venerdì 23 ottobre 2015

Il Sinodo ha un problema di coscienza

Sinodo
Il Sinodo ha un problema di coscienza
di Lorenzo Bertocchi

Oggi pomeriggio, finalmente, i padri sinodali voteranno paragrafo per paragrafo il documento finale di questa assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi. Voteranno un testo che in certo qual modo raccoglie un percorso molto lungo, di circa due anni. Chissà se potranno, o vorranno, concedersi un brindisi? A quel punto a chi brinderanno: al Papa, o alla coscienza?
Il beato J.H. Newman, avrebbe optato per la coscienza.“Se fossi obbligato”, scrive in un celebre passo, “a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla coscienza, poi al Papa». 
A quanto apprende La Bussola la vera partita al Sinodo,se così si può dire, si gioca, infatti, sulla “coscienza”. Come ha detto lo stesso portavoce vaticano padre Lombardi al briefing con la stampa di ieri, molti dei 51 interventi svolti in aula venerdì mattina per chiedere ulteriori modifiche al testo della Relatio finale, vertevano proprio sul delicato “rapporto tra coscienza e legge morale”. Il perché va cercato in quel passaggio della terza relatio del circolo Germanicus che, per quanto riguarda i divorziati risposati e la loro ammissione ai sacramenti, faceva riferimento al cosiddetto “forum internum”, cioè alla coscienza messa in rapporto al confessore o al direttore spirituale, come via per il discernimento “caso per caso”. Un percorso che non collima affatto con quanto hanno messo nero su bianco altri circoli minori, specialmente gli Anglicus, che vorrebbero mettere nel documento finale tutto il testo dell’articolo n°84 dell’esortazione apostolicaFamiliaris consortio, e non solo una prima parte come hanno fatto i padri di lingua tedesca. 
In che senso si pone un “problema di coscienza” era già stato ben spiegato da un gruppo di teologi e filosofi morali di livello internazionale a proposito del discusso articolo 137 dell’Instrumentum laborisLa Bussola ne aveva dato notizia e invitiamo i lettori ad approfondire quel contributo (vedi QUI) per comprendere meglio la posta in palio.
Tanti padri sinodali continuano a dire che, dopo due anni di cammino, non si può ripetere quanto è già stato detto. Però, a quanto ci risulta, negli interventi di ieri rispetto alle modifiche sul “rapporto tra coscienza e legge morale” c’era un certo accordo e la Commissione dovrebbe tenerne conto, aspettiamo quindi la versione definitiva del documento e il voto finale. Questo potrebbe effettivamente chiudere ogni discussione in merito e permettere di accompagnare veramente le persone e le coppie “ferite” senza alcuna ambiguità.
Secondo Ratzinger, in un celebre commento al passo citato del beato Newman, tutti i padri potrebbero brindare insieme: «La libertà di coscienza – così ci insegnava Newman – non si identifica affatto col diritto di “dispensarsi dalla coscienza, di ignorare il Legislatore e il Giudice, e di essere indipendenti da doveri invisibili». Il primato del Papa, infatti, e quindi la forza vincolante del suo Magistero (quando è tale) nasce proprio dal fatto di essere il faro di quella legge che deve guidare la coscienza, perché essa non sia meramente sincera, ma vera.
Secondo altre fonti è molto probabile che il “problema di coscienza” del Sinodo non si risolva affatto nel documento finale, ma passi direttamente nelle mani del Santo Padre che dovrà decidere cosa fare. Sono sempre abbastanza insistenti le voci che parlano della istituzione di una commissione incaricata di studiare il caso ancora più a fondo.
Comunque è chiaro che con il testo finale del Sinodo la dottrina non cambierà, questo lo dovranno capire soprattutto coloro che per circa due anni hanno fatto da gran cassa al “nuovo”. Negli ultimi giorni c’è stato anche un incredibile montare di complottismo facile, quasi sempre facendo di tutta l’erba un fascio. Qualcuno, mons. Fernandez, vescovo rettore dell’Università Cattolica di Buenos Aires, padre sinodale, si è spinto perfino su toni apocalittici; altri, come il direttore della Civiltà Cattolica, hanno twittato contro ignoti: “Ormai non sanno più che dire, sono alla frutta! Dopo tutte le menzogne varie si inventano pure le malattie!”. Il riferimento era alla triste vicenda giornalistica della presunta malattia del Papa, ma spesso si è messo insieme anche il coming out di mons. Charamsa. Tutto ben frullato con la lettera dei 13 cardinali, tutti, come ha detto il cardinale Kasper, impegnati a bloccare il Sinodo. Un'interpretazione fuori contesto e assolutamente gratuita. Chissà a cosa erano impegnati, allora, quei cardinali che in giro per il mondo, regnante Benedetto XVI, dicevano “tra un anno il papa muore”, mentre il cameriere gli fotocopiava i documenti dal tavolo di lavoro. 
Quello che conta è che oggi avremo il documento finale. Non è ancora chiaro se sarà reso pubblico, ma è verosimile che il Papa decida in tal senso, mettendo anche quei paragrafi che eventualmente non raggiungano i due terzi dei voti. In tutti i casi, almeno per il duro lavoro di questi giorni, speriamo davvero che i padri un brindisi se lo concedano.
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La Chiesa non nasce dal basso
di Stefano Fontana

