lunedì 31 agosto 2015

Vescovi tedeschi, intervista-choc contro la Dottrina

Katholisch

(Fonte: Nocristianofobia.org) Incredibile! Nuovo, clamoroso “strappo” dei Vescovi tedeschi progressisti. E’ più di una sensazione, ormai, quella di trovarsi di fronte ad un’altra Chiesa, diversa da quella cattolica, sebbene non ancora formalmente ritenuta tale (ed è questo il guaio). Nonostante la Sacra Scrittura, il Magistero, la Tradizione, il Catechismo parlino estremamente chiaro, lo scorso 25 agosto sul proprio sito ufficiale Katholisch.de, la Conferenza episcopale tedesca ha pubblicato un’ampia intervista al prof. Stephan Goertz, docente di Teologia morale presso l’Università di Magonza, intervista dedicata al suo ultimo libro dal titolo – scontato e davvero poco originale – Chi sono io per giudicare? Omosessualità e Chiesa Cattolica.
Di nuovo la “teologia della situazione”
Secondo lui, essendo cambiati i tempi, anche i giudizi morali dovrebbero andare di conseguenza. Così, mentre nei periodi cui fa riferimento la Bibbia «il primo scopo dato da Dio alla sessualità era quello della procreazione» per «garantire la sopravvivenza del popolo» e per non «mettere in pericolo l’ordine sociale», oggi non sarebbe più così, “grazie” anche alle attuali «conoscenze scientifiche» (che non si comprende cosa c’entrino e come possano spostare i termini del problema). Ciò, a suo dire, per lo meno dai tempi del «Concilio» ad oggi (dove con tale termine ci si riferisce al Vaticano II, pur senza citarlo, come se si trattasse dell’unico tenuto dalla Chiesa Cattolica…).
Così Goertz rispolvera la vecchia (e già condannata) teologia «della situazione» per tentare di spiegare cosa spinga la Sacra Scrittura a condannare la pratica omosessuale: «Nelle nostre interpretazioni dobbiamo sempre comprendere la situazione storica concreta in cui si trovano gli autori del testo biblico», dice.
Ma, così facendo, Goertz tradisce e calpesta di fatto il Catechismo, che al n. 105 precisa: «Dio è l’autore della Sacra Scrittura. “Le cose divinamente rivelate furono consegnate sotto l’ispirazione dello Spirito Santo» e, poiché «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!» (Eb 13, 8), va da sé come la Dottrina sia immutabile e non dipenda da una moda, da un costume, da un desiderio, da un capriccio e neppure dal consenso della maggioranza. Dottrina definita «infallibile», «immutabile» e «certa» dallaDichiarazione circa la Dottrina cattolica sulla Chiesa per difenderla da alcuni errori d’oggi, emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Al n. 5, citando il Concilio Vaticano I, tale Dichiarazione condanna in modo inappellabile la sentenza «secondo la quale potrebbe accadere ‘che ai dogmi proposti dalla Chiesa si debba talvolta dare, in base al progresso della scienza, un senso diverso da quello che la Chiesa ha inteso ed intende’. Non c’è dubbio che il senso dei dogmi dichiarato dalla Chiesa sia ben determinato ed irreformabile». Con buona pace di Goertz, il quale, dal canto suo, ritiene tutto questo un «uso fondamentalista dei testi biblici», come afferma nella sconcertante intervista.
Per questo egli ritiene che le cosiddette “unioni omosessuali” debbano essere rispettate «e non discriminate o criminalizzate», nonostante la pratica dell’omosessualità venga chiaramente condannata sempre dal Catechismo. E confida anzi in un cambio di rotta al prossimo Sinodo sulla Famiglia, magari con tanto di «approvazione ecclesiastica» e con«carattere sacramentale». Infischiandosene della retta Dottrina, fissata non dagli uomini, ma da Cristo.
Un’intervista senza commenti
L’intervista è apparsa sul sito ufficiale dei Vescovi tedeschi tale e quale, senza prese di distanza, senza precisazioni, senza commenti, senza critiche, senza rettifiche. Niente di niente. E questo è semplicemente scandaloso.
Lo scrittore e giornalista cattolico Mathias von Gersdorff ha subito commentato l’accaduto: «Quando si mette in discussione in questo modo il pur chiaro insegnamento della Chiesa sui Sacramenti, allora ci si deve chiedere per quale motivo questi teologi non ritengano più opportuno fondare una nuova religione». Che loro desiderino restar mischiati e confusi tra i Cattolici, è prevedibile: il problema sta nella latitanza di chi sia preposto a vigilare e non lo fa, sta cioè nei silenzi complici dei pastori, che giungono addirittura a dar loro spazio sul sito ufficiale della Conferenza episcopale tedesca. Senza neppure precisare ai lettori cosa realmente dica la Chiesa. E questa è una colpa grave.

