mercoledì 24 giugno 2015

Ero come ubriaca



Fede e Luce in pellegrinaggio da piazza San Pietro ad Assisi. 

(Silvia Gusmano) «Alcuni amici hanno cominciato a venire a trovarci a casa. Si intrattenevano con noi, ci invitavano, ci aiutavano. Non capivo più niente. Ero come ubriaca nel vedere che a poco a poco, era lei che attirava tutta una serie di persone. Ma la speranza che cresceva in noi bisognava condividerla». Così Mariangela Bertolini (1933-2014), fondatrice di Fede e Luce in Italia, ha raccontato gli esordi del movimento che in questi giorni festeggia, a livello nazionale, quarant’anni di vita. 
Alle origini di tutto, amici, condivisione e lei, Maria Francesca, Chicca per tutti, una figlia con grave disabilità intellettiva, che inizialmente viene accolta con profondo dolore e poi, rinata nel cuore della madre «così com’è», le indica «una direzione nuova per ricominciare»: spalancare le porte di casa, allargare i confini della famiglia, moltiplicare gli incontri d’amore. Sull’esempio di quanto già accadeva in Francia con Foi et Lumiére. Mariangela, vulcanica e determinata, inizia a diffondere quella lezione silenziosa, piantando un seme in un terreno che si rivelerà straordinariamente fecondo.
Mercoledì 24 centinaia di persone di Fede e Luce italiana, e non solo, parteciperanno all’udienza di Papa Francesco. Subito dopo partiranno per Assisi dove, sabato 27, il vescovo Domenico Sorrentino celebrerà a Santa Maria degli Angeli la messa conclusiva: sarà così ricordato un cammino lungo quarant’anni anni. 
Un cammino partito da Roma e fatto di accoglienza e amicizia, di incontri di gruppo (quasi sessanta oggi le comunità disseminate da Aosta a Palermo) e cene festose, di vacanze estive e brindisi di capodanno, di messe caotiche e preghiere taciute, di lacrime e risate. Un cammino portato avanti — ora con entusiasmo, ora con grande fatica — da genitori (soprattutto mamme) come Mariangela, da figli come Maria Francesca e dai loro fratelli e amici. Un cammino che arricchisce tutti in egual misura e che sin dall’inizio è stato segnato nelle sue tappe fondamentali da un pellegrinaggio. 
Il primo risale alla Pasqua del 1971: Marie-Hélène Mathieu e Jean Vanier, già fondatore delle comunità di vita dell’Arca, radunano a Lourdes 12.000 pellegrini da tutto il mondo, 4.000 dei quali con un handicap mentale. È l’inizio di Fede e Luce. Quattro anni più tardi, in occasione del giubileo, un nuovo appuntamento a Roma. Alla famiglia di Mariangela e ai loro amici che già da qualche mese si incontrano all’istituto Nazareth, viene delegata l’organizzazione. Lo sforzo compiuto, l’intensità dei momenti vissuti insieme e l’emozione manifestata da Paolo VI durante l’incontro con i pellegrini, dà loro la certezza di essere sulla strada giusta. A dettare il tema di quel pellegrinaggio — «La riconciliazione tra la Chiesa e il mondo dell’handicap» — la sofferenza per una discriminazione che sulle famiglie pesava, e spesso pesa ancora, più di ogni altra. 
Da allora i viaggi si sono moltiplicati. Ogni dieci anni a livello internazionale e abitualmente a livello locale, Fede e Luce si alimenta così all’incontro tra le sue tante famiglie, oltre 1.600 sparse in ottanta Paesi. Ricordare questa dimensione è vitale per un movimento (riconosciuto un anno fa come associazione ecclesiale da parte della Conferenza episcopale italiana) che ha ancora molto da dire non solo ai suoi membri, ma alla Chiesa e alla società nel loro insieme. Preziosa, anzitutto, la sua esperienza come realtà ecumenica. Fede e Luce, che abbraccia culture di ogni colore, deve, dice Vanier, «desiderare e lavorare per l’unità di tutti i cristiani. Le divisioni sono uno scandalo e portano dolore alle persone con un deficit». 
Il movimento, inoltre, rappresenta un forte richiamo alla pace e al rispetto dei diritti umani in alcuni degli angoli più sofferenti del pianeta. Fioriscono comunità in Africa, Medio oriente e Asia, in Paesi dove i cristiani vengono perseguitati e la disabilità è ancora considerata un castigo di Dio. 
E in Italia, come nel resto del nord del mondo, qual è oggi l’annuncio di questa grande famiglia? L’ultimo numero di «Ombre e Luci» — rivista cristiana sulla disabilità mentale nata sempre per volontà di Bertolini — dedicato all’anniversario del movimento, rilancia la sfida di un cambiamento possibile. Fede e Luce — questo il filo rosso di tutte le testimonianze riportate — ha cambiato nel profondo i cuori e la vita di molti. È nata per spezzare il doloroso isolamento a cui erano costrette le persone con una disabilità mentale e le loro famiglie, ma è subito diventata, per tutti, luogo di relazioni autentiche, essenziali, cristianamente fraterne. E ha sperimentato, giorno dopo giorno, sino a che punto la fragilità umana condivisa possa rivelarsi fonte di amore. 
Quarant’anni dopo, le famiglie sono meno isolate e la società offre alle persone con disabilità mentale (non alle più gravi) numerosi servizi e occasioni di socializzazione. Si tratta di conquiste fondamentali che raramente tuttavia rispondono al bisogno di amicizia e fedeltà. Il rifiuto nei confronti della persona fragile, dice Vanier, non è cambiato. Non serve conoscere la disabilità per averne conferma, purtroppo. L’anziano, il povero, lo straniero, la persona debole di nervi ne sono esempio lampante. Fede e Luce allora ha e avrà ancora senso nella misura in cui saprà affiancare Papa Francesco nella sua battaglia contro la cultura dello scarto e a favore di tutte le periferie esistenziali. Seguendo, come ha sempre fatto, l’esempio di Gesù. 
Quando Meb, un artista francese con disabilità mentale, disegnò il logo del movimento — una barca con dodici passeggeri, senza remi e senza vele in balia delle onde — specificò: «Gesù dorme sul fondo e tuttavia veglia». Oggi, l’assistente ecclesiastico di Fede e Luce italiana, don Marco Bove, spiegando il tema dell’imminente pellegrinaggio — «Coraggio sono io» — afferma che, nel logo vorrebbe vedere rappresentato adesso Gesù. Vederlo, come racconta il Vangelo, mentre avanza verso i discepoli spaventati camminando sulle acque agitate. 
«Se guardiamo bene — afferma il sacerdote rivolgendosi ai pellegrini — potremo riconoscere tra la nebbiolina del mattino o nell’oscurità della notte che si avvicina la presenza di Gesù che ci ripete di non aver paura, (...) ogni volta che lasciamo la riva lui è con noi».
L'Osservatore Romano