mercoledì 24 giugno 2015

Giovedì della XII settimana del Tempo Ordinario



Costruire su Cristo e con Cristo 
significa costruire su un fondamento che si chiama amore crocifisso. 
Vuol dire costruire con Qualcuno, che dall'alto della croce stende le sue braccia,
per ripetere per tutta l'eternità: 
"Io do la mia vita per te, uomo, perché ti amo".
Vuol dire costruire con saggezza. 
Essere saggio significa sapere che la solidità della casa 
dipende dalla scelta del fondamento. 
Non abbiate paura di essere saggi, 
cioè non abbiate paura di costruire sulla roccia!

Benedetto XVI

*

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia.
Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perchè era fondata sopra la roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande» .
Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle restarono stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi. 
 (Dal Vangelo secondo Mt 7, 21-29)
*

Il Signore conclude il Discorso della Montagna nel verbo "conoscere". Lo affermava il catechismo di San Pio X circa il fine per il quale ogni uomo è creato: "Per conoscere, amare e servire Dio in questa vota e goderlo per tutta l'Eternità". Dal primo istante della creazione sino ad oggi, Dio ha fatto tutto per farsi conoscere e attirarci nella sua intimità. La vicenda umana di Gesù culminata sul Calvario è stata la porta del Paradiso che il Padre ha dischiuso dinanzi a ogni uomo. Il destino celeste della nostra vita si gioca, quindi, sul rapporto che abbiamo con Gesù: se lo abbiamo accolto, se da Lui ci siamo lasciati perdonare. Per "entrare" nella Gerusalemme celeste occorre aver vissuto nella Gerusalemme terrestre, immersi nel sangue di Cristo colato sulla "Roccia" del Calvario. Entrerà in Cielo chi, sulla terra, avrà vissuto ai piedi della Croce, "rimanendo nell'amore" di Cristo che bagna e lava, istante dopo istante, ogni colpa; chi avrà "fondato" la sua vita sulla Roccia del perdono, restando umilmente aggrappato alla speranza e alla fede nell'amore Cristo, che "ha tolto di mezzo il documento scritto della nostra colpa, inchiodandolo alla croce” (Col 2, 14). Per questo, al termine del Vangelo, Gesù chiederà a Pietro: "mi ami tu più di costoro?". In questa domanda possiamo leggere le severe parole di Gesù al termine del Discorso della Montagna. Quando dichiarerà "non vi ho mai conosciuti", Gesù in effetti starà chiedendo se lo abbiamo amato, se in quel momento avremo amore a Lui più di coloro che non lo hanno mai conosciuto. "In quel giorno", quello del giudizio, ci sarà chiesto che cosa ne abbiamo fatto dell'infinito amore con il quale Lui ci ha amati. Perché esso, se accolto, non può restare infruttuoso; è uno tsunami inarrestabile, afferra chi inonda e lo spinge ad amare. Nella debolezza certo, nell'infedeltà che ha ferito anche Pietro. Ma anche e soprattutto nell'umile abbandono che ama non per i propri meriti, ma nella forza dirompente dell'amore di Cristo. "In quel giorno" i santi, i cristiani umili e sconosciuti, non avranno da esibire altro che peccati e debolezze, perché sanno bene che il bene compiuto non è opera loro. Ma proprio quei peccati immersi e lavati nel sangue di Cristo saranno il passaporto valido per entrare nel Paradiso. Perché Cristo lo si conosce laddove Egli ci conosce: nei peccati dove Lui è sceso per amarci. I "molti" che "in quel giorno" si appelleranno alle proprie opere compiute "nel nome di Cristo" non hanno capito nulla: non hanno "conosciuto" il Signore, impedendo a Lui di "conoscerli" nelle loro debolezze. Sono come il fariseo salito al Tempio per pregare e che, esibendo la propria pretesa giustizia, torna a casa senza essere giustificato. Come auspicava San Paolo per se stesso, era stato "trovato in Cristo, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede" (Fil 3,9). Quel pubblicano - non stupitevene... - ha "compiuto la volontà di Dio", e per questo è tornato a casa giustificato, ovvero è entrato nel Regno di Dio. Era entrato nel Tempio come Cristo è entrato nel Getsemani, con un cuore contrito e umiliato, consapevole della propria debolezza, e confidando completamente nell'amore del Padre. E' il rovesciamento dell'attitudine superba di Adamo ed Eva di fronte alla tentazione del demonio. Gesù stesso, infatti, ha detto che la volontà di Dio è che conoscano Dio e Colui che il Padre ha mandato. In questa conoscenza intima, nell'abbandono senza riserve, si accoglie e si compie la volontà del Padre. Per questo la porta del Regno dei Cieli si affaccia sul Getsemani. E' qui che il vuoto e tronfio "Signore, Signore" è trasformato in "Abbà, Papà, non come io voglio, ma come vuoi tu". E' qui che si gioca, giorno per giorno, il nostro entrare nel Cielo. Dopo il combattimento nel Getsemani Gesù è entrato sereno in tutto quello che lo aspettava, ed era già Regno dei Cieli. Tra colpi, sputi, insulti, menzogne e calunnie, flagello e corona di spine, già si respirava l'atmosfera fresca dell'amore eterno. Proprio la sua Passione dimostrava che Gesù era Figlio di Dio: nell'Uomo dei dolori che aveva accolto la volontà de Padre, sceso sino a quel limite estremo dove l'umanità era precipitata, il Padre ha conosciuto il Figlio. Aveva infatti lo stesso cuore infiammato d'amore, aveva a cuore quello a cui il Padre teneva di più, le due volontà rimbalzavano l'eco una nell'altra. 

