mercoledì 26 agosto 2015

Avventurieri dell’eterno

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di Costanza Miriano
L’ultimo di Antonio Socci è stato il libro dell’estate per me. A dir la verità il primo motivo è che è stata una stagione piuttosto impegnativa dal punto di vista sanitario familiare, e i miei tempi per la lettura si sono decisamente ridotti (misurabili in numeri di righe al giorno, per intenderci), e quindi Avventurieri dell’eterno è stato portato a prendere aria, intonso, al mare, in Umbria, in montagna. Deve averne tratto giovamento, comunque, perché quando alla fine sono riuscita a tuffarmici l’ho trovato animato di quella ricerca di Dio, di quel desiderio infinito, di quella nostalgia del di più che fa battere anche il mio cuore.
Il libro si apre con la storia di una bella attrice tedesca, che nella sua ricerca di infinito a un certo punto ha fatto l’esperienza dell’inferno, e ha visto anche il demonio, cosa che, comprensibilmente, le ha cambiato la vita. Questi racconti mi spaventano, lo ammetto, e in genere sono anche un po’ diffidente: credo che su molte delle cose che vengono raccontate come soprannaturali si debba fare un bel po’ di tara, ma d’altra parte non si può neanche fare l’errore opposto, di limitare l’iniziativa di Dio, nel caso voglia aprire a qualcuno qualche spiraglio sul preternaturale, perché quella realtà esiste, è vera, più vera della nostra che ci sembra così certa (perché quella è eterna…).
Gli avventurieri dell’eterno però non sono solo quelli a cui è dato di farne esperienza diretta, per una misteriosa volontà divina, bensì tutti quelli che lo desiderano, questo infinito, che vogliono assaporare cose che sappiano di eterno. E così tra i desideranti – letteralmente, quelli che soffrono la mancanza delle stelle – Socci ci porta per mano a conoscere Leopardi, la sua ricerca, il suo desiderio, il dolore di una fede non pacificata, perché come dice Chesterton “il cielo fu il primo amore dell’uomo, e la terra è solo un sostituto”. Che poi per inciso questa è una delle cose per cui amo più quelli di formazione ciellina, cioè per la loro capacità di cercare tracce di Dio, o dell’uomo alla ricerca di Dio, in ogni persona, in ogni esperienza culturale: qui c’è Anais Nin, Cioran, Van Gogh, Camus, Chuck Palahniuk, e poi c’è Omero e Pavese e George Steiner e Kerouac. Kafka in questa ottica ha quasi la statura del profeta, di un uomo dalla sensibilità e dalla sete smisurata. E, certo, Sant’Agostino, ma raccontato in un modo che ce lo rende vicino e umanissimo, il padre della Chiesa, il grande santo che qui riacquista il suo volto di mendicante di grazia.riJRBgOTOUrT_s4
Il quarto capitolo contiene la risposta, e comincia con le parole di Giovanni Paolo II: “in realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita…” Il volto di Gesù, che cerchiamo, e che il mistero della Sindone evoca – c’è un capitolo ricco di notizie che non avevo mai letto – lo vediamo nei suoi figli che cercano di somigliargli, come padre Martin Martìnez Pascual (che sorpresa vedermi citata nella nota!: noi in realtà avevamo solo seguito le tracce di don  Pablo Dominguez  del bellissimo film L’ultima Cima, e ne avevamo raccontato nel blog), la cui storia merita da sola il libro e nelle straordinarie figure di altri sacerdoti.
“Tu sei infinita nel desiderio come Io sono infinito nell’Atto” dice Dio a Santa Caterina. Ogni nostro desiderio è per noi, perché il nostro cuore si spalanchi un po’ di più, perché dalle sue aperture, dalle sue ferite anche, passi ancora un po’ di Dio, nell’attesa che tutti i nostri desideri, in Lui, vengano compiuti. Allora – scrive Socci – “nulla andrà perduto e coloro che abbiamo amato e ogni istante di gioia e di bellezza della vita terrena, tutto ci sarà restituito per sempre”.