Humanae Vitae testo profetico

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Libertà e persona inizia oggi la pubblicazione di una serie di contributi in merito all’enciclica Humanae Vitae, si tratta di un dossier che riprende alcuni articoli e interviste su questo importante documento del magistero del Beato Paolo VI. Si comincia con l’intervista concessa lo scorso 30 luglio da Mons. Paolo Martinelli, vescovo ausiliare di Milano, a Radio Vaticana.
di Monia Parente
Il 25 luglio 1968 veniva pubblicata l’Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI sulla dottrina della Chiesa sul matrimonio, l’apertura alla vita, la paternità e la maternità responsabile. Sull’attualità di questo documento, Monia Parente di Radio Vaticana ha intervistato monsignor Paolo Martinelli, vescovo ausiliare di Milano.
«Si tratta ancora oggi di un testo di straordinaria attualità – spiega Martinelli – proprio per la situazione di crisi antropologica in cui spesso la persona umana si trova e in rapporto al tema degli affetti, del matrimonio e della famiglia. Penso soprattutto a quanto sta accadendo in Occidente e in generale a quanto la Chiesa sta considerando intorno alla famiglia, proprio in riferimento al Sinodo dei vescovi. C’è una premessa fondamentale, mi sembra, da fare su questo: cioè che di fatto il Beato Paolo VI, ancora da giovane sacerdote e anche poi da arcivescovo di Milano, aveva capito anche prima di tanti altri quello che stava realmente succedendo alla fede nel nostro tempo e soprattutto il rapporto tra fede e cultura contemporanea che stava venendo meno. Diceva ancora in età giovanile: “Cristo ormai per la nostra cultura è diventato sconosciuto”. E ancora, sentiva la necessità di riproporre il nesso profondo tra Cristo e l’esperienza umana».
E anche Papa Francesco ha parlato dell’attualità dell’Humanae Vitae
Direi molto importante anche il fatto che lo stesso Papa Francesco nel viaggio nelle Filippine ebbe modo di dire, a coloro che gli ponevano delle domande, dei giornalisti, circa grande attualità profetica di questo testo, soprattutto perché andava contro una sorta di impostazione ideologica di neomalthusianesimo che voleva essere un controllo di fatto sulle nascite e sullo sviluppo della realtà umana. In questo senso invece, Papa Paolo VI ha riportato profondamente il tema nell’ambito antropologico, nell’ambito della libertà e della responsabilità che le persone devono avere nei confronti della propria vita e della vita degli altri.
Quale a suo avviso il punto più attuale dell’Enciclica?
Mi sembra che il punto più attuale di questa Enciclica sia proprio l’implicazione antropologica del discorso riguardo all’unità che c’è nella vita matrimoniale tra l’amore reciproco degli sposi e l’apertura alla vita. Infatti l’accusa fondamentale che era sottesa in questo documento era proprio questa disarticolazione tra amore unitivo e la procreazione che, di fatto, oggi vediamo essere un punto di estrema espansione dal punto di vista culturale. Pensiamo a questo sviluppo fino alla sua esasperazione, fino ad arrivare oggi ad esempio in questa disarticolazione a pratiche come quelle dell’utero in affitto, che non sono che un’strema conseguenza della disarticolazione tra l’amore unitivo e il compito procreativo. Questo permette purtroppo di arrivare a una “cosificazione” del corpo, soprattutto del corpo della donna e dall’altra parte c’è il rischio di ridurre il figlio ad un prodotto meccanico invece di essere il frutto di un amore generativo. E mi sembra che Paolo VI proprio nel difendere il principio fondamentale, ossia che l’amore coniugale ha in se stesso in modo inscindibile l’amore unitivo, l’affermazione dell’unità con l’altro, e nello stesso tempo l’amore generativo, era proprio per evitare questa disarticolazione che poi avrebbe portato a quello che di fatto stiamo sperimentando. E mi sembra anche molto importante il principio che lui ha affermato in questo documento riguardante la paternità e la maternità responsabile che essenzialmente era tutta tesa a sottolineare la responsabilità e quindi la libertà della persona all’interno del rapporto amoroso.
Cosa si vuole sottolineare con queste argomentazioni?
Qui mi sembra che il tema del poter ricorrere ai periodi infecondi come anche il tema della castità siano proprio dimensioni che vengono messe a tema per sottolineare il soggetto umano, l’uomo e la donna, come soggetti di responsabilità e da questo punto di vista mi sembra veramente profetico il richiamo che Paolo VI ha fatto alla dimensione casta dell’amore coniugale. In questo senso la castità è proprio una figura umanizzante perché dice che la persona nella relazione amorosa non deve essere determinata semplicemente dall’impeto istintivo o dalla pulsione ma che deve entrare la responsabilità, la libertà, la volontà. Quindi in questo senso la castità è un’espressione della temperanza degli affetti dentro il rapporto coniugale. Questo permette che la persona rimanga pienamente soggetto di libertà. In questo senso la dimensione della castità negli affetti aiuta a tenere l’io in rapporto con tutta la realtà in modo adeguato, a dare un ordine agli affetti, a trattarsi sempre come persona e mai a ridurre l’altro a un proprio tornaconto. E questo mi sembra ancora un aspetto molto profetico che vale la pena ribadire e sottolineare.
L’Humanae Vitae è stato comunque un documento che ha trovato delle difficoltà nell’accoglienza…
Paolo VI era ben consapevole delle difficoltà che questi aspetti del magistero della Chiesa avrebbero incontrato su questo punto. Nello stesso documento lui in un certo senso dice anche che si aspetta una grossa difficoltà. Qui emerge proprio la libertà e la responsabilità di questo Pontefice nel voler ribadire questi principi della dottrina nelle loro grandi implicazioni antropologiche con una responsabilità che la Chiesa deve avere nei confronti dell’umanità. Una responsabilità che si fa promotrice, più che mai oggi, di un nuovo umanesimo che mette al centro le persone nelle loro relazioni costitutive. Tra queste relazioni costitutive certamente c’è quello dell’uomo e della donna nel matrimonio perché vivano un amore profondamente autentico e generativo di nuova vita.

Quei domenicani amici di Lucio Dalla


di Francesco Agnoli (LaNuovaBQ)
“Omofobi!” Cosa significhi questa parola non è chiaro. Chi sia deputato a bollare e dannare il pensiero altrui, anche quando si tratta di ricerche scientifiche pubblicate sulle riviste appropriate e referenziate, neppure. Ma quelli di Repubblica non hanno dubbi: padre Giorgio Carbone, autore del libro Gender. L’anello mancante, e i domenicani di Bologna presenti al Meeting di Rimini, sono, appunto, degli omofobi. Il fatto è, però, che, come raccontato da questo quotidiano,proprio il can can mediatico contro padre Carbone ha spinto alcuni omosessuali a recarsi da lui, per ringraziarlo e parlargli. Non è certo la prima volta che succede.
Del resto che l’ideologia gay non avvolga affatto tutto l’universo delle persone con tendenze omosessuali è cosa nota: non solo perché ve ne sono di quelli che cercano di vivere la propria tendenza castamente, o che provano a superarla in vari modi, ma anche perché, pure tra i “praticanti”, non mancano i Dolce e Gabbana, o i leader omosessuali della Manif francese, assolutamente contrari al matrimonio gay e alla relativa adozione e produzione di figli, tramite eterologa ed utero in affitto.
Ma torniamo ai “cattivissimi” domenicani. Chi abbia qualche frequentazione bolognese, forse avrà visto qualche volta, passeggiando alcuni anni fa per la città, un famoso cantautore entrare ed uscire da una chiesa del centro, magari per la messa domenicale delle 22. Quel cantautore era Lucio Dalla; la Chiesa, quella dei domenicani, confratelli di padre Carbone.
Ai domenicani di Bologna, presenti al Meeting con il loro stand da molti anni, Dalla era particolarmente affezionato. Il suo senso della fede, mi ricordava uno di loro, era così spiccato da portarlo a confrontare costantemente la sua vita con il Vangelo e con gli insegnamenti della Chiesa. Tra Natale e capodanno, Dalla raccoglieva i barboni della città che conosceva, e offriva loro un ricco pasto, in uno dei migliori ristoranti bolognesi, con questa motivazione: “Voglio che almeno nei giorni in cui è nato il nostro Signore anche loro festeggino da signori”.
È noto che negli ultimi anni il cantautore bolognese andava a messa tutti i giorni ed accedeva ai sacramenti. Ma non era omosessuale? Proprio intorno ai suoi funerali, celebrati da un altro padre domenicano amico, ci fu una grande bagarre, con l’accusa di molti media e del movimento gay: la Chiesa gli avrebbe concesso il funerale a san Petronio, ma solo per appropriarsene. In verità, Dalla non aveva mai parlato pubblicamente delle sue preferenze sessuali, né aveva mai accettato di essere ridotto ad esse. Pur essendoci, a Bologna, l’Arcigay, non si era mai iscritto ad esso, né aveva mai partecipato ad alcun gay pride.
In ogni modo, qualunque fosse stata o fosse, negli ultimi anni, la sua personale vita sessuale, l’arruolamento nella cultura gay da parte dei media fu possibile solo dopo la sua morte. In vita – proprio come quegli omosessuali che hanno contattato padre Carbone dopo la pubblica lapidazione -, preferiva i domenicani all’Arcigay.
Il che, lo ribadisco, non stupisce affatto. Se il giornalista repubblichino si intrufolasse nel monastero, magari gli capiterebbe, come è successo ad altri, di incontrare anche coppie di uomini di tendenza omosessuale che hanno vissuto per anni una relazione, divenuta, con il tempo, per loro scelta, un’amicizia. E potrebbe incontrare altri uomini che hanno vissuto il loro rapporto con le donne in un modo che la Chiesa non approva affatto, e che, ritenendo la visione della Chiesa corrispondente a ciò che essi hanno compreso dalla loro stessa esperienza, sono cambiati, o stanno cercando di farlo.
Repubblica o meno, la Chiesa non può dimenticare le parole della Bibbia e quelle di Cristo, anche se questo può portarla a scontrarsi ieri con Enrico VIII che voleva ripudiare (e uccidere) le sue mogli scomode, oggi con Matteo Renzi e Monica Cirinnà che, dopo aver appoggiato il divorzio breve, ora vogliono stabilire per legge che il matrimonio è anche tra due persone dello stesso sesso. Questo senza alcuna chiusura verso le persone, ma al contrario, per una convinzione profonda: la vita affettiva e sessuale, dono di Dio, lungi dall’essere facile, è spesso terribilmente insidiata dal vizio, dal disordine, dal capriccio istintivo e bruto, dall’edonismo e quant’altro. L’alto tasso di suicidi tra omosessuali, dimostrato anche dagli studi citati nel libro di padre Carbone, così come la presenza di troppi omicidi passionali all’interno del rapporto tra uomo e donna, non vengono denunciati dalla Chiesa per demonizzare qualcuno, ma per aiutare tutti. Compresi i figli del divorzio e dell’utero in affitto. È la verità che ci fa liberi, e per quanto possibile, felici.
fonte: LaNuovaBQ

