mercoledì 25 febbraio 2015

L’EDUCAZIONE PARENTALE (HOMESCHOOLING)

Erika Di Martino, manuale per home schooling
Scuola statale addio, mio figlio studia a casa
di Costanza Signorelli
È ancora possibile oggi parlare di libertà di educazione? In una realtà dove lo Stato prepotente si è preso il monopolio dell’istruzione e la scuola paritaria rischia di essere  ridotta, suo malgrado, ad una fotocopia sbiadita e costosa della formula pubblica, c’è ancora spazio per i genitori che desiderano essere i protagonisti dell’educazione dei propri figli? Esiste una possibilità perché mamme e papà si riapproprino del “diritto e dovere di educare e istruire”, senza stare a guardare impotenti il cocktail letale che lo Stato somministra ai propri pargoli? Leggasi da ultimo, l’imminente obbligo ministeriale all’insegnamento delle teorie gender nelle scuole di ogni ordine e grado. È tutto già scritto? Ai genitori non rimane che il compito di tamponare e arginare - se va bene - i danni della mala educación scolastica? 
Non esageriamo nel denunciare la deriva del sistema scolastico pubblico, cosi come non sono retorica le nostre domande. Questi stessi interrogativi animano la mente e il cuore di molti genitori, tutti quei genitori che desiderano educare i propri figli secondo i sani principi della nostra tradizione: l’amore incondizionato per la vita, dall’inizio alla fine; il valore della famiglia, una e indivisibile; il senso del bene, del vero e del bello. Ma si scontrano con una Scuola che, sempre più, li tradisce e li ostacola. Se molti di loro, per come possono, cercano di darvi una risposta, alcuni hanno deciso di farlo in un modo davvero speciale.

È quanto sta accadendo a Staggia Senese, un paesello di poco più di tremila anime in provincia di Siena (Toscana). È qui che un gruppo di mamme e papà hanno capito che per avere una scuola libera-per-davvero, non gli rimaneva che farsela da sé. Nasce così la Scuola Hobbit, una scuola parentale che si ispira al modello di Home-schooling nato in America una trentina di anni fa. Questa esperienza, in verità, non è che l’inizio di un’onda che sta coprendo tutte le regioni d’Italia, con una serie d’iniziative destinate a moltiplicarsi assai rapidamente. Il motivo? Lo ha detto in modo molto semplice Papa Francesco: “Per favore, non lasciamoci rubare l’amore per la scuola!” .
Ne abbiamo parlato con Giulia Pieragnoli, coordinatrice della Scuola Hobbit. Giulia come nasce l’idea della Scuola Hobbit?Come gruppo di giovani genitori della nostra parrocchia, avendo ciascuno due o tre figli in età scolare, ci siamo posti la semplice domanda: dove mandiamo i nostri bambini a scuola? Desideravamo una scuola cattolica, ma soprattutto libera, cioè una scuola che ci garantisse la piena responsabilità educativa dei nostri figli. Cercando, abbiamo scoperto la realtà delle scuole parentali già presenti in tutta Italia, per esempio a Bologna la scuola parentale "Mariele Ventre". In Toscana non ne esisteva ancora una, dunque ci siamo detti: perché non iniziare noi? Abbiamo chiesto la disponibilità dei locali della parrocchia al nostro parroco don Stefano Bimbi e lui si è dimostrato molto accogliente.
Cos’è l’educazione parentale?Significa che il genitore si prende carico personalmente dell’educazione e dell’istruzione dei propri figli.
Cioè non manda i figli a scuola?Il genitore può decidere di istruirli lui stesso a casa, oppure, come accade per la Scuola Hobbit, può decidere di affidare l’istruzione dei figli a persone di sua fiducia, cioè gli insegnanti della nostra scuola.
Ma è legale non mandare i figli alle cosiddette “scuole dell’obbligo”?Non solo è legale. È un diritto sancito dalla Costituzione. L’articolo 34 della Costituzione Italiana recita: “L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”. Quindi è l’istruzione ad essere obbligatoria, non la scuola. La “scuola dell’obbligo” non esiste. Inoltre l’articolo 30 dice che “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli”. Ciò significa che l’istruzione dei figli è in primis una responsabilità dei genitori, non dello Stato. In concreto, è sufficiente inoltrare una comunicazione formale e scritta alla direzione didattica di competenza in cui il singolo dichiara di prendersi carico in prima persona dell’istruzione del figlio. A quel punto la palla passa ai genitori che decidono personalmente come procedere.
