martedì 24 febbraio 2015

I vescovi contro l’utero in affitto



di Luigi Tacchi
Il dibattito sull’utero in affitto sbarca al Parlamento Europeo, e stavolta non per predicare il totem della libertà individuale ad ogni costo, bensì per mettere in guardia da pratiche contrarie alla dignità dell’uomo e che trasformano in merce tanto il corpo della donna che il “frutto del suo seno”, il bambino.
Il merito è del Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea, composta dai Vescovi delegati delle Conferenze episcopali dei paesi membri dell’Ue), che ieri a Bruxelles, proprio nella sede di quel Parlamento Europeo che sembra aver eletto l’individualismo estremo quale unico orizzonte culturale del proprio operare, ha tenuto il Seminario “SURROGACY and HUMAN DIGNITY” per ribadire a chiare lettere che “la Maternità surrogata rappresenta una grave violazione della dignità umana e dei diritti fondamentali della donna e del bambino, configurandosi come una vera e propria tratta di esseri umani per fini riproduttivi”. Il convegno, organizzato dal Gruppo di Lavoro sulla bioetica del Comece, è stato introdotto da Miroslav Mikolasik, Presidente del Gruppo di lavoro del Partito Popolare Europeo su Bioetica e Dignità Umana, e da Padre Patrick Daly, Segretario Generale del Comece, ed è servito al lancio di una posizione ufficiale delle Conferenze Episcopali Europee, pensato come un “appello alla ragionevolezza” rivolto ai politici europei, contro pratiche palesemente in contrasto alla dignità umana. “Questa Conferenza e’ l’occasione per il Gruppo di lavoro sulla bioetica del Comece per presentare la riflessione che sta portando avanti da oltre un anno sul tema della maternità surrogata nel contesto continentale, e sottoporre questa opinione al Parlamento Europeo” ha detto Patrick Daily nell’introdurre il Convegno
Il Comece è stato creato negli anni 80 e si propone come obiettivi di: “seguire da vicino il processo politico e legislativo dell’Unione europea; tenere informata la Chiesa cattolica sullo sviluppo della politica e della legislazione comunitaria; collaborare con altri organismi ecclesiali al fine di promuovere la costruzione di una Europa di pace, solidale e aperta al mondo; promuovere la riflessione sul processo di integrazione comunitaria, basandosi sugli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa”. Il suo fine, dunque, è quello di essere un luogo di riflessione, dibattito, ma anche elaborazione di linee politico-culturali, per essere presente nel dibattito europeo, ed in particolare nei suoi risvolti legislativi, svolgendo anche una funzione simile a quella dei tanti “gruppi di pressione” presenti nelle stanze del potere europeo.
Il parere del Comece sul tema utero in affitto è stato presentato da Fr Patrick sj Verspieren, Direttore del Dipartimento di Etica Biomedica del “Centre Sèvres” – Facoltà gesuitica di Parigi, che ha spiegato come negli Stati Uniti (California), in India, Tailandia, Ucraina e Russia, le agenzie specializzate e le pratiche legali per le maternità surrogate si sono moltiplicate, con l’uso di Internet per attirare i clienti provenienti da tutto il mondo e metterli in contatto con le giovani donne indigenti pronte a portare in grembo il bambino da consegnare alla nascita agli “aspiranti genitori”, il più delle volte in cambio di ‘ricompensa’, il cui importo è spesso molto elevato in confronto con gli stipendi normalmente guadagnati nel paese delle “gestanti”. Il tutto sancito e disciplinato in appositi contratti, che oramai costituiscono una branca a se stante del “diritto commerciale” (commercio di esseri umani, similarmente alla compravendita degli schiavi in altre epoche storiche)
Come sempre in questo campo i termini tradiscono molto, e “consegnare” bambini ad “aspiranti genitori” non ha bisogno di commento
Tali pratiche, è stato sottolineato, seppur presenti da anni, hanno visto una crescita in termini di numeri e rilevanza con la diffusione del dibattito e della legittimazione, in molti Stati, del Matrimonio Omosessuale.
