martedì 28 aprile 2015

Francesco: senza lo Spirito non capiamo la verità.





Il  tweet di Papa Francesco: "Ogni comunità cristiana dev’essere una casa accogliente per chi cerca Dio, come pure per chi cerca un fratello che lo ascolti." (28 aprile 2015)

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Messa a Santa Marta. Aperti alle sorprese
Chiedere al Signore «la grazia di non avere paura quando lo Spirito, con sicurezza, mi dice di fare un passo avanti». E domandare il «coraggio apostolico di portare vita e non fare della nostra vita cristiana un museo di ricordi». È questa la duplice raccomandazione con cui Papa Francesco ha concluso, nella mattina di martedì 28 aprile, l’omelia della messa nella cappella di Casa Santa Marta.
Commentando le letture del giorno, il Pontefice si è soffermato in particolare sulla prima, tratta dagli Atti degli apostoli (11, 19-26), nella quale — ha ricordato — si narra che «dopo i primi tempi di gioia, dopo l’effusione dello Spirito Santo, c’erano nella Chiesa momenti belli, ma anche tanti problemi».
Uno di questi era rappresentato dal fatto che alcuni predicassero «il Vangelo ai greci, ai pagani, a quelli che non erano israeliti». Infatti, ha spiegato Francesco, «questo era tanto strano, sembrava una nuova dottrina». Del resto, ha fatto notare, già c’era «stato l’episodio di Pietro alla casa di Cornelio» che aveva suscitato indignazione: «Ma tu sei andato lì, sei entrato in una casa pagana! Sei diventato impuro», lo avevano redarguito.
Ora accadeva una cosa simile: «dopo la persecuzione, dopo il martirio di Stefano» i discepoli si erano dispersi e a Gerusalemme erano rimasti soltanto gli apostoli. Alcuni di quei discepoli erano «arrivati ad Antiochia e predicavano nelle sinagoghe, agli ebrei». Ma «altri, giunti da Cipro e da Cirene, cominciarono a parlare anche ai greci, annunciando che Gesù è il Signore: “E la mano del Signore era con loro e così un grande numero credette e si convertì”».
Così, quando «questa notizia “giunse alle orecchie della Chiesa di Gerusalemme”, creò inquietudine». Al punto che gli apostoli «inviarono una specie di “visita canonica”, dicendo a Barnaba: “Vai, fai una visita lì e poi vedremo il da farsi». Però «quando Barnaba giunse e vide quella grazia di Dio, rimase felice e riportò tranquillità e pace alla Chiesa di Gerusalemme». Insomma per il Papa l’episodio narrato negli Atti parla ancora una volta di “novità”, che irrompono «in quella mentalità» secondo la quale Gesù era venuto soltanto «per salvare il suo popolo, il popolo scelto dal Padre». Una mentalità incapace ancora di percepire «come altri popoli facessero parte» del piano di salvezza divino.
«Ma — ha avvertito il Pontefice, citando il capitolo 60 del libro di Isaia — nelle profezie c’era». Però loro «non capivano. Non capivano che Dio è il Dio delle novità: “Io faccio tutto nuovo”, ci dice»; non comprendevano «che lo Spirito Santo è venuto proprio per questo, per rinnovarci e continuamente opera per rinnovarci». Anzi, ha constatato, «questo mette timore. Nella storia della Chiesa possiamo vedere da allora fino a oggi quante paure abbiano suscitato le sorprese dello Spirito Santo. È il Dio delle sorprese». E a chi volesse obiettare: «Ma, padre, ci sono novità e novità! Alcune novità, si vede che sono di Dio, altre no», Francesco ha risposto con le parole di Pietro ai fratelli di Gerusalemme, allorché viene rimproverato per essere entrato nella casa di Cornelio: «Quando io ho visto che era dato loro ciò che noi abbiamo ricevuto, chi ero io per negare il battesimo?».
È la stessa idea presente nel brano della liturgia del giorno su Barnaba, definito «uomo virtuoso» e «pieno di Spirito Santo». Con la sottolineatura che «in tutti e due c’è lo Spirito Santo, che fa vedere la verità». Cosa che invece «da soli» non possiamo fare. «Con la nostra intelligenza non possiamo», ha ribadito il Papa, spiegando: «Possiamo studiare tutta la storia della salvezza, possiamo studiare tutta la teologia, ma senza lo Spirito non possiamo capire. È proprio lo Spirito che ci fa capire la verità o — usando le parole di Gesù — è lo Spirito che ci fa conoscere la voce di Gesù: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco e loro mi seguono”».
In definitiva per Francesco «l’andare avanti della Chiesa è opera dello Spirito Santo. È lui che opera». Lo stesso «Gesù ha detto agli apostoli: “Io vi invierò il dono del Padre e lui vi farà ricordare e vi insegnerà”». Come? Richiamando quello che Gesù ha detto e riferendosi alle profezie: «Per questo, nei primi discorsi, anche in quello di Stefano, c’è una rilettura — ha chiarito il Pontefice — di tutte le profezie. È opera dello Spirito Santo, che fa ricordare la storia in chiave di Gesù risorto: “e lui vi insegnerà la strada”».
In proposito il Papa ha anche suggerito «come fare» per essere sicuri che la voce che sentiamo è quella di Gesù e che quanto sentiamo di dover fare è opera dello Spirito Santo. Bisogna, ha ribadito «pregare. Senza preghiera, non c’è spazio per lo Spirito»; occorre «chiedere a Dio che ci mandi questo dono: “Signore, dacci lo Spirito Santo perché possiamo discernere in ogni tempo cosa dobbiamo fare”». Facendo bene attenzione al fatto che ciò «non significa ripetere sempre la stessa cosa. Il messaggio è lo stesso: ma la Chiesa va avanti, la Chiesa va avanti con queste sorprese, con queste novità dello Spirito Santo».
Dunque «bisogna discernerle e per discernerle bisogna pregare, chiedere questa grazia». Come hanno fatto Barnaba, che «era pieno dello Spirito Santo e ha capito subito», e Pietro, che «ha visto e disse: “Ma chi sono io per negare qui il battesimo?”». Infatti, lo Spirito Santo «non ci fa sbagliare».
Anche in questo caso il Papa si è detto consapevole delle obiezioni che potrebbero essere mosse al suo ragionamento: «Ma, padre, perché crearsi tanti problemi? Facciamo le cose come le abbiamo sempre fatte, così siamo più sicuri». E la risposta è stata che questa ipotesi potrebbe essere «un’alternativa», ma sarebbe «un’alternativa sterile; un’alternativa di “morte”». Mentre è molto meglio, ha concluso, «rischiare, con la preghiera, con l’umiltà, di accettare quello che lo Spirito ci chiede di cambiare secondo il tempo in cui viviamo: questa è la strada».
L'Osservatore Romano