Santa Messa in Suffragio del Cardinale Carlo Maria Martini. Omelia del Card. Angelo Scola



Santa Messa in Suffragio del Cardinale Carlo Maria Martini, Arcivescovo emerito di Milano. Omelia del Card. Angelo Scola: «Martini ci ha lasciato come eredità preziosissima la passione per la Parola di Dio» 
 Chiesa di Milano 

Il Cardinale Scola ha presieduto in Duomo la celebrazione eucaristica in occasione del terzo anniversario della scomparsa di Carlo Maria Martini. «Dalla vicinanza preziosa e dai suoi insegnamenti traiamo conforto e impegno per costruire la Chiesa ambrosiana e una Milano effettivamente metropoli» 
Omelia
1. «Quello che abbiamo veduto con i nostri occhi… che le nostre mani toccarono del Verbo della vita…» (Lettura1Gv 1,1). Il brano giovanneo riprende il tema del “principio” indagato nel prologo evangelico. Ma lo riprende in chiave esistenziale, come riflessione sull’esperienza. È questo un carattere decisivo del cristianesimo. La costatazione ci porta immediatamente alla figura del Cardinale Carlo Maria Martini. All’uomo, al cristiano, al Vescovo che ci ha lasciato come eredità preziosissima la passione per la Parola di Dio. E lo ha fatto riformulando creativamente la “lectio” biblica. In tal modo ha educato i fedeli – sacerdoti, religiosi, laici – alla familiarità con la sacra Scrittura, che posso toccare con mano visitando la nostra diocesi.
La vita e il ministero del compianto Cardinale, ispirandosi al passaggio della Prima Lettera di Giovanni («Quello che era da principio… quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» 1Gv 1,1a.3) ci dice il contenuto, il metodo e lo scopo dell’annuncio cristiano: trasmettere di generazione in generazione l’incontro con il Cristo vivo nella sua Chiesa, attraverso la testimonianza, per dilatare la comunione a tutti gli uomini. Perché fare questo rende «piena la nostra gioia» (Lettura1Gv 1,4). Il ritornello del Salmo responsoriale – «Una generazione narra all’altra la bontà del Signore» – sintetizza, in un certo senso, questo metodo di lettura popolare della sacra Scrittura con il dinamismo della traditio, di quella oggettiva, apostolica, anzitutto. 
Per questo, come ci farà pregare il Prefazio riferito al Vescovo passato all’altra riva, siamo autorizzati a sperare di speranza certa che sia assegnato «in cielo un posto di singolare splendore a coloro che in terra hai chiamato alla guida della tua Chiesa» (Prefazio).
2. Quella della moneta perduta è una delle parabole della misericordia citate anche da Papa Francesco nella Bolla di indizione (Misericordiae vultus) dell’Anno Santo ormai alle porte. 
Luca è l’unico degli evangelisti a riportare questa parabola. L’accento non è sulla perdita ma sulla gioia del ritrovamento. Gioia che, per sua natura, viene partecipata. Gesù non si dà pace finché ogni suo figlio “perduto” non sia ritrovato. Non perde tempo a lamentarsi per averlo perduto, impiega tutte le sue energie in questa instancabile ricerca. Niente è più urgente di questo. 
Questo è il contenuto proprio della missione di Gesù. Questo deve garantire a tutti la Chiesa. Per questo la sua missione consiste nel lasciar trasparire il volto misericordioso di Cristo a favore di tutte le donne e di tutti gli uomini. 
3. «La gioia di Dio è perdonare! ... Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è “buonismo”! Al contrario, la misericordia è la vera forza che può salvare l’uomo e il mondo dal “cancro” che è il peccato, il male morale, spirituale. Solo l’amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nei cuori e nella storia» (Papa Francesco, Angelus, 15 settembre 2013). 
Questo testo di Papa Francesco consente di citare una riflessione del Cardinale Martini sul delicato tema del rapporto tra giustizia e amore misericordioso di Dio: «Ricordiamoci sempre che la radice della giustizia è nella creazione voluta da Dio. È Lui il garante ultimo di ogni giustizia; è Lui che anzitutto fa giustizia a noi devianti, poveri, peccatori; è Lui che ci perdona, ci riabilita, ci ama; e in grazia della sua giustizia salvifica, siamo in grado di esprimere anche noi giustizia, bontà, amore verso tutti gli altri». 
In questo stesso testo, ma in molte altre occasioni, il Cardinale sviluppava poi le importanti conseguenze a livello personale, famigliare, di comunità cristiana e di vita sociale e politica. 

