venerdì 27 marzo 2015

Sentinelle, ma anche tutti gli altri. In silenzio, ma anche gridando. In piedi, ma anche seduti. In piazza, ma anche da ogni altra parte...

Sentinelle In Piedi


In piedi diciamo no a un testo che vuole distruggere il matrimonio, unica cellula su cui si possa fondare la società
In piazza diciamo sì alla famiglia, alla libertà d’espressione e all’unicità di ogni uomo e ogni donna



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Il senatore Lo Giudice ha comprato un bambino negli Usa con l'utero in affitto. Non può dichiararlo figlio suo in Italia senza il ddl Cirinnà. Con il ddl Cirinnà potrà. Quindi c'è poco da discutere: il ddl Cirinnà legittima l'utero in affitto, che è compravendita di bambini e sfruttamento del corpo della donna. La Croce - Quotidiano chiama dunque quella legge per ciò che è: legge vergogna. Oggi è l'unico giornale che apre su questo tema e voi, cari amici del senatore Lo Giudice, cari sostenitori di Arcigay, cari compagni "de sinistra" che arrossite a chiamare le cose con il loro nome e le coprite con l'inglese ("stepchild adoption"), potrete continuare a manganellarci, ma noi insisteremo. Tranquilli, avete tutti con voi, pure Bruno Vespa ormai. Tutti ma noi no. Noi ripetiamo: le persone non sono cose, i figli non si pagano. Alla fine vinceremo noi.
Mario Adinolfi

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Pubblichiamo il comunicato delle Sentinelle in piedi
In piedi diciamo no a un testo che vuole distruggere il matrimonio naturale, unica cellula su cui si possa fondare la società
In piazza diciamo sì alla famiglia, alla libertà d’espressione e all’unicità di ogni uomo e ogni donna
Ci troviamo oggi di fronte ad una sfida epocale. Il Potere Unico attraverso la politica, ci presenta come traguardi straordinari per la civiltà proprio quelle leggi che mirano a distruggere la cellula primaria della nostra società, la famiglia. Attraverso il sistema mediatico stiamo assistendo a una mistificazione dell’identità umana, ridotta a un istinto, ad una pulsione sessuale. Tutto ciò avviene attraverso la manipolazione sistematica del linguaggio che ci bombarda senza tregua attraverso i mass media e grazie alla complicità colpevole di chi ha gli occhi chiusi e la coscienza spenta, di chi pensa che opporsi sia inutile o di chi, per quieto vivere, sceglie di allinearsi al pensiero dominante.
È quello che sta accadendo con il ddl sulle cosiddette “Unioni civili”, termine costruito per dare l’illusione che ci troviamo di fronte ad un istituto giuridico del tutto nuovo, con cui finalmente si daranno diritti a persone che non li hanno e legittimità a un sentimento negato. Non è così. I diritti che spettano a ogni persona li hanno già tutti i cittadini, mentre questo testo equipara le unioni tra persone dello stesso sesso al matrimonio. Ma il matrimonio non è un istituto giuridico fondato sul sentimento, ma solo e soltanto l’unione stabile e fedele di un uomo e una donna, l’unica capace di generare la vita. L’unica fondata sulla responsabilità dei coniugi di crescere i propri figli come cittadini che solo qui imparano l’accoglienza della diversità e la complementarietà. Motivo per cui solo a un uomo e una donna che si assumano tali responsabilità lo Stato riconosce diritti specifici. In questo senso il testo in questione inganna non solo la società intera, ma anche le persone che dichiara di voler tutelare. Non solo: attraverso l’istituto della stepchild adotionquesto testo apre alle adozioni e quindi all’abominevole pratica dell’utero in affitto, che attraverso la fecondazione artificiale eterologa “produce” bambini sfruttando l’utero di donne poverissime per soddisfare le fantasie di due adulti qualsiasi che vogliono diventare genitori a tutti i costi. Fantasia che diventa diritto a danno dei più piccoli, incapaci di esprimersi.
Di fronte a questo le Sentinelle in Piedi instancabilmente resistono. Da oltre un anno e mezzo, da quando il Ddl Scalfarotto ha iniziato il suo iter in Parlamento, e mentre l’ideologia gender penetra nelle scuole mascherata da corsi contro la discriminazione, ogni fine settimana, uomini e donne di diversa cultura, estrazione sociale, religione, nazionalità e storia occupano un piccolo spazio pubblico, ciascuno il proprio, come in una rete, con il proprio corpo, il proprio volto, il proprio nome. Stiamo in piedi, perché ci rifiutiamo di piegarci alla menzogna del pensiero dominante, stiamo in silenzio perché solo nel silenzio, e nel tempo di un’ora si può riflettere e scoprire che dipendiamo e non possiamo autodeterminarci senza tradire la nostra natura.
Per ognuna delle 222 veglie dell’ultimo anno e mezzo migliaia di persone hanno vigilato, vigilano e vigileranno nella vita: a scuola, al lavoro, nei tribunali, nelle sedi politiche e in ogni luogo, denunciamo ogni tentativo di distruggere l’identità dell’uomo e resistiamo con ogni strumento possibile.
·       Sabato 28 marzo 2015: Brescia, piazza Duomo ore 16.30
·       Sabato 28 marzo 2015: Trieste, piazza Unità ore 17.00
·       Domenica 29 marzo 2015: Vicenza, piazza Matteotti ore 16.30
·       Sabato 11 aprile 2015: La Spezia, piazza Garibaldi ore 18.00
·       Domenica 12 aprile 2015: Milano (piazza e orario in definizione)
·       Sabato 18 aprile 2015: Crema, piazza Duomo ore 21.00
·       Domenica 19 aprile 2015: Salò, lungolago incrocio piazza V. Emanuele ore 16.30
La nostra è una resistenza spontanea, cresciuta per contagio, costruita con l’amicizia, basata sull’amore comune per l’uomo e sulla necessità di essere liberi di dire che esiste una verità iscritta nel cuore di ciascuno di noi. Il nostro no alle crescenti leggi anti umane, all’ideologia gender nelle scuole, alle sentenze dei tribunali che rendono i bambini degli oggetti, si impone con la forza di questa testimonianza.
Siamo in piazza per il bene anche di chi ha la coscienza addormentata, di chi ci contesta perché vittima cosciente o incosciente dell’ideologia. Vegliamo perché sia tutelata l’essenza dell’uomo, vegliamo per la ragione, vegliamo in silenzio perché emerga la voce della verità presente nel cuore di ciascuno, anche nel tuo.
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Se è anti gender questo Papa non piace