Ma perché costruire una scuola parentale? Non bastava la scuola paritaria?No, purtroppo oggi nemmeno la scuola paritaria cattolica è lasciata libera di insegnare ai bambini solo e precisamente quei principi che vogliono i genitori. 
Per esempio?Per esempio la teoria del gender entrerà a pieno regime nel sistema scolastico statale e presto diventerà insegnamento obbligatorio anche nella scuola paritaria. Il metodo è sempre lo stesso: lo Stato, per concedere la parificazione, costringe la scuola paritaria a ricalcare in tutto e per tutto la scuola statale. Come, del resto, è già accaduto in Inghilterra, dove lo Stato ha detto alle scuole paritarie: o insegnate la teoria del gender o vi ritiriamo l’autorizzazione. Bene, è realistico pensare che questo accadrà anche in Italia. Invece noi, sganciandoci completamente dal sistema dello Stato, saremo veramente liberi di insegnare ciò che riteniamo positivo e di non insegnare ciò che riconosciamo come negativo per i bambini. Noi non siamo una scuola autorizzata dallo Stato proprio perché non vogliamo alcuna autorizzazione. Quello che vogliamo, al contrario, è realizzare un ambito di piena libertà di educazione in capo a genitori e insegnanti. E’ questo il vero motivo per cui nasce la Scuola Hobbit: la libertà di educazione. Tutti a parole la invocano, ma poi di fatto non esiste. Nel nostro caso sì.
Parliamo della Scuola Hobbit. Quali sono gli elementi di novità rispetto alle scuole che conosciamo?Nella Scuola Hobbit le classi saranno massimo di dieci bambini, perché crediamo sia fondamentale che gli insegnanti seguano personalmente ogni singolo alunno. Alle elementari abbiamo recuperato il vecchio e sano modello della maestra unica, la cosiddetta maestra-mamma, affinché i bambini possano avere una figura unica e stabile di riferimento. A livello didattico, non solo svolgeremo i programmi ministeriali come tutti, ma faremo molto di più.
Il nostro obiettivo è la personalizzazione del percorso educativo: i bambini non sono tutti uguali e perciò non apprendono tutti in modo uguale. Inoltre ognuno ha le sue inclinazioni e interessi per cui è giusto dare di più a chi ne ha la possibilità. Dunque la scuola Hobbit vede la diversità di ciascun bambino come una ricchezza e intende valorizzarla invece che livellarla, come è obbligato a fare chi si trova a insegnare in classi di 25/30 alunni.
Arricchiremo i programmi ministeriali con moltissime altre attività. C’è una mostra interessante in città? Si va. Il bambino racconta del nonno che coltiva la terra, si coglie l’occasione per una lezione nell’orto. Un genitore è esperto di musica? Si assiste insieme ad un concerto e via dicendo. Con massima libertà e in un filo diretto tra genitore e insegnante. 
Come si svolge una mattinata in una scuola parentale?La Scuola Hobbit è una scuola cattolica, è per noi fondamentale iniziare la mattinata con un momento di preghiera insieme e l’ascolto di un canto sacro. Poi il tempo sarà gestito liberamente, giorno per giorno, dagli insegnanti, vale a dire: non ci sono gli schemi rigidi della campanella, il cambio d’insegnante, le materie a rotazione, l’intervallo fisso, ma sarà un tempo a misura di bambino. Se insieme ci si sta appassionando alla lettura di un racconto, non ci sarà certo la campanella e l’ingresso di una seconda maestra a interrompere l’attenzione. Sarà, per esempio, l’interesse del bambino a segnalare l’approfondimento di un dato argomento o la sua stanchezza ad indicare la necessità di una pausa, magari all’aria aperta. Il pomeriggio invece i bambini torneranno a casa dove saranno liberi di giocare, i compiti alla Scuola Hobbit si fanno la mattina. Il fatto di avere un tempo a misura di bambino, non ha nulla a che vedere con l’improvvisazione. Tutti gli insegnanti sono preparatissimi, ma soprattutto molto appassionati allo studio e all’insegnamento. 
In un ambiente così confidenziale, familiare e ristretto, non c’è il rischio che i bambini siano tenuti sotto una campana di vetro?Questo è il punto più difficile da fare comprendere alle persone che non conoscono la realtà delle scuole parentale. Cioè, c’è la convinzione che si crei un ghetto, un ambiente ovattato e autoreferenziale e che, di conseguenza, i bambini facciano più fatica a socializzare, trovandosi poi disorientati nell’impatto con la realtà. Ecco tutto questo è assolutamente un falso mito, una leggenda. Anzi, l’esperienza che raccontano i genitori delle scuole parentali è l’esatto opposto. Tutti testimoniano una maggiore capacità di socializzazione dei propri bambini rispetto ai loro coetanei. 