Dalla sua vicinanza e da questi insegnamenti traiamo conforto ed impegno per costruire la Milano metropoli, ed in essa l’appropriata fisionomia del cristiano e del cittadino di questo nuovo millennio.

#SOUL al Meeting 2015 - Monica Mondo intervista Juliàn Carròn



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Lettera aperta su CL: “Grazie, ma…”

http://www.libertaepersona.org
Riceviamo e pubblichiamo questo contributo di due lettori vicini al Movimento di CL.
Siamo due fidanzati che, in periodi diversi, hanno frequentato il Movimento di Comunione e Liberazione.
Per entrambi l’incontro con il Movimento è stato un momento importante per muovere i primi passi nella fede da persone adulte e coscienti, dopo la fin troppo nota ribellione adolescenziale. Nel Movimento abbiamo trovato delle amicizie sane, molte delle quali profonde e durature, e un appuntamento settimanale – la Scuola di Comunità – per aiutarci a riflettere su come vivere la fede nella nostra quotidianità di studenti e/o di lavoratori.
Nonostante questi aspetti indubbiamente positivi, tuttavia, ben presto abbiamo cominciato ad avvertire dei limiti nel Movimento, che riassumeremo qui in due punti.
La prima difficoltà che abbiamo riscontrato risiede nel fatto che troppo spesso ci sembrava di parlare di cose troppo lontane da noi, di passare il tempo a fare ragionamenti filosofici che – seppur interessanti – erano troppo distanti dalla concretezza della nostra vita.
Ragionando a posteriori su questo nostro ‘disagio’ abbiamo capito che probabilmente esso trovava una duplice spiegazione.
Innanzitutto nel fatto che i libri di don Giussani, sui quali eravamo chiamati a lavorare per poi confrontarci, sono stati scritti in un’epoca in cui le persone avevano chiari i fondamenti del Catechismo e potevano quindi permettersi di dare per scontati diversi passaggi preliminari. Pretendere che oggi valga lo stesso principio è, a nostro giudizio, fuori luogo: sarebbe come pretendere che dei bambini di prima elementare gustino la bellezza della prosa manzoniana, quando ancora vacillano tra le lettere dell’alfabeto! A questo aspetto è legato il modo di esprimersi tipico dei ciellini, caratterizzato da un uso – alle volte esagerato – di quelle che abbiamo definito ‘le parole jolly’: Mistero, presenza, compagnia… parole altisonanti, ma che spesso ci risultavano incomprensibili e ci impedivano di cogliere in profondità il senso di quanto veniva detto.
Un secondo fatto è che nel Movimento si parlava tanto, ma si pregava poco. Fermo restando la Santa Messa infrasettimanale in ogni città e la recita delle Lodi tra studenti e anche tra qualche gruppo di lavoratori, non abbiamo trovato un aiuto vero per crescere nel nostro rapporto personale con il Signore. Naturalmente con questo non intendiamo puntare il dito o giudicare il modo di vivere la fede di alcuni, presentiamo solamente una cosa che noi abbiamo sentito come mancante. Quasi fossero più importanti i rapporti di amicizia di carattere orizzontale – con le persone della propria Scuola di Comunità, piuttosto che con quelli del coro –, piuttosto che privilegiare un’amicizia in verticale, con Gesù, dalla quale far poi discendere tutto il resto.
Abbiamo deciso di portare questo nostro contributo con l’intento di fornire nuovi spunti di riflessione in un momento in cui, dopo l’ultima edizione del Meeting, è emerso chiaramente la difficoltà di CL.
Siamo legati al Movimento e siamo consapevoli del valore che ha avuto nella nostra vita, ed è proprio per questo che ci dispiace vedere come, in virtù di una presunta ‘non contrapposizione’, stia venendo meno al suo carisma originario. Quel carisma che trovava il proprio essere nel vivere concretamente la sottomissione alla volontà del Signore in tutti gli atti del quotidiano, dalla mattina appena svegli alla sera. Una fede fatta di piccole cose, molto concreta, ma forte nella testimonianza e pronta a giudicare i fatti della vita, dicendo chiaramente: “Sì, sì o no, no”. Perché in fondo quel che conta è questo: stare con il Signore sempre, anche quando il mondo e la nostra volontà peccatrice ci vorrebbero portare altrove.

«Se togliamo il senso della realtà come limite all’uomo, cosa accadrà?»



