giovedì 26 marzo 2015

Parola d’ordine profezia



A cinquant’anni da «Perfectae caritatis». 

(Ugo Sartorio) Ci stiamo decisamente inoltrando nell’Anno della vita consacrata, anche sospinti dagli incoraggiamenti non formali di Papa Francesco. La parola d’ordine è “profezia” e il cammino non dissimile da quello della Chiesa tutta: abbandonare ogni inclinazione autoreferenziale per ritrovare la chiara via del Vangelo. In tale contesto fioriscono interventi e studi che cercano di interpretare il tempo delicato e per molti versi difficile che la vita consacrata sta attraversando da almeno un paio di decenni.Sfiorita la stagione del “rinnovamento” postconciliare, pure vissuta con grande generosità, e tramontata la pretenziosa parentesi tutta centrata sulla “rifondazione”, i consacrati fanno i conti con la scarsità cronica di vocazioni, con grandi opere che hanno ormai esaurito il loro prezioso servizio, con l’inevitabile invecchiamento dei quadri. 
Non mancano, d’altra parte, segni positivi, quali la cura della forma fraterna delle comunità religiose, il nuovo slancio missionario che conduce a esplorazioni evangeliche verso le periferie e le frontiere, anche se si avverte sempre più la necessità di lavorare alle radici, intorno al senso della propria identità e al modo con cui questa si apre alla missione. 
In tale direzione, offre il suo apporto il volume di monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace che rilegge il documento conciliare Perfectae caritatis a distanza di cinquant’anni e lo fa in modo prospettico, raccogliendo cioè dei cinque decenni successivi gli sviluppi magisteriali e teologici, senza perdere di vista il concomitante quadro ecclesiale e sociale (Perfectae caritatis, cinquant’anni dopo. Né estranei agli uomini né inutili alla città, Catanzaro, Grafiche Simone, 2015, pagine 253, euro 10). Un’idea ritorna spesso, vale a dire quella di una consultazione ad ampio raggio finalizzata alla riforma della vita consacrata: «A mio modesto avviso, la necessità di una riflessione teologica (di ambito ecclesiologico, antropologico, spirituale ma anche economico-amministrativo-gestionale e pastorale) più ampia e profonda e a livello internazionale, plurispecialistico e pluridisciplinare sull’identità della vita consacrata a cinquant’anni dal concilio si fa sempre più urgente» (p. 56). 
L’autore non lo dice, ma forse ha in mente qualcosa che assomigli alla mobilitazione avvenuta intorno al sinodo sulla famiglia che ha di fatto esaltato l’istanza partecipativa. Personalmente, estenderei questo stile sinodale alla riscrittura in atto del famoso documento Mutuae relationes del 1978: è prima necessario che le parti in causa — non solo vescovi e consacrati, ma anche laici — abbiano la possibilità di esprimersi liberamente e di confrontarsi evangelicamente. 
Guardiamo ora più da vicino al testo, ricco e articolato, di monsignor Bertolone, che insiste molto su un’ermeneutica del concilio nella linea della continuità, anche per quanto riguarda la vita consacrata. La coppia di termini “fedeltà-rinnovamento” sembra la più adatta a indicare la direzione di un cammino che, muovendo dalla lettura dei “segni dei tempi”, conduca la Chiesa e la vita consacrata dentro il presente e verso il futuro. Mettendo a frutto i molti interventi che negli ultimi cinquant’anni si sono succeduti, a partire dallo stesso decreto conciliare: pur non essendo tra i documenti più audaci, Perfectae caritatis è l’unico che di fatto parla di accomodata renovatio, cioè di rinnovamento. Come? «Il rinnovamento della vita religiosa comporta allo stesso tempo il continuo ritorno alle fonti di ogni vita cristiana e all’ispirazione originaria degli istituti, e il loro adattamento alle mutate condizioni dei tempi» (n. 2). Il che significa né archeologismo né contemporaneità a tutti i costi, quanto piuttosto conversione al presente senza perdere contatto con lo spirito delle origini, rinnovamento coniugato e misurato sulla fedeltà, con la necessità — quando se ne manifesti il bisogno — di abbandonare alcune cose, riequilibrarne altre, intraprenderne di nuove. Nell’acuta postfazione, il cappuccino Paolo Martinelli, vescovo ausiliare di Milano, distingue tra «ritorno agli inizi e recupero dell’origine», leggendo nel richiamo agli inizi un’immagine fondamentalmente utopica e nel recupero dell’origine la ricerca continua di un fondamento per l’oggi: «Il nostro accesso agli inizi è sempre attraverso il presente, la vita presente» (p. 227).
Interessanti sono anche le questioni che Bertolone invita a riprendere in mano dopo la maturazione dottrinale — non sempre pienamente recepita — avvenuta soprattutto con l’esortazione post-sinodale Vita consecrata. Qui, pur rimanendo fondamentale lo sfondo ecclesiologico che rende nitida la lettura della vita consacrata e ne determina il ruolo insostituibile nella Chiesa, si valorizza il suo centrale e fondativo riferimento cristologico: «La professione dei consigli evangelici è intimamente connessa col mistero di Cristo, avendo il compito di rendere in qualche modo presente la forma di vita che Egli prescelse, additandola come valore assoluto ed escatologico. Gesù stesso, chiamando alcune persone ad abbandonare tutto per seguirlo, ha inaugurato questo genere di vita» (Vita consecrata, 29). 
Dopo trent’anni impegnati a ricollocare la vita consacrata all’interno della Chiesa, si individua il punto decisivo della questione nel suo profilo cristologico, e muovendo da qui la si qualifica come uno dei tre stati di vita che della Chiesa costituiscono la linfa vitale. Non più l’angusto binomio chierici-laici, bensì la più dinamica e fondata tripartizione chierici-laici-consacrati. Allo stesso tempo, Bertolone rivisita la questione dello stretto e inscindibile legame tra battesimo e professione dei consigli evangelici. Molte strade interpretative, anche autorevoli, sono state percorse in proposito, e forse oggi è giunto il tempo di ridire il carattere peculiare della vita consacrata senza nulla sottrarre alla pienezza della vocazione battesimale di ogni cristiano così perentoriamente richiamata dal Vaticano II. Un’operazione che spinge a riconoscere il “di più” di ogni stato di vita rispetto agli altri e quindi la relatività di tutti in rapporto alla pienezza del mistero di Cristo. 
Le pagine, poi, dedicate a commentare i paragrafi di Vita consecrata sulla profezia, allineano il testo ai vibranti interventi di Papa Francesco sulla vita consacrata: non la radicalità ma la profezia è il suo specifico. Il lessico e la pratica della profezia, della fedeltà alla storia e al Vangelo che la salva, è la via sicura che collega il presente della vita consacrata al suo futuro.
L'Osservatore Romano