lunedì 28 settembre 2015

Il mistero della luna



Giovanni Battista Montini nella storia del Novecento. 

La conferenza. Presentiamo stralci della relazione su Giovanni Battista Montini nella storia del Novecento, appena pubblicata dal notiziario dell’Istituto Paolo VI. La relazione è stata tenuta dal cardinale Dionigi Tettamanzi il 22 novembre scorso al convegno del Rotary Internazionale Distretto 2050, presso il centro studi Paolo VI di Concesio.
(Dionigi Tettamanzi) Chiesa quid dicis de te ipsa? È questo il grande interrogativo che si è posto e al quale ha dato risposta il concilio Vaticano II. Per la verità è lo stesso interrogativo-risposta d’ogni nostro giorno. Si fanno qui doverosi alcuni dati che rimandano all’arcivescovo Montini nel periodo di preparazione e d’inizio delle sessioni del Concilio. Egli si è impegnato a orientarne i lavori incentrandoli nell’ecclesiologia come punto architettonico globale e unitario delle molteplici discussioni che si sono aperte e sono susseguite in rapporto ai più diversi elementi dottrinali e ai più vari problemi pratici della Chiesa nel mondo attuale. Divenuto Pontefice Montini ha continuato a seguire questa stessa linea, come dimostrano in particolare la sua prima enciclica Ecclesiam Suam e poi la presentazione che del mistero della Chiesa egli ha fatto in modo sistematico nelle «catechesi del mercoledì» dedicate ai documenti del Concilio e in particolare alla Costituzione specificamente interessata all’interrogativo-risposta.
Personalmente mi sento sempre attratto delle parole iniziali di questo documento: «Essendo Cristo la luce delle genti, questo Santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, ardentemente desidera con la luce di Lui splendente sul volto della Chiesa, illuminare tutti gli uomini annunziando il Vangelo ad ogni creatura (cfr Marco, 16, 15). E siccome la Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti concili intende con maggior chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la sua natura e la sua missione universale» (Lumen gentium, 1).
Mi pare importante rilevare l’aggettivazione che alla Chiesa viene data nel titolo iniziale dell’enciclica Ecclesiam Suam. Il Suam si riferisce a Cristo, affermando così l’essenziale “relatività” della Chiesa nei riguardi del suo Signore. In questo si ritrova e si fa evidente il rapporto inscindibile tra Cristo e la Chiesa, tra la Chiesa e Cristo, quale si esprime nei diversi elementi che compongono il volto unitario della Chiesa: questa è la sposa di Cristo, è il corpo del Signore, è il sacramento di Gesù salvatore. 
In tutto questo è visibilissima la traccia di sant’Ambrogio circa l’identità della Chiesa in quanto mysterium lunae, come appare dalla sua famosa opera sui giorni della creazione, l’Exameron: «Questa è la vera luna, che dalla luce perenne di suo fratello (il sole) deriva il lume dell’immortalità e della grazia. La Chiesa rifulge non della propria luce, ma di quella di Cristo e prende il proprio splendore dal Sole di giustizia (...) Veramente beata sei tu, o luna, che hai meritato una significazione tanto ammirevole! Perciò io mi avventuro a dirti beata, ma non per i suoi noviluni, bensì perché sei singolo della Chiesa; in quelli sei serva, in questo sei l’oggetto di amore» (IV, 32).
La prospettiva cristocentrica della Chiesa spinge Montini-Paolo VI a illustrare i vari lineamenti che disegnano il volto luminoso della Chiesa sottolineando sempre come tipico l’aspetto misterico, che è fonte e alimento di quella spiritualità che si compendia nell’amore alla Chiesa: un amore che è di Cristo e che da Cristo viene partecipato al cristiano, ai membri della Chiesa, sia singoli sia insieme.
Non è esagerato dire che i testi montiniani sulla Chiesa sono un costante e crescente appello ad amare la Chiesa, ad amarla in tutti i suoi aspetti, anche nei suoi difetti. Un esempio, tra i tantissimi, è l’omelia ai fedeli della parrocchia di San Luigi Grignion de Montfort il 7 marzo 1971: «Della Chiesa, di solito, noi vediamo l’aspetto umano (...). La Chiesa è Cristo presente, vivente nella storia. Più che curarci dei suoi difetti visibili, dobbiamo cercare di penetrare nella sua realtà, di vederla trasfigurata, di vedere la sua luce che è splendente come il sole e candida come la neve. Amate la Chiesa, anche per i suoi difetti, che sono i bisogni che la Chiesa ha. Ma soprattutto amatela perché davvero nasconde Cristo e dà Cristo (...). Ed è per questo che io sono, come Santa Caterina, folle d’amore per la Chiesa».