di Carlo Sala
Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – È il diritto, lo Stato, che plasma gli individui e crea la società o è l’uomo che forgia le istituzioni secondo la sua natura? La disputa è secolare, ma il revisionismo in atto in Italia sui concetti di famiglia, identità sessuale e, di conseguenza di genitorialità, ripropone il dilemma toccando il nodo dell’articolazione e funzionamento dello Stato. «È dal 2005, dal referendum sulla procreazione medicalmente assistita, che vedo una giurisprudenza creativa in base alla quale ormai è l’organizzazione giudiziaria che fa le leggi», osserva Massimo Gandolfini, portavoce del comitato “Difendiamo i nostri figli”. Ricordando a Tempi che «in Italia la fecondazione eterologa era stata vietata da una legge che aveva superato un referendum, ma quella legge è stata totalmente vanificata per via giudiziaria», Gandolfini adduce tale caso come la prova del fatto che «le leggi non sono più fatte dal Parlamento: oggi Cassazione e Consulta creano nuovi istituti giuridici».
Come a confermare tale diagnosi, a metà luglio la Cassazione ha sancito che il diritto a ripudiare la propria identità sessuale originaria prescinde dalla necessità di apportare le correzioni chirurgiche del caso. E neanche ventiquattro ore dopo, da Strasburgo la Corte europea dei diritti umani ha posto di fatto l’Italia di fronte a un vincolo esterno in merito alla definizione legale di famiglia, tanto cogente quanto divergente dalla definizione che l’articolo 29 della Costituzione italiana fornisce.
«Io vedo pericoli per il buon senso, per il senso della realtà, per il bene dell’umanità tutta», osserva la giornalista e scrittrice Costanza Miriano. «Chi da oggi potrà impedire a qualcuno che voglia andare in pensione prima del tempo di dichiarare di sentirsi donna? Oppure, chi voglia diventare dirigente approfittando delle quote rosa, non potrebbe forse dichiarare di percepirsi profondamente femmina, almeno in quella fase della sua vita (perché per i teorici del gender si può passare tra le diverse decine di percezioni di sé infinite volte nella vita)? Non voglio banalizzare i sentimenti della persona che si è rivolta al magistrato, la sua storia personale sarà sicuramente complicata e dolorosa, ma se togliamo il senso della realtà come limite all’uomo, cosa rimane a garanzia delle basi comuni della società? E poi in qualche modo la sentenza può essere intesa anche nell’altro senso: è vero, l’operazione di cambio sesso non è necessaria, ma proprio perché è irrilevante. Chi nasce maschio rimane tale, esattamente come un uomo che, per dire, perde gli organi genitali in un incidente non diventa una donna, così come io non divento una gallina se mi taglio le braccia. Io sono donna nel modo di essere, pensare, vedere la realtà, in ogni cosa che faccio, e non solo nell’avere rapporti sessuali o generare bambini. Un uomo è un uomo sempre, qualunque cosa faccia al suo corpo».
Alfredo Mantovano inquadra la questione della famiglia in una prospettiva storico-culturale: «In questo momento storico, non solo l’Italia ma l’Europa tutta sono poste di fronte a problemi seri che richiedono decisioni gravi. Iniziative di legge a favore delle unioni civili piuttosto che delle droghe conducono a prostrare una popolazione che invece deve essere in salute perché, dopo aver dimostrato cosa sia la civiltà, oggi è incalzata da un lato dal terrorismo e dall’altro da chi cerca in noi un rifugio».
Il sostegno di una piazza
La famiglia che ormai sempre più rischia di essere definita “vecchio stile” per essere identificata come costituita da una coppia uomo-donna, aveva ottenuto una prima “vittoria” grazie all’affluenza di massa al raduno di Roma promosso lo scorso 20 giugno dal comitato “Difendiamo i nostri figli”, di cui fanno parte tutti e tre gli interlocutori di Tempi. Sulla scia di quel successo (che ha indotto il comitato a divenire permanente), una circolare del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini in occasione della nuova legge sulla scuola sembra avere scongiurato («ma l’attenzione da parte dei genitori va tenuta alta», ricorda il Comitato) l’introduzione nelle aule italiane della teoria del gender, quella che in Francia aveva portato (prima che le proteste di molti genitori avessero successo) a introdurre nelle scuole elementari libri di testo come Papà porta la gonna. Sgombrato il campo da quella che Gandolfini spiega essere «un’ideologia che non ha nulla di scientifico e una teoria pericolosissima, perché distrugge la natura umana sostenendo, in un delirio di autodeterminazione, che non esiste una natura sessuata ma una personalità costruita a piacimento e perché indica un percorso educativo che costruisce individui deboli e confusi», il successivo duplice verdetto di Cassazione e Corte europea ha tuttavia riproposto la teoria del gender e dato impulso al progetto di legge sulle unioni civili della parlamentare Pd Monica Cirinnà, che appena pochi giorni prima il premier Matteo Renzi aveva ribadito di voler adottare entro l’anno.
Non basta una sentenza
Presidi estivi davanti al Senato (dove è in discussione il progetto di legge Cirinnà) e una raccolta firme già avviata e destinata in autunno ad ampliarsi online, sono le prime iniziative dispiegate per fronteggiare quella che Gandolfini non esita a definire una «dittatura del pensiero unico», osservando che «si parla tanto di omofobia, invece oggi il clima è di eterofobia» (lui stesso per le sue posizioni è stato deferito all’ordine dei medici, cui appartiene, e successivamente assolto all’unanimità dall’accusa di violare la deontologia). Mentre Mantovano ipotizza un raduno bis al Circo Massimo, Miriano chiama in causa anche i media: «Dovrebbero sforzarsi di pensare un po’ più con la propria testa, e non titolare in massa “Strasburgo condanna l’Italia”, con una sorta di gigantesco tasto copia-incolla collettivo. L’Europa non ha il potere di condannare l’Italia su questa materia, altrimenti chiuderemmo Camera e Senato: per ratificare le decisioni prese altrove basterebbe qualche funzionario pubblico munito di timbro. Non servirebbe nemmeno un governo. Dovremmo essere onesti, noi giornalisti, e non sparare in prima pagina certe notizie, come se cambiassero davvero in modo decisivo le cose».
Il silenzio della Cei sul raduno del 20 giugno non preoccupa. Gandolfini ricorda l’invito delle gerarchie ecclesiali a partecipare alla veglia di preghiera del 3 ottobre, vigilia del Sinodo sulla famiglia, e Mantovano chiama «i laici cristianamente ispirati ad un’assunzione di responsabilità per non lasciar minare il corpo sociale mentre in Italia si fanno sempre meno figli e ci sono sempre più anziani». Posto che la famiglia basata su uomo e donna rappresenta, come dice Mantovano, una «priorità non soltanto etica ma anche antropologica», d’altronde, la sua tutela non può scivolare su un terreno ideologico o farsi scudo della fede cattolica, come Gandolfini lascia chiaramente intendere, fugando anche possibili dubbi su derive verso le tesi di uno scontro di civiltà, quando ricorda che le voci levatesi il 20 giugno appartenevano a più fedi, come pure a genitori (quelli dell’associazione Agapo) di figli e figlie omosessuali.
«Non manifestiamo contro l’omosessualità», precisa Mantovano. Si tratta invece, spiega Gandolfini, di riconoscere che l’intervento dello Stato con una legge che per le unioni civili non serve. «La storia ci insegna che una coppia di due uomini o di due donne non genera vita, quindi non può godere delle tutele dell’articolo 29 della Costituzione, perché quella norma tutela uno specifico tipo di relazione. E agganciare il progetto Cirinnà all’articolo 2 della Costituzione sulle formazioni sociali è un’operazione di chirurgia plastica, perché a tutto pensavano i padri costituenti quando scrissero quella norma, ai sindacati, ai partiti, meno che alle coppie diverse dalla famiglia». «In realtà si fa prima a dire ciò di cui non godono le coppie diverse dalla famiglia», incalza Mantovano, ricordando che nei due rami del Parlamento era stato presentata una bozza di testo unico, scartata a favore del progetto Cirinnà, in cui si ricapitolava quanto, per via legislativa o per via giurisprudenziale, è già oggi diritto acquisito e riconosciuto per qualsiasi coppia diversa da quella uomo-donna.
Una “sconfitta per l’umanità”
Per nulla contraria a riconoscere come diritto della persona quello di vivere una relazione di coppia diversa dalla formula “classica”, l’opposizione al progetto Cirinnà si limita a escludere che quella relazione di coppia possa godere dei diritti propri della relazione matrimoniale (di fatto o di diritto che sia) tra uomo e donna, cioè diritto alla reversibilità della pensione (ipotesi assai preoccupante anche per l’Inps, per questioni meramente contabili), il diritto ad avere o adottare figli e a educarli, il diritto alla quota legittima di successione rispetto ai beni del defunto. «Riconoscere questi tre diritti getterebbe le premesse perché una corte affermi che anche una relazione diversa da quella tra un uomo e una donna debba essere riconosciuta come matrimonio», avverte Gandolfini.
E se Mantovano dubita che riproporre come progetto di legge di iniziativa popolare la bozza di testo unico bocciata in Parlamento consentirebbe di superare gli ostacoli procedurali già incontrati nel tentativo di avanzare un’alternativa al progetto Cirinnà, Miriano sottolinea: «L’Europa appare orientata in senso omosessualista, ma riconosce chiaramente la libertà dei singoli paesi di disciplinare certe materie. Proprio per questo penso che l’Italia occupi un posto chiave nello scenario mondiale. In questa generale “sconfitta per l’umanità” come l’ha definita il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, in questa offesa alla natura e alla realtà, in questo sbaglio della mente umana, come dice il Papa, il nostro paese, che sta al centro dell’Europa e anche della cultura occidentale alla cui nascita abbiamo contribuito in modo fondamentale, potrebbe essere decisivo. Essere il fronte ultimo della lotta. Dare inizio a una resistenza del senso della realtà sull’ideologia, al grido di quello che veramente ci muove: la difesa dei diritti dei bambini ad avere un padre maschio e una madre femmina”.