Perché?
Il fatto che la scuola rappresenti un contesto protetto e sicuro fa crescere l’autostima nel bambino. Lo rende più sicuro di sé. Per esempio, è difficile che nella scuola parentale si verifichino episodi di bullismo, perché i ragazzi sono seguiti personalmente anche nelle loro difficoltà e nei loro disagi. Sicché, un bambino che si sente sicuro e fa un’esperienza di relazione positiva nel piccolo, è poi portato ad aprirsi con fiducia anche in situazioni più articolate. Viceversa, il bambino che - pur in mezzo a 20 o 30 bambini - è però lasciato a se stesso ha più paura di socializzare. 
Alla Scuola Hobbit, cosa significa educare?Papa Francesco, nell’incontro con il mondo della Scuola italiana, lo scorso maggio ha detto: “Amo la scuola perché ci educa al vero, al bene e al bello. Vanno insieme tutti e tre. L’educazione non può essere neutra. O è positiva o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la persona o la deprime, persino può corromperla. La missione della scuola è di sviluppare il senso del vero, il senso del bene e il senso del bello. (…) La vera educazione ci fa amare la vita, ci apre alla pienezza della vita! E per favore... per favore, non lasciamoci rubare l’amore per la scuola!” Questo, per noi della Scuola Hobbit, significa educare.

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Una guida all'educazione parentale
di Giuseppe Brienza
L'insoddisfazione verso l'istruzione scolastica istituzionale si fa sempre più diffusa, soprattutto quando  contraddice le convinzioni educative più intime dei genitori. Il caso dell'educazione gender è esemplare. Stiamo esagerando? Non proprio, almeno stando ai genitori che, anche in Italia, stanno aderendo all'«educazione parentale» o homeschooling (scuola familiare). Tale sistema, pienamente legittimo sulla base della legge e della Costituzione italiana, sconta però ancora oggi scarsa informazione e poca considerazione da parte delle autorità pubbliche. Vediamo perché.
COS’E’ L’EDUCAZIONE PARENTALE (HOMESCHOOLING)
Prima di tutto occorre specificare cosa si intende esattamente per “educazione parentale” (l’abbiamo già fatto sulla Nuova Bussola Quotidiana con l’intervista a Matthew Allen). Come si fa praticamente homeschooling? Gestendo autonomamente, da parte dei genitori o di gruppi di genitori eventualmente assistiti da uno o più tutor, l’istruzione dei propri figli, in armonia con i propri valori etico/culturali e religiosi e con la sensibilità degli stessi bambini. Gli homeschoolers non partecipano quindi in nessun modo al sistema scolastico istituzionalizzato, né statale né parificato, come è prevalentemente strutturato in Europa continentale a partire almeno dal 1700. Gli insegnanti delle cosiddette scuole pubbliche, infatti, vedono il loro lavoro sempre più burocratizzarsi, finendo spesso col ridurlo da una vera e propria “missione” ad un semplice impiego come tutti gli altri. L’insegnamento massificato richiede infatti agli alunni una istruzione prevalentemente nozionistica e tecnica, nonché un adattamento ad automatismi nel delicato processo di apprendimento. I ragazzi omologati in classi di 25-30 persone, sono infatti allenati alla rigidità mentale, e ad aspettare sempre dagli altri cosa dire o fare, inducendo quindi la maggior parte di loro a non desiderare altro che il suono di una campanella. Per questo i genitori che fanno “educazione parentale” ricorrono ad una educazione personalizzata, domestica e comunitaria, perché riconoscono e valorizzano le molte fonti di conoscenza e competenze presenti sia nell’ambiente familiare sia in quello circostante la famiglia. Con la necessaria flessibilità queste risorse possono essere riconosciute, stimolate, integrate ed utilizzate a pieno per l'istruzione dei bambini e dei ragazzi. Senza orari e registri. 
