lunedì 25 maggio 2015

Incantati dal serpente

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Messa a Santa Marta. 

Illusione di felicità e di potenza, mancanza di orizzonti e di speranza. Il difficile rapporto dell’uomo con la ricchezza è stato al centro della riflessione di Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta lunedì 25 maggio.
La liturgia del giorno proponeva il brano evangelico di Marco (10, 17-27) che racconta del giovane ricco, un episodio che — ha detto il Pontefice — si potrebbe intitolare: «Il percorso dalla gioia e dalla speranza alla tristezza e alla chiusura di se stesso». Quel ragazzo, infatti, «voleva seguire Gesù e lo vide e gli corse incontro, entusiasmato, per fargli la domanda: “Cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”». Al che, dopo l’invito a seguire i comandamenti, il Signore lo esorta: «Una cosa sola ti manca: vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo». E il ragazzo, «si fece scuro in volto e se ne andò rattristato. Possedeva infatti molti beni».
Dall’entusiasmo alla tristezza: «Voleva andare con Gesù e se ne andato per un’altra strada». Il motivo? «Era attaccato ai suoi beni. Aveva tanti beni. E nel bilancio hanno vinto i beni».
Francesco ha sottolineato l’atteggiamento netto di Gesù di fronte a tale reazione: «Disse ai suoi discepoli con convinzione: “Quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio”». Infatti — ha spiegato — «c’è un mistero nel possesso della ricchezze. Le ricchezze hanno la capacità di sedurre, di portarci a una seduzione e farci credere che noi stiamo in un paradiso terrestre». A tale riguardo il Papa ha portato anche un esempio: «Ricordo che negli anni Settanta vidi per la prima volta un quartiere chiuso, di gente benestante; era chiuso per difendersi dai ladri, per essere sicuri». C’era anche gente buona, ma si erano rinchiusi in quella sorta di «paradiso terrestre». Questo accade, ha detto, «quando c’è la chiusura per difendere i beni»: si perde «l’orizzonte». Ed «è triste una vita senza orizzonte».
A questo punto il Pontefice è entrato ancora più in profondità: bisogna considerare, ha ricordato, che «le cose chiuse si rovinano, entrano in corruzione. L’attaccamento alle ricchezze è l’inizio di ogni genere di corruzione, dappertutto: corruzione personale, corruzione negli affari, anche la piccola corruzione commerciale — come quella, ha spiegato il Papa, di coloro che sottraggono qualche etto al peso giusto di una merce — corruzione politica, corruzione nell’educazione...». Quanti «vivono attaccati al proprio potere, alle proprie ricchezze, si credono nel paradiso. Sono chiusi, non hanno orizzonte, non hanno speranza. Alla fine dovranno lasciare tutto».
Per far meglio comprendere questo concetto, il Pontefice ha richiamato anche la parabola nella quale Gesù parla dell’uomo che con vesti eleganti «tutti giorni si dava a lauti banchetti»: costui «era tanto chiuso in se stesso che non vedeva più al di là del suo naso: non vedeva che lì alla porta di casa sua c’era un uomo che aveva fame e anche ammalato, piagato». La stessa cosa accade a noi: «l’attaccamento alle ricchezze ci fa credere che tutto sta bene, c’è un paradiso terrestre, ma ci toglie la speranza e ci toglie l’orizzonte. E vivere senza orizzonte è una vita sterile, vivere senza speranza è una vita triste».
Ma, ha tenuto a precisare Francesco, qui si sta criticando l’«attaccamento» e non l’«amministrare bene le ricchezze». Le ricchezze, infatti, «sono per il bene comune, per tutti», e se il Signore le concede qualcuno, è «per il bene di tutti, non per se stesso, non perché le chiuda nel suo cuore, che poi con questo diventa corrotto e triste». Gesù usa un’espressione forte: «Quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio». Le ricchezze, ha detto il Papa, «sono come il serpente nel paradiso terrestre, incantano, ingannano, ci fanno credere che siamo potenti, come Dio. E alla fine ci tolgono il meglio, la speranza, e ci buttano nel brutto, nella corruzione». Perciò Gesù afferma: «È più facile che un cammello passi nella cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli».
Da ciò deriva un consiglio valido per ognuno: chi possiede delle ricchezze deve fare riferimento «alla prima beatitudine: “Beati i poveri in spirito”; cioè spogliarsi di questo attaccamento e fare che le ricchezze che il Signore gli ha dato siano per il bene comune». L’«unica maniera» di agire è «aprire la mano, aprire il cuore, aprire l’orizzonte». Se invece «tu hai la mano chiusa, hai il cuore chiuso come quell’uomo che faceva i banchetti e indossava vesti lussuose, non hai orizzonti, non vedi gli altri che hanno bisogno e finirai come quell’uomo: lontano da Dio». Lo stesso è accaduto al giovane ricco: «aveva la strada per la felicità, la cercava e... perde tutto». A causa del suo attaccamento alle ricchezze «finisce come uno sconfitto».
Dobbiamo quindi, ha concluso il Pontefice, chiedere a Gesù la grazia «di non essere attaccati alle ricchezze» per non correre il pericolo «della chiusura del cuore, della corruzione e della sterilità».
L'Osservatore Romano