mercoledì 25 novembre 2015

Io non ho paura, non abbiate paura



Nuovo tweet del Papa: "Mungu abariki Kenya! Che Dio benedica il Kenya!" (25 novembre 2015)

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Il Papa in Africa: «L'unica cosa che mi preoccupa sono le zanzare» 
 Vatican Insider 

(Andrea Tornielli) Sul volo da Roma a Nairobi Francesco ha salutato i giornalisti e ha risposto scherzosamente a chi gli parlava dei problemi di sicurezza. «Nel viaggio di ritorno vi dirò perché ho voluto visitare il Centrafica» -- Papa Francesco sta per atterrare in Kenya, nella prima tappa del viaggio africano (...)



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Io non ho paura, non abbiate paura
 Il Sole 24 ore 
(Gianfranco Brunelli) Non si comprende bene se le preoccupazioni maggiori siano per la sua sicurezza o per quello che dirà. Questo nuovo viaggio di Papa Francesco in Africa, che inizia oggi e terminerà il 30 novembre, tocca paesi rischiosi: Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana. È il viaggio in cui il Papa aprirà di fatto le porte sante del Giubileo della misericordia ed ha di per sé un alto valore simbolico, proprio perché si svolge in terre di profonde ingiustizie, di persistenti conflitti e dove è crescente la minaccia del terrorismo. 
Il Kenya è la prima tappa. E in Kenya, a Garissa, il giovedì santo di quest' anno, furono uccisi 147 studenti dai fondamentalisti islamici. In Kenya visiterà il quartiere povero di Kangemi e celebrerà una messa nel Campus dell' università di Nairobi. In Uganda, a Namugongo, con la duplice visita al santuario anglicano e a quello cattolico, pregherà per i martiri. Martiri comuni è il messaggio ecumenico. L' Uganda è un paese che a lungo ha conosciuto conflitti etnici e da ultimo la pandemia dell' Ebola. È questo il tratto più pastorale, meno politico, della sua visita africana, ma non meno carico di memorie di ingiustizie, povertà e sofferenze. L' ultima tappa del viaggio, la Repubblica Centrafricana, la più a rischio, si terrà il 29 e il 30. Qui il Papa visiterà un campo profughi; qui, a Bangui, è prevista l' apertura del Giubileo per l' Africa, di fatto l' apertura dell' Anno Santo della misericordia. Qui incontrerà la comunità musulmana nella Moschea centrale di Koudoukou. Nei due messaggi che ha inviato il 23 scorso alla vigilia del viaggio (uno in inglese per il Kenya e l' Uganda e un altro in francese per la Repubblica Centrafricana), Papa Francesco ha detto: «Stiamo vivendo un tempo nel quale ovunque i fedeli di ogni religione e le persone di buona volontà sono chiamate a promuovere la comprensione e il rispetto reciproco e a sostenersi gli uni con gli altri come membri della stessa famiglia umana». Ai centrafricani ha ribadito il suo affetto oltre ogni etnia e religione, rimarcando come da troppo tempo il paese sia attraversato da violenza e insicurezza di cui alla fine tutti sono vittime. Ci si deve dunque attendere un viaggio al centro dei mali dell' Africa: povertà, malattie, sfruttamento dei giovani, ingiustizie economiche, guerre etniche, commercio delle armi, terrorismo di matrice religiosa. Ci si deve dunque attendere un viaggio al centro della nostra cattiva coscienza. Di noi europei, di noi americani, di noi cinesi. Aprendolo dall' Africa, il continente scartato, il Papa aggiunge al Giubileo, accanto al tema della misericordia anche il tema della giustizia e dunque del giudizio. Francesco sa che spesso anche situazioni di vergognosa ingiustizia spingono molti alla violenza (in tutte le sue forme e secondo diverse giustificazioni o mistificazioni), fino alla blasfemia (la bestemmia appunto) di compierla in nome di Dio. Non sono mancati e non mancheranno, accanto alle parole di perdono e di misericordia, le parole di condanna. Ha esclamato qualche giorno fa nei confronti di coloro che scialano morte: «Maledetti!». Giovanni Paolo II aveva pronunciato nei confronti dei mafiosi un: «Guai a voi. Verrà il giorno di Dio». Per il papa è questo un tempo di misericordia, ma anche di giudizio. Domenica scorsa all' Angelus, con già negl' occhi il viaggio africano, Papa Francesco ha detto: «La logica mondana poggia sull' ambizione, sulla competizione, combatte con le armi della paura, del ricatto e della manipolazione delle coscienze. La logica del Vangelo, cioè la logica di Gesù, invece si esprime nell' umiltà e nella gratuità, si afferma silenziosamente ma efficacemente con la forza della verità. I regni di questo mondo a volte si reggono su prepotenze, rivalità, oppressioni; il regno di Cristo è un "regno di giustizia, di amore e di pace"». Che il Papa non voglia troppe misure di sicurezza attorno a se, che mantenga il contatto diretto con la gente, che non rinunci per un timore personale alla sua missione, che voglia le Chiese aperte e non blindate equivale a pronunciare un: «non abbiate paura». È un gesto e uno stile forse rischioso, ma tale da tenere aperta la speranza che l' umanità possa non precipitare nuovamente nel male.