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Sex in Class

Goedele Liekens

Goedele Liekens (nella foto), un’ex reginetta di bellezza, ora sessuologa, del Regno Unito, è stata protagonista di uno special TV dal titolo “Sex in Class”, in cui la si vede impegnata con un gruppo di adolescenti del Lancashire nelloriscrivere la scenografia di un film porno.


Scrive  LifeSiteNews che per realizzare il programma la signora si è recata nelle case e nelle classi per parlare di sesso con genitori, insegnanti e ragazzini. Ne ha quindi scelto 13 (intorno ai 15 anni) dalla scuola Hollins Technology College, attraverso un corso selettivo in cui tra l’altro i ragazzi dovevano realizzare arte ispirata agli organi sessuali femminili.

Lo special TV promuoveva l’idea che l’educazione sessuale, che è già oggetto d’insegnamento curricolare in tutte le scuole del Regno (tranne le elementari e le private, ma è già in corso una riforma per renderla obbligatoria anche in esse), va rivista e aggiornata. I ragazzi non sono ignoranti, ma non sono adeguatamente informati perché imparano molto, ancora, dalla pornografia.
Ci sorge un dubbio: che forse l’educazione sessuale a scuola serve a poco. Magari quella che conta è l’educazione dei ragazzi in casa?
Per esempio, secondo lo special TV, i teenager inglesi non sanno che devono chiedere il consenso del partner (!) perché nei film pornografici ciò non avviene.
Ecco perché nel progetto della Liekens i ragazzi sono invitati a scrivere da capo un copione di un film porno, proprio basato sul principio che il partner deve essere consenziente.
Nota a margine: si sente spesso difendere sesso estremo e perversioni varie con la scusa che “il fatto avviene tra adulti consenzienti”.  Ma siamo sicuri che il consenso sia sempre  in realtà vero consenso? In altre parole, solo perché qualcuno acconsente a qualcosa o permette che accada qualcosa, allora si esclude automaticamente che ci sia all’origine un abuso o una vera e propria violenza. Ma è sempre vero?
 Redazione
DIFENDIAMO I BAMBINI E LA FAMIGLIA DALLA LEGGE CIRINNA’
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Sotto lo stesso tetto.



Fratel Roger e il pensiero teologico. Seminario a Taizé con studiosi da tutto il mondo 
Fratel Roger, fondatore della comunità di Taizé, pur non partecipando ai dibattiti universitari sulla teologia, ebbe amici teologi e sviluppò un pensiero originale che trapela dai suoi scritti, dalla vita della comunità, dagli incontri dei giovani. È su questo che — da lunedì 31 agosto a sabato 5 settembre a Taizé — si confrontano teologi protestanti, ortodossi e cattolici provenienti da tutto il mondo, i quali metteranno in luce «il contributo di fratel Roger al pensiero teologico», tema del seminario internazionale.
Vi partecipano giovani teologi e teologhe che saranno invitati a intervenire nei momenti di discussione che seguiranno le relazioni. Nella prima giornata intervengono: Gottfried Hammann su «Fratel Roger aveva una teologia?», Silvia Scatena con la relazione «Una questione di vita o di morte: ostacoli e prove nella ricerca dell’unità», l’arcivescovo Rowan Williams, già primate della Comunione anglicana, con un ricordo «Su fratel Roger», e il vescovo ortodosso Andrej Ćilerdžić che approfondirà l’impegno per la riconciliazione del fondatore di Taizé. Sarà il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, a chiudere il seminario, sabato 5, con la relazione «La misericordia e il cammino ecumenico di fratel Roger». L’incontro è stato aperto questa mattina dal saluto di benvenuto del priore della comunità di Taizé, del quale pubblichiamo una nostra traduzione in questa pagina.

(Alois Löser) Il seminario di questa settimana è uno degli eventi che segnano il 2015, anno anniversario per Taizé. Ma, come ho detto in diverse occasioni, celebrare un anniversario non significa celebrare il passato. Fratel Roger invitava i fratelli a vivere l’oggi e aveva lo sguardo rivolto al futuro. Noi vorremmo conservare questo spirito.
Porgo il benvenuto a ognuno e a ognuna di voi. Noi fratelli siamo lieti che questa settimana sia dedicata a mettere in evidenza il contributo di fratel Roger al pensiero teologico e a discernere le sue possibili implicazioni.
La riflessione di fratel Roger era piena di temi biblici e ricordo come, mentre ero ancora tra i più giovani fratelli della comunità, ci chiese di mettere la lettura della Parola di Dio al centro degli incontri dei giovani che si moltiplicavano sulla nostra collina. Tra l’altro, in gioventù, aveva anche imparato a conoscere i padri della Chiesa e, fino alla fine della sua vita, ha amato trarre da loro citazioni per ispirare i propri scritti. È stato lui a volere che preparassimo una raccolta di testi patristici, il libretto Soyons l’âme du monde, per invitare i giovani a mettersi all’ascolto di quei testimoni dei primi secoli.
Fratel Roger cercava le parole che potessero far comprendere alle nuove generazioni l’essenziale della fede. Lo faceva soprattutto attraverso le preghiere che scriveva ogni giorno per recitarle nella chiesa durante la celebrazione di mezzogiorno: «Dio amore, tu guardi ogni essere umano con infinita tenerezza e profonda compassione. Gesù Cristo, se tu non fossi risorto, da chi andremmo per scoprire un raggio del volto di Dio? Santo Spirito, che riempi l’universo, tu fai crescere in ognuno di noi una vita di comunione con Dio».
Per quanto riguarda il percorso ecumenico, fratel Roger invitava i cristiani ad andare al di là dello scontro tra le loro visioni diverse. Proponeva a ognuno di amare i doni degli altri cristiani, di accettare dentro di sé il loro pensiero e di imparare ad amarlo. Il significato di tale appello verrà certamente approfondito in questi giorni. Egli ha portato la nostra comunità ad anticipare con la sua vita la riconciliazione dei cristiani, a viverla in anticipo. Oggi ci sembra di poter estendere questo invito a molte altre persone. Ecco perché mi capita spesso di dire: mettiamoci subito sotto lo stesso tetto. Una famiglia abita una casa comune. Se tutti i cristiani formano una stessa famiglia, non è forse la cosa più normale abitare sotto uno stesso tetto, senza attendere che tutti i punti di vista siano pienamente armonizzati?
In questi giorni siamo tutti sotto lo stesso tetto della chiesa della Riconciliazione. Che questa settimana possa allora essere un segno della comunione visibile di tutti coloro che amano Cristo, alla quale aspiriamo profondamente.