Il riferimento al sensus fidei è emerso di frequente durante il lungo percorso di questo Sinodo sulla Famiglia. E’ emerso nelle richieste di “ascoltare” le varie situazioni della vita in ordine ai temi in discussione. E’ emerso dalle risposte ai questionari diffusi nelle diocesi e non sempre impostati in modo corretto. E’ emerso dalle raccolte di firme a proposito di questa o di quest’altra richiesta. Si ha però l’impressione che non sempre sia stato adoperato nel senso teologicamente corretto. 
Quella del “senso della fede” o, meglio “senso soprannaturale della fede”,  propria di “tutti i fedeli” e che non può errare è una nozione teologica di grande importanza. Il Catechismo della Chiesa cattolica la definisce più volte. I paragrafi 91, 92 e 93 dicono, tra l’altro che «La totalità dei fedeli non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa proprietà mediante il senso soprannaturale della fede in tutto il popolo quando, dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici esprime l’universale suo consenso in materia di fede e di costumi». I paragrafi 785 e 889 ne ribadiscono il contenuto di inerranza e il paragrafo 250 afferma che i Primi concili definirono le verità della fede cattolica «aiutati dalla ricerca teologica dei Padri della Chiesa e sostenuti dal senso della fede del popolo cristiano». Il Concilio ne aveva parlato nel paragrafo 10 e 12 della Lumen gentium. 
L’argomento è di quelli “sottili”, che è facile intendere malamente se si dimentica che qui si parla della fede come virtù teologale soprannaturale, se si intendono i fedeli come singoli individui e non come membra del Corpo di Cristo, se lo si associa ad una visione sociologica del “popolo di Dio” e se si identificano i fedeli con le persone numericamente esigue che partecipano attivamente alle attività ecclesiali e frequentano abitualmente le curie e gli uffici pastorali. Se chiedessimo il parere ai presidenti di tutti i consigli pastorali della Chiesa italiana circa la comunione ai divorziati risposati o sulla liceità morale dei metodi contraccettivi non otterremmo granché che abbia un qualche collegamento con il sensus fidei. 
L’Istruzione Donum veritatis della Congregazione per la Dottrina della fede del 24 maggio 1990 dice che «le opinioni dei fedeli non possono essere puramente e semplicemente identificate con il sensus fidei. Quest’ultimo è una proprietà della fede teologale la quale, essendo un dono di Dio che fa aderire personalmente alla Verità, non può ingannarsi. Questa fede personale è anche fede della Chiesa, poiché Dio ha affidato alla Chiesa la custodia della parola e, di conseguenza, ciò che il fedele crede è ciò che crede la Chiesa. Il sensus fideiimplica pertanto, di sua natura, l’accordo profondo dello spirito e del cuore con la Chiesa, ilsentire cum Ecclesia». 
In parole più semplici, il sensus fidei non ha niente a che vedere con le inchieste, i questionari, le interviste, le indagini sociologiche, le rilevazioni statistiche su come la pensano i fedeli della Chiesa cattolica su questo o quest’altro tema teologico o di costume. Tra l’altro sarebbe piuttosto difficile identificarli, dato che la fede di cui si cerca il senso è un dono soprannaturale che di solito i fedeli non hanno stampato sulla fronte. I primi Concili ecumenici, le cui conclusioni, come dice il Catechismo, sono state sostenute «dal senso della fede del popolo cristiano», non avevano fatto ricerche demoscopiche sulle opinioni dei fedeli cattolici, né lo hanno fatto i Pontefici proclamando lungo la storia i vari dogmi della nostra fede, espressione di quanto la Chiesa aveva da sempre creduto e, quindi, anche del sensus fidei. 
L’appello al sensus fidei di solito si accompagna all’idea di una Chiesa “dal basso”.Dal basso o dall’alto sono espressioni anche queste sociologiche. Una cosa mi sembra sicura, che la Chiesa è stata costituita da Gesù Cristo ed è animata dal Suo spirito secondo la volontà del Padre. Non sono i fedeli a fare la Chiesa, piuttosto è la Chiesa a fare i fedeli. Prima c’è la Chiesa e poi i fedeli: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi, e vi ho costituiti». La Chiesa non nasce dall’assemblaggio di elementi di base ad essa preesistenti. Quando si pensa a questo, si corre sempre il pericolo di pensare che la rivelazione di Dio passi prima di tutto nel “popolo” oppure nei “poveri”, oppure negli “ultimi” intesi però in una accezione sociologica. Se non dentro la Chiesa e per la Chiesa tutte queste categorie non hanno significato teologico ma solo materiale, un puro fatto empirico, altro che sensus fidei. 
Si capisce che collegato con questo discorso è la tendenza ormai diventata una specie di dogma, di partire sempre non dalla parola di Dio, ma dalla situazione, come in una perpetua inchiesta “dal basso”. La priorità assegnata alle scienze sociali ci sta portando fuori strada. Sarebbe ora di rivedere questo metodo “induttivo” ormai pedissequamente seguito. Se non illuminato dalla luce di Cristo ogni fatto empirico è solo un fatto empirico.