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Un varco di speranza
Avvenire
(Giulio Albanese) Oggi è l' ora dell' Africa. Papa Francesco, infatti, inizia il suo primo viaggio ad gentes nel continente, che lo porterà prima in Kenya, poi in Uganda e infine nella Repubblica Centrafricana. Questo pellegrinaggio, nella fede, si compie in un momento storico segnato da violenze, ingiustizie e sopraffazioni d' ogni genere, comprese le innumerevoli guerre più o meno "dimenticate" del nostro povero mondo. I gravissimi attentati terroristici che hanno insanguinato in questi giorni Beirut, Parigi e Bamako e le stesse situazioni di violenza e tensione che segnano anche le aree geografiche dove è atteso, avrebbero potuto indurre il Santo Padre a rinviare questa missione in terra africana. 
Né erano mancati suggerimenti e pressioni, in un' apparenza di buon senso, per tale scelta «dettata dall' emergenza». Eppure ha deciso di non cambiare programma, nella consapevolezza che, di fronte alle intimidazioni dei violenti, occorre testimoniare, sempre e comunque, il Vangelo della Pace. Una testimonianza fatta anche con gesti di chiara scelta di norma-lità, come la rinuncia ad automobili blindate o giubbetti antiproiettile, non a caso resa nota. Questo viaggio papale riassume i "fondamentali" del pensiero teologico di Bergoglio. Egli infatti si recherà in alcune delle più significative periferie, geografiche ed esistenziali del nostro tempo, a fianco dei poveri. Il fatto stesso che abbia deciso, per così dire, di anticipare l' Anno Giubilare della Misericordia, aprendo la Porta Santa nella capitale centrafricana Bangui, la dice lunga. Ben consapevole di visitare un Paese oggi segnato da morte e distruzione, papa Francesco intende così aprire un varco alla speranza, attraverso un gesto profetico contrapposto alle persistenti chiusure generate dalla globalizzazione dell' indifferenza. Il suo compito, come di consueto, sarà quello di confermare nella fede le Chiese che visiterà, aiutandole a interpretare i segni dei tempi. Una scrutatiolegata alle molte sfide di un continente che ha decisamente voglia di riscatto, nonostante le croniche manchevolezze che penalizzano fortemente i ceti meno abbienti. In Kenya, come anche in Uganda, il tema dell' esclusione sociale è legato fortemente all' iniqua distribuzione della ricchezza; un fattore altamente destabilizzante che finora ha vanificato gli sforzi per affermare l' agognato sviluppo. Con la sua straordinaria capacità di empatia e di ascolto, papa Bergoglio non mancherà di mostrare, con parole e gesti, solidarietà e vicinanza ai poveri. Vi è poi la vexata quaestio del jihadismo che dà segnali nella Repubblica Centrafricana e ha contaminato il Kenya. Un fenomeno aberrante se si pensa alla strage degli studenti cristiani keniani avvenuta a Garissa lo scorso aprile, per non parlare di quella del centro commerciale Westgate di Nairobi nel settembre del 2013. Un fenomeno che trova radici e alimento in una delle più annose crisi africane, quella della Somalia. Il tema è rovente perché acuisce la cultura del sospetto, sebbene vi sia la consapevolezza che dietro le quinte si celino interessi avulsi dalla religione in quanto tale. Basti pensare alle immense ricchezze minerarie della Repubblica Centrafricana, che vanno dal petrolio all' uranio, oltre ai diamanti presenti nei grandi depositi alluvionali delle regioni occidentali del Paese. Alla luce dell' enciclica Laudato si', la collaborazione, nell' ambito della società civile, per la pace e la giustizia, unitamente al dialogo interreligioso, rappresentano percorsi irrinunciabili per ogni credente, indipendentemente dalla professione di appartenenza. D al punto di vista strettamente ecclesiale, emblematica sarà la visita in Uganda dove la Chiesa locale ha posticipato per quest' anno la celebrazione del cinquantesimo anniversario della canonizzazione dei 22 martiri di Namugongo avvenuta nel 1964. Ad essi vanno poi associati i beati catechisti Daudi e Jildo martirizzati nel 1918. C' è un aspetto che andrebbe sottolineato di più riguardo a questo Paese. Fra i santi e i beati ugandesi non figura alcun prete o religioso/a. Sono tutti laici, a riprova che il loro impegno battesimale ha rappresentato il lievito di una nuova umanità. Sono stati proprio loro ad avviare il processo d' inculturazione del Vangelo. L' augurio, allora, è che la parola di papa Francesco sia di incoraggiamento per tutte le giovani chiese africane affinché ritrovino maggiore fiducia in se stesse e riscoprano l' importanza del loro contributo di idee e proposte, in comunione con il Vescovo di Roma.