I casi curiosi in cui il vaticanista collettivo diventa molto distratto

Come è ormai tradizione, anche stavolta le dichiarazioni di Papa Francesco sulla teoria del gender che è “uno sbaglio della mente umana che fa tanta confusione” (lo ha detto a Napoli, sabato scorso, durante l’incontro con i giovani)  sono state omesse – con pochissime eccezioni, le solite – nelle altrimenti zelanti cronache del vaticanista collettivo, preoccupato di  non turbare l’idea di un Pontefice “aperturista” rispetto alle istanze della postmodernità, anche quando il Pontefice medesimo dimostra e dichiara di non esserlo affatto, come nel non irrilevante caso in questione. Anche per questo, e cioè per dare a Francesco quel che è di Francesco, vale la pena ricordare che il 20 marzo si è tenuta all’Onu, al Palazzo di vetro di New York, un’importante iniziativa pubblica contro l’utero in affitto e la compravendita di ovociti, promossa dall’osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, l’arcivescovo Bernardito Auza.

Nel corso di una tavola rotonda, la giornalista e regista americana Jennifer Lahl, autrice del famoso documentario di denuncia “Eggsploitation”, ha raccontato l’attuale èra di “fabbricazione” dei bambini attraverso l’assemblaggio di gameti e l’uso di madri surrogate. Nella settimana segnata dalle polemiche sulle dichiarazioni di Dolce e Gabbana, colpevoli di aver detto che esiste un limite al desiderio, che riguarda i diritti e la dignità delle donne e dei nati, l’incontro all’Onu ha denunciato l’opera di sistematica menzogna attorno ai temi del “nuovo modo di procreare”. La cosiddetta “donazione” di ovociti, per esempio, è un attentato violento alla salute delle giovani donne, alcune delle quali rimangono per sempre sterili quando qualcosa va storto (caso non raro, come ha raccontato Jennifer Lahl). Ancora più macroscopico, il caso delle “madri surrogate”, considerate di fatto “una sottoclasse di donne”. Il nunzio apostolico all’Onu ha sottolineato a sua volta che i figli vanno concepiti “in piena consonanza con la dignità umana della donna, dell’uomo e del bambino”, mentre tecniche ormai banalizzate non garantiscono affatto il rispetto di quella dignità. 
Il Foglio