Nel documento del Comece presentato al Convegno si legge ancora: “La prima questione sollevata dalla maternità surrogata è quella del rapporto che tale pratica implica con il corpo della gestante. L’espressione usata nel linguaggio comune per definirla è ‘utero in affitto’. Affermazione forte, ma riduttiva, in quanto non è solo un organo, ma tutta la persona della gestante che viene messa a servizio degli altri, di solito dietro compenso. Un lavoratore fornisce al datore di lavoro, in cambio di un salario, il suo lavoro, che coinvolge il suo corpo e la sua persona, per un periodo definito dal contratto e dalla legislazione sociale, nonché per attività in cui la sua privacy è protetta. Il corpo della ‘madre surrogata’ è incomparabilmente più coinvolto in un contratto di maternità surrogata. Lei fornisce alla coppia che desidera un figlio un’attività che, a prescindere dalla rilevanza sociale, una donna di solito esercita nella sua sfera privata, in stretta collaborazione con la sua famiglia, in particolare con il suo sposo. Per l’esercizio di questa attività il suo corpo verrà interamente utilizzato per un periodo di nove mesi, e sarà soggetto a grandi cambiamenti, con i rischi associati alla gravidanza e al parto. Al fine di garantire la nascita senza problemi del bambino ed il rispetto della data di consegna alla coppia in attesa, tali gravidanze spesso finiscono con il taglio cesareo, una fonte di rischio per la gestante surrogata e per le sue eventuali gravidanze successive. Tale atto di acquisizione di potere sul corpo altrui, spesso dovuto alla potenza di denaro, pone un problema significativo, generando una strumentalizzazione della donna che è senza precedenti” .
Parole nette e coraggiose, che dimostrano e confermano quanto questo giornale sta dicendo da settimane: “i figli non si pagano e gli uteri non si affittano”, e le donne non si schiavizzano, si puo’ aggiungere leggendo il duro monito dei Vescovi Europei.
Nel convegno è stato evidenziato come Negli Stati Uniti i contratti redatti con l’aiuto delle agenzie molto spesso includono clausole restrittive estremamente precise che coprono tutta la sfera della vita della gestante, la sua dieta, le attività sportive (o mancanza di), la sua vita sessuale, controlli medici ritenuti obbligatori, con l’impegno, che va ben oltre i confini del diritto comune, di consegnare tutte le cartelle cliniche agli “aspiranti genitori ‘, che avranno il diritto di essere presenti alla nascita. La ‘madre surrogata’ si sottopone solitamente a tutte queste esigenze, perché il contatto generalmente prevede sanzioni in caso di mancata esecuzione delle varie clausole. Insomma, una palese ed aperta violazione dei diritti umani più elementari e qualcosa di estremamente simile ad un “diritto della schiavitu’” intesa come giuridica sottomissione dell’uomo ad altro uomo, “reificazione” dell’uomo (meglio della donna), come in occidente non si vedeva da secoli e come speravamo mai più di vedere
In Europa manca una normativa specifica in materia di utero in affitto (o maternità surrogata, se vogliamo inchinarci al “politically correct”), ed i singoli Stati si muovono in autonomia. Attualmente solo due Paesi hanno riconosciuto legittima questa particolare forma di tratta di esseri umani: il Regno Unito e la Grecia, altri espressamente la vietano, mentre molti ancora non hanno preso posizione. In questo contesto, dice il Comece, “dovremmo riflettere sul principio della non commercializzazione del corpo umano e delle sue parti o sul principio del divieto di lucro con il corpo umano e delle sue parti in quanto sancito dall’articolo 21 della Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina”.
Il rischio, è stato ribadito ieri al Parlamento Europeo, è che nell’assenza di una posizione chiara e comune dell’Europa siano i tribunali a generare una prassi che poi diviene legge, ad esempio permettendo il riconoscimento di bambini nati con tali pratiche da parte degli “acquirenti”.
Allora diventa fondamentale sostenere la raccolta firme, la petizione, lanciata da questo giornale, e far sentire forte la voce dei Popoli Europei ai palazzi d’Europa, sperando che tra un regolamento sulle dimensioni delle zucchine ed un altro sulle maglie delle reti da pesca, si ricordino di porre un freno allo scandalo della produzione industriale di bambini nei Paesi sottosviluppati, con donne usate da “fattrici”, a uso e consumo di ricchi ed annoiati occidentali.
24/02/2015, La Croce Quotidiano