Dalla cristologia all’ecclesiologia e poi dall’una e dall’altra all’antropologia. Su quest’ultima sostiamo ora nel nostro percorso sulla spiritualità di Montini-Paolo VI: un percorso che può essere espresso in modo semplice con il termine di «cuore»: un termine che ricorre innumerevoli volte nel magistero di Paolo VI e che è da lui inteso in senso biblico e teologico e dunque come «cuore nuovo», cuore che è dono e frutto dello Spirito di Cristo. 
Riserviamo una specifica attenzione all’uomo: all’uomo come soggetto del suo vissuto nel mondo, presente e attivo nella società umana, nelle più diverse realtà terrene e temporali, oggi diremmo in specie nelle periferie geografico-spaziali ed esistenziali. Un ambito, questo, nel quale deve esprimersi un autentico cordoglio, che deve sfociare in una partecipazione responsabile nel segno della verità e della giustizia, della solidarietà e della fraternità. È in questo modo che si entra nel vastissimo e impegnativo campo della dottrina sociale della Chiesa nell’intento di tutti includere e di nessuno escludere in chiave di umanità. Mi si fa spontaneo e immediato riprendere il linguaggio di Papa Francesco sulla cultura dello scarto, che priva l’uomo della sua dignità personale. 
Possiamo allora riprendere e riproporre qualche telegrafico accenno circa l’azione e la spiritualità di Montini-Paolo VI, a cominciare dal dato fondamentale che l’amore a Cristo e alla Chiesa non è possibile se non intimamente congiunto con l’amore all’uomo, alla sua dignità, alle sue responsabilità, alla condivisione dei numerosi e complessi problemi della vita propria e altrui: nel mondo appunto, in un mondo sempre più globalizzato e travagliato. 
E se in precedenza ho voluto fare un cenno alla Costituzione in un certo senso centrale del Concilio, la Lumen gentium, ora nell’ambito del cuore sociale il cenno riguarda un altro testo conciliare: la Gaudium et spes, il documento che definisce l’uomo e ne delinea il compito da svolgere nel mondo. Rileggiamo un testo prezioso al riguardo: «È l’uomo, dunque, ma l’uomo singolo e integrale, nell’unità di corpo e anima, di cuore e coscienza, di intelletto e volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione. Pertanto il santo Sinodo, proclamando la grandezza somma della vocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germe divino, offre all’umanità, la cooperazione sincera della Chiesa, al fine di stabilire quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione. La Chiesa non è mossa da alcuna ambizione terrena; essa mira a questo solo: a continuare sotto la guida dello Spirito Paraclito, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito» (Gaudium et spes, 3).
Di qui gli interventi di straordinaria incisività di Paolo VI circa il rapporto d’amore e di comunione, di servizio e di aiuto della Chiesa nei confronti del mondo: certo così com’è nell’epoca e nel clima della modernità, ma sempre in vista di un grande e responsabile rispetto della «vocazione e missione» propria dell’uomo nel mondo. 
Quest’amore vero all’uomo e al mondo è quanto mai presente e in modo profondamente intelligente e appassionato nel “cuore” di Montini-Paolo VI, che giustamente possiamo qualificare come “cuore sociale”. 
Si dovrebbe aprire qui una carrellata di interventi che testimoniano la presenza singolarmente vasta e determinante del pontificato di Montini nella storia non solo ecclesiale, ma anche civile, politica, culturale del secolo da poco passato. Si tratta di una presenza che trova ampia e significativa documentazione in molteplici direzioni: nella pazienza e tenacia di Paolo VI nel condurre a termine il Concilio e, soprattutto, nell’accompagnare con saggezza e coraggio i fermenti e gli sviluppi del post-concilio; nei viaggi, fino a quel momento impensabili, così impegnativi; nella spiccata coscienza ecumenica; nella lettura — mai banale e liquidatoria — della contestazione giovanile; nell’infaticabile e grandioso magistero per la pace — che comportò spesso anche un’indefessa azione diplomatica personale del Papa — nell’atteggiamento fermo sui valori, soprattutto quelli legati alla difesa e alla promozione della vita umana; nella continua disponibilità al dialogo e alla trattativa, di fronte alle crisi che a più riprese investivano in quegli anni il corpo ecclesiale; nella sensibilità sociale, a livello planetario; nella compartecipazione affettuosa ai drammi e alle sofferenze dei poveri.
Se è lecito fare una veloce incursione su altri aspetti del “magistero sociale” di Paolo VI, vorrei ricordare la concezione della politica come forma alta di carità, come servizio alla comunità. Montini ci invita poi a non rassegnarci a essere «naufraghi condannati al naufragio», ma a tornare a ideali grandi e superiori, riconoscendo che la radice dei gravi squilibri mondiali è morale e spirituale e che è urgente instaurare «dialoghi di civiltà». 