Papa Francesco: Preghiere per il creato

1° settembre: Giornata mondiale di preghiera per il creato. La "Preghiera per la nostra terra" e la "Preghiera cristiana con il creato" di Papa Francesco

In occasione, domani, della prima Giornata mondiale di preghiera per il creato, istitutita dal Santo Padre il 6 agosto con una Lettera ai cardinali Peter Kodwo Appiah Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, riproponiamo la "Preghiera per la terra" e la "Preghiera cristiana con il creato", che concludono l'Encilica Laudato si' ...
Preghiera per la Terra
Dio Onnipotente,
che sei presente in tutto l’universo
e nella più piccola delle tue creature,
Tu che circondi con la tua tenerezza
tutto quanto esiste,
riversa in noi la forza del tuo amore
affinché ci prendiamo cura
della vita e della bellezza.
Inondaci di pace, perché viviamo come fratelli e sorelle
senza nuocere a nessuno.
O Dio dei poveri,
aiutaci a riscattare gli abbandonati
e i dimenticati di questa terra
che tanto valgono ai tuoi occhi.
Risana la nostra vita,
affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo,
affinché seminiamo bellezza
e non inquinamento e distruzione.
Tocca i cuori
di quanti cercano solo vantaggi
a spese dei poveri e della terra.
Insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa,
a contemplare con stupore,
a riconoscere che siamo profondamente uniti
con tutte le creature
nel nostro cammino verso la tua luce infinita.
Grazie perché sei con noi tutti i giorni.
Sostienici, per favore, nella nostra lotta
per la giustizia, l’amore e la pace.
Preghiera cristiana per il creato
Ti lodiamo, Padre, con tutte le tue creature,
che sono uscite dalla tua mano potente.
Sono tue, e sono colme della tua presenza
e della tua tenerezza.
Laudato si’!
Figlio di Dio, Gesù,
da te sono state create tutte le cose.
Hai preso forma nel seno materno di Maria,
ti sei fatto parte di questa terra,
e hai guardato questo mondo con occhi umani.
Oggi sei vivo in ogni creatura
con la tua gloria di risorto.
Laudato si’!
Spirito Santo, che con la tua luce
orienti questo mondo verso l’amore del Padre
e accompagni il gemito della creazione,
tu pure vivi nei nostri cuori
per spingerci al bene.
Laudato si’!
Signore Dio, Uno e Trino,
comunità stupenda di amore infinito,
insegnaci a contemplarti
nella bellezza dell’universo,
dove tutto ci parla di te.
Risveglia la nostra lode e la nostra gratitudine
per ogni essere che hai creato.
Donaci la grazia di sentirci intimamente uniti
con tutto ciò che esiste.
Dio d’amore, mostraci il nostro posto in questo mondo
come strumenti del tuo affetto
per tutti gli esseri di questa terra,
perché nemmeno uno di essi è dimenticato da te.
Illumina i padroni del potere e del denaro
perché non cadano nel peccato dell’indifferenza,
amino il bene comune, promuovano i deboli,
e abbiano cura di questo mondo che abitiamo.
I poveri e la terra stanno gridando:
Signore, prendi noi col tuo potere e la tua luce,
per proteggere ogni vita,
per preparare un futuro migliore,
affinché venga il tuo Regno
di giustizia, di pace, di amore e di bellezza.
Laudato si’!
Amen.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 24 maggio, Solennità di Pentecoste, dell’anno 2015, terzo del mio Pontificato.

*

Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato. Messaggio del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE) 
 CCEE 
Si pubblica oggi il messaggio inviato alle Conferenze episcopali d’Europa della Commissione Caritas in Veritate del CCEE - sezione Salvaguardia del Creato - in occasione della Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato (1° settembre 2015).  -- Il Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE), attraverso la sezione "Salvaguardia del Creato" (...) 

