Si sono imbrattati i vestiti e qualche volta forse si sono sporcata l’anima per condurre a noi il buon deposito della fede e dell’amore cristiano.
Quest’anno Gesù è arrivato a me con l’ultima consegna dei preti che sono morti tra le sue braccia, con la fedeltà delle persone che l’hanno servito, con l’amicizia dei compagni di strada nella fede, con l’indifferenza di molti, la lontananza di altri, l’inimicizia di qualcuno. Il nostro bisogno è stato accolto da Cristo in modo particolare con l'anno giubilare; l’ultimo dono è stato l’ingresso dalla Porta Santa del Giubileo, con la gioia della folla e le successive impreviste complicazioni. 
Ancora mi trovo a desiderare, ancora a ricominciare, ancora a sperare. Ancora a credere che il mondo si rinvigorisce e non si spegne, cammina e non si ferma, rinasce e non muore. Riprendo il cammino con la Chiesa intera, con la mia comunità, con il dono prezioso di amici sacerdoti e laici e di tanti fratelli. Ogni anno, ogni giorno, ogni ora, seguendo Colui che cammina avanti e ci conduce al compimento, Te Deum Laudamus.