venerdì 23 ottobre 2015

La pecora numero 100

12-Pecorella-smarrita
di Salvatrice Mancuso
Non mi improvviso esegeta dei brani del Vangelo, non ne avrei né i titoli, né gli strumenti, ma mi sento destinataria della Parola di Dio. E quindi? Quindi capita che alcune pagine,  alcune frasi delle Sacre Scritture o di opere di Santi, ti prendono di mira con più insistenza, colpiscono perfettamente il bersaglio, e tu ne rimani “vittima”, in balia del loro suono. Fanno eco dentro di te, ti accompagnano nella vita ordinaria, le ripensi, le rileggi e cerchi di capire cosa vogliono. Queste parole ti chiedono di essere “animate”, di viverti accanto, mentre lavori o cammini per strada, quando stai per addormentarti o ti svegli.  Una volta che ti sono entrate in circolo, improvvisandoti artista, hai la tentazione di farne la “cover”,  come di un vecchio successo musicale. Il racconto in questione è una parabola riportata due volte nel Vangelo, “in stereofonia”,  da Matteo  (18,12-14) e da Luca  (15,4-7).: la parabola della pecorella smarrita, la pecorella numero cento, secondo la rivisitazione che ho immaginato.  Sono dei passi brevi, con lievi o forse sostanziali differenze nel messaggio finale delle due versioni,  ma che mi colpiscono per una bellezza che ti lascia quasi in apnea. Bellezza e tenerezza senza uguali, per cui  una mamma potrebbe adottare questa pagina come racconto della buona notte. I protagonisti sono il pastore, novantanove  pecore + la centesima pecora. Ma gli obiettivi sono puntati su loro due: il pastore e la pecorella, il cui ruolo è quello di smarrirsi e di fare decadere, da sola,  la rotondità aritmetica del gregge. Questo binomio, pastore e pecora, ha un potenziale simbolico elevatissimo e riporta allegoricamente ai tanti items della fede cristiana. E’ all’origine anche di un termine – pastorale – oggi così trendy, quasi nazional-popolare, attorno al quale  si svolge una brulicante attività. I fotogrammi del racconto si susseguono formidabili, e lasciano il lettore/ascoltatore/spettatore  rapito. L’azione si svolge in luogo difficile, il deserto (Luca)  o, alternativamente, sui monti (Matteo) . Saremo alla fine della giornata lavorativa o di notte, e ci aspettiamo un’escursione termica. Il coraggio e la determinazione del pastore sono pari solo alla piccolezza di questa misera creaturina che è una pecora, e in più smarrita. Si sarà per un attimo estraniata perdendo, di conseguenza,  il contatto con il gregge di riferimento con cui è abituata a spostarsi, avrà subito  un disorientamento spaziale e forse anche temporale..il racconto non sembra attribuirle particolari responsabilità. La pecora non viene descritta come  in preda a ribellioni o a deliri di onnipotenza: è insomma caduta in disgrazia e il suo destino fuori dal gregge sembra segnato.  Ma altrove c’è un ovile ben protetto, dove un folto gruppo di pecore rimane in sicurezza, al calore, e nessuna delle novantanove soffre di solitudine. Il contrapporsi di queste due immagini, la pecora da sola nel deserto, e le compagne insieme “a casa” al sicuro,  è struggente, e sembra avere ispirato Dickens a descrivere le dolorose sere di Natale di chi rimane senza cenone, mentre le case si illuminano e si riempiono di famiglie al completo.  Il pastore, tenace e speranzoso, trova la sua pecora e, con modi dolcissimi e delicatissimi, la stringe a se  e, per metterla definitivamente al sicuro, la conduce in spalla, come tanti papà fanno con i loro figli, quando li portano a cavalcioni per non farli scorazzare, divertendoli nello stesso tempo.
La narrazione termina con le conclusioni che Gesù specifica con nettezza: in Luca, c’è  la festa  in cielo  celebrata per il recupero di un’anima smarrita dal peccato, l’happy-end del cristiano che ha abbracciato la Croce e seguito Cristo, in Matteo prevale una considerazione che forse punta più sulla vita ecclesiale:…”così è la volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda”
E su questo secondo aspetto che la parabola mi sollecita considerazioni e ancora emozioni: il Buon Pastore è anche la Chiesa che cura ogni sua pecora. La sua logica sovverte la matematica: 1 pecora non è < 99 pecore, ma è = o (forse)  >  99.  Perché quella pecora è “smarrita” e in quanto tale, contro ogni principio di economia, per Cristo acquisisce un  plusvalore che la rende preziosa agli occhi del pastore. Non so a quanti sia capitato,  ma fare l’esperienza da”pecorella smarrita” è un po’ il ground zero dell’esistenza:  disconnettersi in maniera improvvisa e traumatica  da tutto ciò che è proprio e a cui si appartiene, come il gregge (la famiglia, la comunità) spinge verso il crinale della completa rovina. E qui bisogna credere e sperare di  intercettare un “pastore” , qualcuno che, ricordandosi della parabola e in nome del Buon Pastore, riceva un input dal suo cuore e lasci da parte l’aritmetica. Perché ai nostri tempi – tempi di numeri, sondaggi, telecrazia, televoto- novantanove  pecore contano di più, e su di loro si potrebbero allocare più risorse. E allora, la pecorella della parabola cessa di essere smarrita e poi ritrovata, ma è semplicemente la numero 100. I poli si invertono: è lei che cerca il pastore, e in un attimo di ripristino del suo equilibrio e del suo orientamento, recupera la strada di ritorno, per poi, magari,  non trovare nessuno che l’aspetti o che l’accolga e che l’aiuti a transitare il gate, per rientrare nei confini della vita.