È necessario ricordare qui vari documenti di magistero sociale, in particolare l’enciclica Populorum progressio, del 1967, con i suoi spunti di attualità nel contesto della depressione economica mondiale in cui ci troviamo, quando afferma che lo sviluppo, per essere autentico, non può ridursi alla crescita economica, ma deve essere integrale, ossia volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. È lo stesso principio riproposto e rilanciato da Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate del 2009.
Questi e altri aspetti del pontificato di Paolo VI — come le linee portanti della sua precedente esperienza episcopale e, ancora prima, del suo ministero in Segreteria di Stato e con i giovani universitari — altro non sono che coerenti derivazioni di quella centralità e profondità del «cuore», del cuore che abbiamo chiamato «sociale».
È questa tutta una storia che domanda di essere conosciuta, non dimenticata, perché capace di offrire spunti nuovi per l’azione sociale, politica, culturale nel contesto del nostro tempo. E ciò nell’interesse di tutti: credenti e non credenti, perché — come scrive il Concilio — la Chiesa «cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena, ed è come il fermento e quasi l’anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio» (Gaudium et spes, 40). 
È importante a questo punto rilevare il fatto che l’amore e il servizio all’uomo, nella concretezza faticosa e talvolta drammatica del cammino quotidiano, non sono — nel pensiero e nel vissuto — a margine della spiritualità, ma ne costituiscono un’espressione necessaria e originale. Possiamo così comprendere perché la vera garanzia offerta da Paolo VI al mondo non sia quella dei risultati terreni più o meno positivi, ma più in profondità sia quella di una coerenza personale interiore, più precisamente di una coerenza tra quanto egli andava chiedendo alla Chiesa e ai cattolici e quanto esigeva da se stesso per corrispondere — lui per primo — al disegno di Dio circa il rapporto tra l’uomo moderno e il suo Creatore e Padre.
Nel contesto della spiritualità si può cogliere l’importanza e l’urgenza di un altro aspetto dell’evangelizzazione che può sembrare sorprendente: sì, anche o proprio nelle difficoltà e negli insuccessi il Signore dona al credente forza e coraggio, assicurandogli persino una particolare gioia: quella gioia alla quale Papa Montini ha dedicato l’esortazione apostolica Gaudete in Domino (9 maggio 1975). È una gioia che può e deve essere ridestata e stimolata, soprattutto nelle non poche situazioni pastorali e sociali in cui la speranza sembra destinata inevitabilmente ad affievolirsi o a spegnersi.
Lo stesso Paolo VI era ben consapevole del peso schiacciante di queste delicate situazioni. In un colloquio con l’amico Jean Guitton, ricordando di essere stato battezzato il 30 settembre 1897, giorno della morte di santa Teresa del Bambino Gesù, si rifaceva a un episodio della Storia di un’anima in cui la santa, avendo ascoltato, durante un pellegrinaggio a Roma, alcuni sacerdoti predicare in maniera molto mediocre, si era proposta di compensare le deficienze degli altri con un ulteriore impegno, ponendosi non alla periferia, ma al centro dell'amore: In corde Ecclesiae ego amor ero et ita ero omnia («Nel cuore della Chiesa io sarò l'amore e così sarò tutto»).
In tal senso il cuore di Montini-Paolo VI ci si presenta, anche e non ultimo, come un cuore coraggioso e gioioso. C’è qui un “segreto” che Montini svela facendo luce sul vero cuore che è in questione in tutte quante le più varie vicende umane sia personali che sociali: è il cuore stesso di Cristo. In pienezza di fede l’arcivescovo così proclama: «Un cuore vivo, sanguinante e vivificante, palpita nell’umanità. È quel cuore che davvero ha amato il mondo (...); è il cuore umano di Cristo che pulsa di amore divino» (Angelus, 4 giugno 1972).
E così ci ritroviamo di nuovo al centro della fede: «Cristo è tutto per noi». Non c’è scossa più forte, non c’è desiderio più vibrante e infuocato, non c’è responsabilità più obbligante per la Chiesa, che ama e serve l’uomo e il mondo, della certezza che la fede ci dona.
Mi viene spontaneo concludere riascoltando con venerazione alcune preziosissime parole del suo Pensiero alla morte: «E alla Chiesa, a cui tutto devo e che fu mia, che dirò? Le benedizioni di Dio siano sopra di te; abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell’umanità; e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo. Amen. Il Signore viene. Amen».

L'Osservatore Romano