martedì 24 febbraio 2015

Per poter salire in cielo a vedere Elia



Elia nell’innografia quaresimale e pasquale di Efrem il Siro. 

(Manuel Nin) Il corpus innografico di sant’Efrem il Siro contiene numerose strofe con riferimenti al profeta Elia, a partire dalla sua vita e dagli eventi miracolosi che l’hanno segnata fino alla sua ascensione in cielo. Efrem presenta Elia come uomo dell’ascesi, del digiuno, della preghiera, profeta che prefigura Cristo stesso dalla sua incarnazione, e la sua ascensione in cielo. Lungo la sua vita Elia diventa il prototipo di Cristo: «Il Signore fece dell’aria come il proprio carro, e il suo corpo fu per esso come il cocchiere. Come un carro l’aria farà volare i giusti incontro al suo Signore. Discese un carro su Elia: si librava scendendo senza cocchiere. Cavalli di fuoco vi erano aggiogati, che erano a se stessi anche cocchieri. E anche di quel carro dei cherubini il cocchiere è il silenzio invisibile».
Efrem collega il carro di Elia col carro dei cherubini della visione di Ezechiele, fino all’ascensione «silente» di Cristo in cielo. Con un’esegesi chiaramente cristologica, l’ascensione di Elia è vista da Efrem in rapporto all’incarnazione e ascensione di Cristo: «Elia fendette l’aria con il suo carro. I vigilanti gli si affrettarono incontro vedendo per la prima volta un corpo nelle loro dimore. E come il terrestre [Elia] salì con un carro, vestito di splendore, così il Signore discese con bontà, vestendo un corpo. Cavalcò le nubi e salì, avendo preso a regnare in alto e in basso».
Elia inoltre è presentato da Efrem come modello di vita verginale. La sua verginità diventa la chiave di tutta la sua vita come profeta e taumaturgo, e anche la porta del suo ingresso in paradiso: «Poiché Elia aveva represso le passioni del corpo, poté togliere la pioggia agli adulteri. Poiché non lo dominava il fuoco segreto della passione corporale, gli obbedì il fuoco dall’alto. E poiché aveva vinto sulla terra la passione carnale, se ne salì là dove dimora in pace la santità».
La tradizione monastica siriaca posteriore a Efrem, si servirà della figura di Elia come modello di verginità, di monaci e monache. In uno degli inni sulla città Nisibi, Efrem fa la lode dei diversi vescovi da lui conosciuti e, cantando la figura del vescovo Abramo, presenta Elia ed Eliseo che diventano modelli per il vescovo stesso: «La tua castità, come quella di Eliseo; la tua verginità, quella di Elia; fedele al patto come Giobbe; compassionevole come Davide; la tua dolcezza, quella degli apostoli».
La verginità di Elia lo porta corpo e anima in paradiso. Ancora in due strofe degli inni su Nisibi, troviamo riassunta tutta la sua antropologia: «L’ascensione di Elia istruisce i credenti: tutti e due, corpo e anima, sono saliti sul carro, verso la dimora di lassù. Elia non si è spogliato dal corpo gettandolo da qualche parte. È salito in alto anche col corpo che era stato santificato. Il mantello di Elia, invece, da cui si è separato ci mostra che era qualcosa di provvisorio. Rapito col corpo ci fa vedere che questa è la vera veste che accompagnerà coloro che ne sono rivestiti. Il mantello si stacca e cade, il corpo vola e si innalza».
L’antropologia di Efrem in questi versetti presenta il corpo del profeta e dei battezzati come una realtà salvata e redenta da Cristo nella sua incarnazione. Elia inoltre precede Cristo nel suo innalzarsi in paradiso, ma sempre come suo modello (týpos) e figura: «Lode a te, che sei il primo, nella tua divinità e nella tua umanità! Benché Elia salì per primo, non era prima di colui da cui fu innalzato». Per Efrem il profeta Elia è la figura veterotestamentaria che più chiaramente è modello di Cristo nella sua risurrezione e ascensione al cielo; la sua stessa vita è presentata come una ricerca e un desiderio della visione del Figlio di Dio; la sua ascesa in cielo è un incontro col Signore: «Lui Elia bramava, e poiché non vide il Figlio sulla terra, credette e continuò a purificarsi per poter salire a vederlo in cielo. Essi rappresentarono il simbolo della sua venuta. Mosè fu tipo dei morti ed Elia tipo dei vivi, che voleranno incontro a lui nella sua venuta».
E sempre prendendo Elia come tipo e modello, Efrem accosta il paradiso alla Chiesa dei redenti: «Elia è stato portato a questo giardino della vita e i perfetti hanno bisogno di questo giardino, dove si trova l’albero della vita, simbolo del Figlio di Do vivente. Elia doveva entrare in paradiso, lui che a misura che cresceva, si faceva umile».
Il miracolo di Elia con la farina e l’olio della vedova diventa figura della misericordia del Signore verso la sua Chiesa: «L’olio che aveva moltiplicato Elia era nutrimento per la bocca; il corno della vedova, infatti, non era quello dell’unzione. L’olio del nostro Signore nel corno non è cibo per la bocca: del peccatore, esternamente lupo, fa un agnello del gregge. L’olio del mite e dell’umile trasforma i duri, facendoli simili al suo Signore. I popoli erano lupi e temevano il duro bastone di Mosè. Ecco, l’olio segna e fa dei lupi un regge di pecore».
I riferimenti efremiani all’olio in questa e in altre strofe vanno visti chiaramente in un contesto battesimale. L’acqua e l’olio mescolati nel battesimo diventano per Efrem sacramento della misericordia di Dio: «La veemenza di Dio, che non potevano sostenere né Mosè né Elia né i cherubini che si nascondono il volto, l’ha mitigata la misericordia, mescolandosi con acqua e olio, affinché la debole umanità potesse stare di fronte a lui, avvoltasi con acqua e olio».
L’esegesi in chiave simbolica e cristologica che Efrem fa dei testi profetici veterotestamentari è ben palese in diversi passi degli inni sulla Pasqua del poeta siriaco: «La pietra che Daniele aveva visto riempì di sé tutta la terra. La nube che Elia aveva visto si allargò e divenne modello del Vangelo che si dispiegò e si distese su tutti i popoli. Cosparse i suoi flutti copiosi e gocce capaci di placare la sete dei popoli. Benedetto colui che è servito in ogni luogo!».
L'Osservatore Romano