mercoledì 25 febbraio 2015

Ritorna sui tuoi passi


Esercizi spirituali della Curia romana. 

Che fai qui? Cosa cerchi? Ti lasci sorprendere da Dio? E ancora: vuoi capire dove vuoi andare? Allora «ritorna sui tuoi passi». Si è aperta all’insegna di domande e inviti rivolti dritti al cuore dei presenti la quarta giornata degli esercizi spirituali quaresimali per il Papa e la Curia romana, in corso nella casa Divin Maestro dei religiosi paolini ad Ariccia. Il carmelitano Bruno Secondin ha disseminato queste sollecitazioni nella prima meditazione di mercoledì 25 febbraio che, dopo le riflessioni dedicate a recuperare la propria verità interiore e la libertà di adesione alla proposta di Dio, ha aperto al cammino verso quella proposta.
La contrastata vicenda del profeta Elia che si batte con zelo e sacro furore, ma con un egocentrismo esasperato, per difendere l’alleanza tra il Signore e il suo popolo, e che si ritrova esausto, sconfitto e impaurito in una caverna del monte Oreb, ha continuato a offrire gli spunti per le riflessioni del predicatore.
Nella meditazione pomeridiana di martedì 24, il religioso aveva completato la proposta di “scandaglio della coscienza” analizzando proprio la tragica situazione di Elia che, come narrato nel capitolo 19 del primo libro dei Re, si ritrova in uno stato di «depressione mortale», impaurito, in fuga, solo, sfinito, deluso dal proprio fallimento.
Uno stato di depressione che, ha detto padre Secondin, «non è così raro, anche nella vita sacerdotale. Tanti crollano, anche tra i preti». Occorre quindi fare attenzione a certi segnali che potrebbero sfociare in enormi difficoltà interiori. Innanzitutto la «paura». Emerge quando abbiamo timore dell’avvenire, di assumerci delle responsabilità. E si può accompagnare alla «solitudine», al sentirsi esclusi e diversi, al senso di «vuoto» dato da una vita inaridita, delusa dagli insuccessi, al «crollo psicofisico» e all’«autoaccusa» (lo stesso Elia dice: «non sono migliore dei miei padri»). Tutto ciò può sfociare nella «fuga» — che può essere fisica o nell’immaginario — o nella ripetizione ossessiva di certi gesti (come il consumo di alcol e cibo o le evasioni nel mondo virtuale), o addirittura nel «desiderio di morte».
Per evitare tutto questo è importante condurre una vita nella quale «il rapporto tra lavoro, riposo, preghiera e relazioni sociali» sia «ben equilibrato».
Riconoscere il prima possibile certe dinamiche interiori, certi «segnali di stress», è fondamentale per poter trovare quella soluzione che viene prospettata nel racconto biblico attraverso l’intervento dell’angelo che conforta Elia e lo invita a dirigersi verso l’Oreb. «Elia — ha spiegato il carmelitano — precipitato negli inferi, conosce la trasformazione della fuga impaurita che diventa pellegrinaggio». E noi, si è chiesto, nella difficoltà «sappiamo riconoscere intorno a noi la mano dell’angelo?». Come il pane fu di sostegno a Elia, «riconosciamo nell’Eucaristia il viatico che ci accompagna?». Come il viaggio riportò Elia alle radici dell’alleanza, sappiamo anche noi «tornare alle radici» della nostra fede?
Una volta che si è fatta verità nel proprio intimo e ci si è predisposti all’ascolto, può giungere il confronto con Dio. E la «manifestazione misteriosa» di cui fa esperienza Elia sull’Oreb, quel «sussurro di una brezza leggera» sul quale tanti esegeti si sono arrovellati, può suggerire molto alla meditazione personale.
Padre Secondin, nella meditazione mattutina di mercoledì, ha ripercorso nel dettaglio il dialogo fra Dio ed Elia. Il profeta è caratterizzato da un «io ipertrofico» che lo porta a considerarsi «l’ombelico del mondo»; in quest’ottica, «la sua sconfitta potrebbe sembrare la sconfitta di Dio». Il Signore «lo lascia sproloquiare nel suo soliloquio ipertrofico», vuole che Elia «si lasci decomporre» e operi una «catarsi profonda». Lo spiazza con la domanda: «Che cosa fai qui?». Dio «si presenta con una domanda» e costringe l’uomo «a guardarsi dentro, a dare voce alle inquietudini che porta».
A volte, ha ammonito il predicatore, anche per noi Dio diventa una sorta di «soprammobile»; e rischiamo di «manipolarlo» con la stessa furia che sembra pervadere il profeta. Ma «Dio è libero davanti ai potenti e anche davanti alla furia di Elia»: il fallimento di Elia non turba Dio, che ha già un suo disegno e ha un popolo che gli è comunque rimasto fedele.
Elia è scosso interiormente. Il vento impetuoso, il terremoto, il fuoco in cui il profeta non trova Dio potrebbero essere — ha ipotizzato padre Secondin — anche «proiezioni di stati interiori» di una persona alla quale il mondo intero è caduto addosso.
Da questa lectio, ha spiegato il predicatore, devono scaturire delle domande personali: «Abbiamo anche noi delle Gezabele che ci rovinano la vita? Siamo ossessionati da problemi con alcune persone, o di lavoro, di carriera?». Come ci rapportiamo con Dio? Sappiamo «stare in adorazione timorosa di Dio che passa?». Giacché il Signore è intimità, «abbiamo abitudine a stare con lui in intimità?». O ci sono voci assordanti («successo, vanità, soldi, colpe degli altri») che ci distraggono? Infine — ricordando i settemila israeliti che rimasero fedeli al Signore — ci rendiamo conto che questi possono rappresentare «la fedeltà silenziosa del popolo»? E chi medita deve anche chiedersi: sono capace di comprendere e intercettare questa fedeltà, sono capace di ascoltare «gli ultrasuoni dei poveri, dei semplici, dei piccoli», che sono «doni preziosi e non frammenti perduti»?
Le risposte possono trovare un appoggio in quella che è la reazione di Dio nel racconto biblico. Elia voleva finire lì, morire sull’Oreb, dove era iniziata l’alleanza; invece Dio «lo rimanda a una nuova stagione». Anche noi siamo chiamati a «cogliere segni di futuro» nelle nostre radici, a «ritrovare freschezza», a metterci in cammino. E se, come Elia, «siamo delusi, stanchi, ci crediamo i migliori di tutti e pensiamo che il mondo sia abitato solo da diavoli scatenati», lasciamoci «sorprendere da Dio» e iniziamo un nuovo cammino.
Ecco allora l’invito con il quale il predicatore ha concluso la meditazione: «Ritorna sui tuoi passi!». Un invito che padre Secondin ha arricchito di una serie di suggerimenti concreti, invitando a condividere i propri beni materiali con i più poveri, ad «aprire gli armadi pieni di paludamenti inutili» e a buttarli via, ad aprire le braccia per «fare pace sincera con chi non si riesce a sopportare», ad aprire gli orizzonti «alla verità polifonica, alla bellezza delle culture e alla ricchezza delle tradizioni» per ammirare quanto Dio ha fatto di bello.
Ha infine esortato il carmelitano: «Muovi i tuoi passi nelle periferie, vai a celebrare nelle baracche, vai a pranzo con chi ha poco da mangiare. Capirai dove Dio ti aspetta».
L'Osservatore Romano