L’HOMESCHOOLING IN ITALIA, OGGI
Il diritto all’homeschooling, oltre che dagli articoli 14 e 33 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, trae fondamento anche dall’articolo 118 della Costituzione italiana, il quale ha costituzionalizzato nel nostro ordinamento il principio della “sussidiarietà orizzontale”. Il decreto legislativo n. 76, approvato il 15 aprile 2005 dal secondo Governo Berlusconi (Ministro dell’istruzione era Letizia Moratti), ha quindi sancito definitivamente l’ingresso dell’homeschooling nel sistema scolastico italiano stabilendo, all’articolo 1, comma 4, che «I genitori, o chi ne fa le veci, che intendano provvedere privatamente o direttamente all'istruzione dei propri figli, ai fini dell'esercizio del diritto-dovere, devono dimostrare di averne la capacità tecnica o economica e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità, che provvede agli opportuni controlli».
Tramite la scuola familiare, quindi, i genitori devono:
— attestare di possedere i mezzi e le competenze necessarie allo svolgimento “in proprio” dell’istruzione obbligatoria;
— comunicare per iscritto alla Direzione didattica di appartenenza la loro decisione di ricorrere all’homeschooling;
— presentare il proprio figlio agli esami di Stato, previa formale domanda di ammissione agli stessi corredata del programma svolto, se vogliono iscrivere il figlio alla scuola pubblica l’anno successivo.
Per orientare e supportare le famiglie che scelgono l’homeschooling, esistono oggi in Italia diverse iniziative. Opera già dal 2002 una “Rete Italiana Scuola Familiare”, alla quale si è successivamente affiancata l’attività del portale “Informagiovani”, gestito da centri comunali e provinciali presenti in quasi tutte le città d’Italia, che dedicano una sezione di attività e documentazione espressamente all’educazione parentale. 

“CONTROSCUOLA”: IL LIBRO
Ai tanti libri che, in ambito anglosassone, stanno negli ultimi decenni apportando analisi sempre più documentate ed argomenti convincenti in favore della scuola familiare, si è aggiuto recentemente in Italia il primo “manuale” dell'educazione parentale. S’intitola Homeschooling. L'educazione parentale in Italia (s.i.p., Pavia 2014, pp. 160, €18.00), scritto da un’ex insegnante, Erika Di Martino, madre di quattro figli che non ha mai mandato a scuola fuori di casa. Da oltre dieci anni si occupa di educazione e homeschooling, avendo fondato il network www.educazioneparentale.org. Laureata in lingue, oltre che personalmente homeschooler, a trent’anni ha lasciato l’insegnamento per dedicarsi alla diffusione dello stile di genitorialità ad alto contatto tramite il suo lavoro di consulente personale e organizzatrice di convegni. Ha collaborato con numerose testate giornalistiche e ha partecipato a diverse trasmissioni televisive ed eventi, spiegando a milioni di persone come si possa istruire i propri figli al di fuori del sistema scolastico tradizionale.

In Homeschooling. L’educazione parentale in Italia, spiega il perché sono spesso infondati i timori di quei genitori che, di fronte ai loro figli, si trovano bloccati dalla scelta secca fra la delega in bianco alla macchina scolastica e l’isolamento totale. Il confronto fra le famiglie interessate alla scuola familiare, secondo la Di Martino, è molto importante per rendere meno minacciosa questa scelta, così come è fondamentale un rapporto di mutua solidarietà fra le famiglie che scelgono di fare scuola familiare. «Ogni bambino racchiude in sé le potenzialità di un genio e la sua curiosità va accesa e alimentata», scrive nell’Introduzione del suo libro ma, «nel Paese della Montessori, di Gianni Rodari, di Danilo Dolci e di Don Milani», la scuola “pubblica” rimane purtroppo «un ambiente inquinato che costringe le loro menti, spesso maldisposte ed estraniate, ad applicarsi a nozioni che non suscitano il minimo interesse» (op. cit. pp. 6-7).
Secondo quanto riportato dal portale “Controscuola.it”, che è un’altra iniziativa intrapresa dalla Di Martino ed altri homeschooler, i ragazzi educati “in casa” negli Stati Uniti sarebbero oggi all’incirca 2 milioni, 70 mila in Inghilterra, 60 mila in Canada, 3 mila in Francia e 2 mila in Spagna. Per quanto riguarda l’Italia non si hanno statistiche ufficiali o definitive ma, stando alle stime, le famiglie che scelgono di fare homeschooling e rifiutano la scuola istituzionalizzata sono all’incirca un migliaio. La delega in bianco alla “macchina scolastica”, quindi, è ancora molto elevata, anche se l’educazione parentale è in continua crescita. Gli insuccessi ed abbandoni scolastici dalla scuola “pubblica”, però, sono sempre in agguato e, con un lavoro associativo e degli enti pubblici, il fenomeno potrebbe crescere molto in fretta.