Così anche per noi, il "mettere in pratica la Parola" sarà un frutto della consegna al Padre che faremo con Cristo ogni giorno: "il cristianesimo non è un moralismo, non siamo noi che dobbiamo fare quanto Dio si aspetta dal mondo, ma dobbiamo innanzitutto entrare in questo mistero ontologico: Dio si dà Egli stesso. Il suo essere, il suo amare, precede il nostro agire e, identificati con Lui, nobilitati con il suo Sangue, possiamo anche noi agire con Cristo" (Benedetto XVI). Non compiremo la volontà di Dio perché preti, o suore, o missionari, o padri e madri sposati in Chiesa, ma perché "poveri di Spirito, afflitti e affamati" che si abbandonano a Dio. Uno può "profetare" e "cacciare demoni", può anche "fare miracoli nel Nome di Gesù" - perché Lui ama gli uomini e, per salvarli, si fa presente anche nelle mani indegne dei presbiteri che, nascostamente, si trovano in peccato mortale - ma se non è mosso dallo stesso Spirito non gli appartiene; se le parole e i gesti non sorgono dall'intima conoscenza di Cristo non servono per "entrare nel Regno dei Cieli". Rimangono profezie, esorcismi, miracoli che beneficano chi li riceve, ma lasciano fuori dalla gioia e dalla pace chi li compie. Perché nel Cielo entra chi il Cielo ha cominciato a viverlo sulla Terra. Compiere la volontà di Dio: è questa la "profezia" autentica che i falsi profeti non annunceranno né compiranno mai; è "l'esorcismo" che strappa le persone alle tenaglie dell'egoismo; è il "miracolo" che pianta il Cielo sulla terra. Nessuno può compierla se non è strettamente unito a Cristo. Per questo tutti scappano dalla sofferenza e dalla morte; tutti fuggono inorriditi dalla Croce. E' opera della Grazia, della vita divina ricevuta nel battesimo, cresciuta sino a una statura adulta attraverso l'Iniziazione Cristiana, e custodita dalla formazione permanente con cui la Chiesa accompagna i suoi figli. Il Discorso della Montagna ha dipinto l'uomo nuovo rinato in Cristo, che vive i suoi giorni come un anticipo del Paradiso, nell'intimità con il Padre che si incarna nell'obbedienza alla sua Parola; i cristiani che si offrono con Cristo nel Gestemani, restano con Lui crocifissi, per entrare nel Regno di Dio. Come te e come me, oggi. "Quel giorno", infatti, è quando si avvicina la moglie stanca e nervosa, il figlio che ha smarrito la bussola, il collega insopportabile, quando in banca ci rifiutano un prestito, quando qualcosa ci spezza il cuore e stravolge i nostri piani. E' il giorno di oggi che ci è dato per rinnovare nell'amore che ci fa donare senza riserve, il nostro passaporto per il Cielo, anche perché non sappiamo se oggi saremo chiamati e dovremo lasciare la terra. Ogni giorno siamo di fronte a un bivio: o Cristo che ci salva e ci fa figli dello stesso suo Padre, o noi e le nostre illusioni figlie dell'inganno del demonio; o il bene che è la volontà di Dio, o il male, che è la nostra volontà. Non si può costruire la vita su altre fondamenta. Il Signore ci chiama oggi a ricorrere senza paura alla Chiesa perché ci doni la "Sapienza" celeste; a camminare in essa per imparare ad "ascoltare" per "mettere in pratica". Il Discorso della Montagna è un seme deposto in ciascuno di noi attraverso l'ascolto della predicazione, ma senza le cure della Chiesa esso non può crescere e compiersi nella nostra vita. La Chiesa, infatti, è la "casa costruita sulla Roccia": nelle sue assemblee "queste sue parole" sono proclamate e annunciate, lo Spirito Santo vi scende copioso come il giorno di Pentecoste per coniugarle nelle diverse lingue che parliamo, illuminando così le nostre storie passate e le vicende presenti per farci aprire e accoglierle umilmente; attraverso i sacramenti le sigilla realizzandole nel nostro intimo; e così potremo "metterle in pratica" nella porzione di mondo dove siamo stati chiamati a vivere. "Costruire la casa sulla Roccia" significa allora rimanere nella Chiesa e lasciarsi guidare da lei. "Costruire la casa sulla sabbia" significa, invece, preferire il mondo e uscirne, lasciandosi condurre dal principe di questo mondo. "I venti" dei pensieri e delle tentazioni, delle parole che ci diranno, "la pioggia" dei nostri desideri mondani che ci bagneranno e ci sembrerà di affogare, "i fiumi" delle avversità, delle malattie, delle persecuzioni si "abbatteranno" e "strariperanno" su di noi, perché siamo ancora sulla terra; ma "non cadremo", perché la Chiesa, da duemila anni, nonostante quanto le sia occorso, non è mai "caduta". Ha vacillato, ma non è "caduta", perché fondata sulla Roccia che è Cristo, sul suo amore più forte della morte e del demonio. Al mondo, invece, bastano quattro gocce per farlo rovinare in macerie. Ma proprio per offrire al mondo una certezza che lo accompagni nel "Regno dei Cieli", il Signore ci ha chiamato nella Chiesa; perché chiunque ci incontri possa scoprire in noi la "casa" incrollabile che li aspetta per salvarli.