Senza una proposta chiara non si raggiunge nessuno

Meeting di Rimini

di Peppino Zola

Caro direttore,
mi sembra interessante il dibattito aperto sulla Bussola dalla lettera di Stefano Fontana, circa il Meeting e CL. In un primo momento, anch’io mi sono detto: “chi sono io per giudicare?” e mi sono limitato a leggere i vari interventi.
Ma poi, considerando che il Movimento di CL è la cosa più cara che ho nella mia vita, che è stata letteralmente cambiata dall’incontro avvenuto 60 anni fa con il servo di Dio don Giussani e con la compagnia che stava nascendo intorno a lui, ho pensato di intervenire  anch’io. E siccome non sono un filosofo, né uno storico, nè un sociologo, mi limiterò, da semplice fedele laico, a comunicare l’esperienza che ho vissuto in tutti questi anni e che sto tuttora vivendo.
1. Innanzi tutto, non si può tacere lo “spettacolo” (quello descritto da don Giussani nel 1994, in occasione del quarantennale) del “popolo” che CL è e che si è ancora manifestato in modo poderoso, ad esempio, il 7 marzo scorso in piazza San Pietro e la scorsa settimana durante il Meeting. Ciò conferma che l’esperienza di CL è costituita, innanzi tutto, da una “comunione” (da cui deriva anche il suo nome), da cui ogni nostro io è chiamato a convertirsi. Recentemente, il Card. Scola ha parlato di un “io in relazione”. Per questo, sento “fratello” e “ sorella” qualsiasi persona coinvolta in questa esperienza, anche se non la conosco personalmente ed anche se può avere specifiche opinioni diverse dalle mie (e ciò allarga potenzialmente la fraternità a tutti). Seguendolo, è Cristo stesso che ci mette in comunione.
2. L’appartenenza a questa comunione non può non spingerci ad annunciare a tutti questa vita nuova. Nel primissimo scritto nato da questa esperienza (allora, G.S.), don Giussani scriveva: «Il richiamo cristiano deve essere deciso come gesto… elementare nella comunicazione… integrale nelle dimensioni….comunitario nella realizzazione». E così commentava il primo punto: «La prima condizione per raggiungere tutti è una iniziativa chiara di fronte a chiunque. Può essere illusione ambiguamente coltivata quella di introdursi nell’ambiente o di proporsi alle persone con una indecisione tale da sminuire il richiamo, nel timore che il suo urto contro la mentalità corrente indisponga gli altri verso di noi, e crei insormontabili incomprensioni e solitudini. Si possono così cercare, magari con ansiosa scaltrezza, accomodamenti e camuffamenti che rischiano troppo facilmente di rappresentare dei compromessi dai quali è poi assai arduo liberarsi» (Il cammino al vero è un’esperienza, pag.5). Sono parole che mi sono rimaste infisse nella mente e nel cuore fino ad ora, anche se le ho sentite per la prima volta 56 anni fa. E cerco, indegnamente, di essere loro fedele.
3. Questa “vita nuova” si esprime e si rende visibile attraverso tre dimensioni: cultura, carità e missione, a proposito delle quali, in quello stesso documento a pag. 12, si legge: «Affinché un gesto sia completo occorre  che abbia tutte le sue dimensioni fondamentali: quelle che definiscono con precisione e fedeltà il suo volto vero. Oscurare o trascurare qualcuna delle dimensioni che il gesto deve avere come sua natura e suo destino, sarebbe fare di quel suo volto una maschera, cioè una illusione se non una menzogna. L’integralità delle dimensioni in un gesto… è un questione addirittura di vita o di morte per il gesto stesso; poiché senza l’impostazione almeno implicita di tutte le sue fondamentali dimensioni, il gesto non è povero, ma addirittura manca di verità, è contradditorio alla sua natura, è ingiusto». Anche questa notazione costituisce un aspetto fondamentale e imprescindibile della mia esperienza in CL.
4. La mia esperienza mi suggerisce quest’ultima osservazione. Talvolta, nel mondo cattolico viene adombrata una sorta di contrapposizione tra “appartenenza” e “dialogo”, quasi che la prima sia di ostacolo al secondo. L’esperienza che don Giussani ci ha fatto vivere, come al solito in grande unità, ha eliminato di schianto questa supposta preoccupazione. Noi siamo stati mandati nel mondo proprio in forza di una certezza e di una appartenenza, come accadde ai primi apostoli. Non a caso oggi CL è presente in circa 80 Paesi del  mondo (e la Chiesa è presente il tutto il mondo). Ciò è frutto di una apertura provocata (e mai impedita) dalla certezza che Cristo è al centro del “cosmo e della storia” e che la Sua presenza è assicurata da quella comunità che si chiama Chiesa.

Venendo al tema del Meeting sulla “mancanza”, noi cristiani non dobbiamo mai dimenticare di proclamare senza mediazioni e troppi riguardi che essa è stata riempita dall’esperienza di Cristo. È questa esperienza e certezza di Cristo che ci apre al dialogo fraterno con tutti. Solo con Cristo il dialogo è benevolo e aperto e mai inutile, se non disperato. Fin dall’inizio sono stato educato in questa direzione. 
A questa integralità dobbiamo essere tutti fedeli, sostenendoci e richiamandoci sempre ad essa, in un cammino fatto di inevitabili debolezze e di passi maldestri, ma anche di grandi certezze.   

Lunedì della XXII settimana del Tempo Ordinario




Il punto di partenza è l'esperienza della fede come realtà.
Il cristianesimo è presenza, il qui ed ora del Signore,
che ci sospinge nel qui ed ora della fede e della vita di fede.
E così diventa chiara la vera alternativa:
il cristianesimo non è teoria, né moralismo, né ritualismo,
bensì avvenimento, incontro con una presenza,
con un Dio che è entrato nella storia e che continuamente vi entra.
Il cristianesimo è avvenimento;
il cristianesimo è incontro con la persona di Gesù Cristo.

Card. Joseph Ratzinger

*

Dal Vangelo secondo Luca 4,16-30. 
In quel tempo, Gesù si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. 
Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto: 
Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, 
e predicare un anno di grazia del Signore. 
Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. 
Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi». 
Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è il figlio di Giuseppe?». 
Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua patria!». 
Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro». 
All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. 
Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò. 

*

Anche oggi, in questo lunedì che segna per molti il ritorno al lavoro dopo le vacanze estive, "secondo il suo solito" Gesù si reca alla sinagoga – immagine della tua vita - come duemila anni fa a Nazaret; ma, come fu quel giorno, oggi è diverso dal solito. Vi è un momento, infatti, in cui la stessa routine accoglie una novità imprevista che la trasforma in uno scrigno colmo di Grazie inaspettate. Perché l'istante nel quale risuona l'annuncio del Vangelo trasforma quel giorno nel Sabato delle nozze, giorno di festa e felicità. Che meraviglia, mentre il mondo sfila triste verso i posti di lavoro quasi fosse deportato in un campo di sterminio, per noi oggi è il giorno più bello che ci sia, l'"oggi" che inaugura “l’anno di Grazia del Signore”, il Giubileo nel quale sperimentare il compimento dell'amore del Padre che Gesù depone nelle nostre ore. Allora, tornare al lavoro non è una condanna a morte... Come non lo è il ritmo trafelato dei nostri giorni. Fatica certo, e debolezze e peccati, che però non sono che la buccia del frutto delizioso che è quest'oggi nel quale il Signore viene a dare compimento al nostro desiderio di essere amati e di amare. Oggi, infatti, con il suo annuncio,  ci prende così come siamo, “poveri, ciechi, prigionieri e oppressi” per liberarci e farci cittadini del Cielo. Viene attraverso la Chiesa, con la Parola e i sacramenti, per farci suoi "compatrioti". La vera Patria di Gesù, infatti, non è la Nazaret geografica e i "suoi" non sono quelli che vi sono nati: loro lo hanno rifiutato, come accade a noi quando ascoltiamo le menzogne con cui il demonio ci convince che nessun medico può guarirci. La Patria di Gesù è la Croce dischiusa sulla resurrezione, e i suoi compatrioti sono i peccatori che accolgono il suo amore. Per loro si è fatto peccato, con loro ha condiviso il destino di morte per trasformarlo in pienezza di vita. E' il mistero celato in Gesù di Nazaret, il Messia sofferente, il Servo di Yahwè che ci visita nella carne di chi ci è accanto, negli eventi tristi e difficili che ci attendono. Ecco perché due pagani, la vedova di Zarepta e Naaman il Siro, hanno riconosciuto e accolto Dio nei suoi profeti; l'indigenza e l’umiliazione, infatti, ne avevano purificato il cuore. Fratelli, oggi potrà vedere e accogliere il Signore che si fa carne nella storia solo chi ha gli occhi purificati nel crogiuolo dell’umiliazione. Coraggio allora, perché proprio per il nostro cuore "vedovo e lebbroso" a causa dei peccati è preparato quest'oggi nel quale distogliere lo sguardo da noi stessi per ascoltare Gesù e fissare gli occhi su di Lui che ci accoglie nella sua intimità, un frammento di Paradiso da vivere in ogni oggi che ci è dato sulla terra.