venerdì 29 maggio 2015

Orientamenti non restrizioni



Le religiose in dialogo con la Curia romana. 

(Grazia Loparco) La richiesta esplicita di una corretta partecipazione femminile nella vita della Chiesa da parte delle religiose non è cosa degli ultimi anni. Alcune richieste di quarant’anni fa si sono avviate ad attuazione, per altre evidentemente c’è spazio di riflessione e decisione. Nel bollettino trimestrale dell’Unione internazionale superiore generali (Uisg) numero 31-32 del 1974 sono riportati i contenuti di due giornate di intenso dialogo vissute nel novembre 1973 tra responsabili della Congregazione dei religiosi, rappresentata dal prefetto, il cardinale Arturo Tabera, e dal segretario, il benedettino Paul Augustin Mayer, e l’Assemblea triennale delle superiore generali. La domanda di fondo era: cosa attendono le superiore generali dalla Congregazione dei religiosi e cosa questa attende dalle superiore generali? Si vedeva innanzitutto l’opportunità di un maggiore scambio rispetto a quanto era già attuato grazie ai raduni mensili del Consiglio dei 16. Costituito da 8 superiori generali dell’Unione dei superiori generali (Usg) e 8 superiore generali dell’Uisg, esso era stato creato in quegli anni proprio per approfondire i rapporti con la Congregazione dei religiosi, attraverso lo studio e la discussione di temi importanti per la vita consacrata. 
Alcune superiore auspicavano con lucidità una nuova forma di leadership da parte della Congregazione, in vista di ricevere non solo direttive di ordine normativo, ma anche orientamenti pastorali e spirituali; orientamenti più che restrizioni, in modo da poter conservare l’unicità e l’unità in ogni istituto, senza doversi omologare nell’uniformità. 
Si sperava un aiuto che facesse risaltare gli elementi essenziali della vita religiosa, vissuta nell’attualità dei tempi. Le superiore chiedevano un genere di orientamento che desse loro fiducia e, per conseguenza, ottenesse la massima collaborazione. Occorreva per questo una maggiore conoscenza e una valutazione più obiettiva delle informazioni legate alle realtà locali, in cui le religiose dovevano adattarsi e perciò essere aperte ai cambiamenti. Si faceva appello a una migliore comunicazione tra Congregazione dei Religiosi e superiore, mentre era al momento offuscata dalla predominanza maschile: «Uno dei risultati della nostra epoca è che le religiose, fedeli ai principi di sussidiarietà e alla dignità umana, accettano sempre meno che gli uomini legiferino negli affari di loro competenza». 
Le relatrici auspicavano concretamente una rappresentanza adeguata delle religiose all’interno della Congregazione; che alcune tra esse, qualificate, potessero entrare e trattare soggetti concernenti le religiose. Inoltre chiedevano in che misura e circostanze fossero consultate quelle che al momento lavoravano presso la Congregazione: «Partecipano attivamente quando si prendono decisioni?». Si chiedeva che la nomina delle religiose fosse preceduta dalla consultazione previa delle superiore. 
Comunicazione e consultazione sembravano gli ingredienti necessari per un legame di comprensione reciproco: tramite questo si sarebbero evitati malintesi dovuti alla recezione di direttive di cui non sempre si comprendeva il senso, a maggior ragione con le traduzioni. 
Si sarebbe auspicata poi una consultazione delle religiose che avesse accompagnato il processo di redazione di norme, tenendo conto delle situazioni di vita, prevedendo l’impatto delle norme e della loro applicazione. Le rappresentanti delle superiore avrebbero desiderato partecipare alle sessioni plenarie della Congregazione e alla preparazione del Sinodo dei vescovi. Sussidiarietà e collaborazione in un dialogo aperto erano in breve le attese, insieme a una teologia radicata nel vangelo. 
I responsabili del dicastero, sempre presenti ai lavori, ripresero i temi accordando il loro consenso alle richieste. Nel clima del rinnovamento si auspicava maggiore comunicazione reciproca, per evitare le polarizzazioni che a volte si creavano nelle congregazioni, col rischio di rotture e separazioni da parte di gruppi e comunità. Le religiose chiarivano di non volersi confondere con gli istituti secolari. 
Nelle relazioni di gruppo, il gruppo inglese auspicava che l’Uisg affrontasse seriamente il tema della donna, in concomitanza con l’anno internazionale dichiarato dall’Onu per il 1975. Si chiedeva uno studio sulla teologia della donna e che la Chiesa approfondisse il contributo insostituibile delle donne nella sua missione, come pure di considerare la perdita di potenziale umano quando la complementarità non era riconosciuta. 
Il gesuita Paolo Molinari, assistente dell’Unione, si faceva mediatore tra la curia e le religiose e sottolineava l’utilità dell’ascolto reciproco, non solo delle superiore, ma anche dei Capitoli generali che cercavano il rinnovamento, pur non trovando sempre le soluzioni migliori. Sottolineava che occorreva valorizzare maggiormente la ricchezza delle visioni teologiche e dell’esperienza, non leggendo però i testi nuovi alla luce di schemi del passato e di limitati contatti con la realtà vissuta alla luce di Dio; occorreva anche un contatto più diretto e positivo con i responsabili di tali sviluppi. Perorava la causa dell’ascolto delle religiose da parte della Congregazione per una collaborazione efficace alla comprensione dello sviluppo della vita religiosa e per la sua comprensione teologica, dal momento che l’azione di Dio si rinnova continuamente e non può essere conosciuta a priori. Egli ricordava che non ci si poteva basare su una legislazione che aveva codificato sia elementi permanenti che altri non essenziali. Per questo la Chiesa aveva richiesto agli Istituti di rivedere la vita e le Costituzioni alla luce del Vangelo e dello spirito dei fondatori, di cui fa parte l’elemento dinamico. La Chiesa aveva evidenziato la fedeltà allo spirito dei fondatori e non alle sue espressioni storiche riconducibili al contesto. Una tale fedeltà alle forme, rigida, potrebbe infatti essere infedeltà allo spirito. 
Dunque occorreva che la Congregazione esaminasse con cura quanto arrivava al suo vaglio, in genere dopo un cammino di consultazione e di preghiera delle superiore, cammino spesso unito a ricerca, angoscia, sofferenza. Allo stesso tempo, era auspicabile un dialogo in itinere anche in rapporto ai Capitoli generali e a decisioni da prendere.
Al contempo ci si interrogava sul rapporto tra Costituzioni rinnovate secondo le indicazioni conciliari e il Codice di diritto canonico che era sì in revisione, ma non si prevedeva un’imminente conclusione del processo. L’idea era che esso non avrebbe contenuto molte norme sulle Congregazioni religiose, lasciando maggiore spazio. Altro punto toccato nell’incontro tra i responsabili fu la relazione tra la Congregazione dei religiosi, quella per l’Evangelizzazione dei popoli e quella delle Chiese Orientali, da cui secondo i casi potevano dipendere decisioni sulle religiose. 
L’arcivescovo Mayer chiariva le competenze specifiche e si riprometteva comunque una maggiore intesa, convocando anche il Consiglio dei 16 e dei 18, legato alla Congregazione dei religiosi e alla Congregazione per l’evangelizzazione. Il dialogo avviato su punti molto concreti sembrava promettente.
L'Osservatore Romano