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Un viaggio al cuore della cultura dello scarto 
Avvenire
(Stefania Falasca) Con occhio disincantato e pungente, più di un secolo fa Emile Zola nel suo Le Ventre de Paris aveva messo a nudo l’incapacità di un sistema sociale determinato dall’accumulazione del denaro che cela nell’ipocrisia l’assenza di un effettivo interesse per il bene comune. Una preveggenza di come uomini e donne vengono oggi sacrificati agli idoli del profitto e del consumo nell’indifferenza di quella che Papa Francesco ha lucidamente marchiato come “cultura dello scarto”. «Un abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città costituisce una tragedia, se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità… Tutti i conflitti bellici rivelano il volto più emblematico della cultura dello scarto» aveva già sentenziato nel primo discorso al Corpo diplomatico nel gennaio 2014. E la sua partenza oggi per il Continente che abbiamo sotto i piedi era forse già preventivata due anni fa. 
Perché il viaggio di Papa Francesco in Africa non è solo verso un altrove, ma un viaggio dentro alla nostra cattiva coscienza, alla crisi dell’attuale modello di sviluppo, alla radice dello scarto e dell’esclusione, lì al fondo della dignità stuprata, delle guerre a pezzi macchinate per saziare interessi. 
«Quando io penso all’Africa – aveva detto Francesco nel volo di ritorno dagli Stati Uniti – lo dico come esempio, mi viene da pensare: l’Africa, il Continente sfruttato. Gli schiavi andavano a prenderli là, e poi le grandi risorse… Il Continente sfruttato. E adesso, le guerre tribali e non, hanno dietro interessi economici». Kenia, Uganda, Repubblica Centroafricana, tre tappe per un unico scenario. Segnate nel passato o nel presente da guerre civili e da violenti conflitti per il potere mascherati con veli religiosi, corruzione, sfruttamento indiscriminato di risorse da parte degli appetiti occidentali e asiatici e dal terrorismo. Proprio la prima tappa è nel Paese dove sono avvenuti alcuni dei più sanguinosi attentati degli ultimi anni da parte dei jihadisti di Al-Shabaa. In una terra in cui violenza e terrorismo vengono alimentati dalla povertà e dalla disperazione, Francesco ribadirà che invocare il nome di Dio per giustificare stragi è una bestemmia. Anche la vigilia del COP21 di Parigi, il summit sui mutamenti climatici, segnerà un momento significativo della tappa kenyota con il discorso al quartier generale dell'Onu in Africa. Nell'enciclica dedicata ai temi dell'ambiente, Francesco aveva mostrato come anche la lotta all'inquinamento non può essere disgiunta dalla lotta alla povertà e dalla messa in discussione dell'attuale sistema di sviluppo. Pace e «cultura dello scarto» sono inconciliabili. Su questa antinomìa papa Francesco intesse quindi il filo del viaggio africano andando all’origine della violenza che ci riguarda, di quella cultura dello scarto che non risparmia niente e nessuno: dalle creature agli esseri umani, e perfino Dio stesso, perché il terrorismo in suo nome «è rifiuto, è scarto di Dio». “Cultura” che si genera da un’indole che ci accomuna: la mentalità corrente del rifiuto e dell’asservimento dell’altro. È inevitabile che questa «dimensione del rifiuto» – come ha fatto  osservare nel citato discorso al Corpo diplomatico – abbia «una dimensione sociale», perché «una cultura che rigetta l’altro» e lo considera come «oggetto», come «concorrente» o «suddito da domi-nare», che trasforma in schiavi, «ora del potere, ora del denaro, e persino di forme deviate della religione», «finisce per sciogliere e disgregare tutta la società e per generare solo morte». È questa la nostra Africa delle schiavitù ancora schiave. 
A Nairobi, dove ci sono centottanta baraccopoli, così come nelle altre due Nazioni, Francesco privilegerà le visite nelle periferie delle periferie, tra i diseredati e nel campo profughi a Bangui. E anche nella seconda tappa del viaggio, quella in Uganda, oltre alla celebrazione del cinquantesimo anniversario della canonizzazione dei martiri di Namugongo, saranno i temi dell'esclusione sociale e della piena partecipazione di tutti alla vita della società ad essere posti alla nostra attenzione. Le grandi risorse naturali, come le riserve petrolifere nella regione del Lago Alberto, o l’estrazione di oro, diamanti, uranio e l’approvvigionamento di prezioso legname nella Repubblica centroafricana sui cui lucrano traffici illeciti e non si traducono in distribuzione della ricchezza ma acuiscono il divario tra l’oligarchia che detiene il potere e il resto della popolazione. E proprio guardando a quest’Africa parcellizzata, sfruttata come una vacca da mungere, al dilagare di guerre, all’ingiustizia sociale e al terrorismo Francesco spinge a riflettere sulle cause profonde che li determinano offrendo ciò che impedisce la costruzione di una società fondata nella pace, in «un tempo che – come ha scandito tante volte – è quello della misericordia». E proprio nella Repubblicana centroafricana, dove anche negli ultimi giorni sono continuati gli scontri tra le milizie e la città è assediata da novecentomila sfollati, con coraggio, e senza blindature aprirà a Bangui la Porta Santa del Giubileo. E a Bangui, come anche a Nairobi e a Kamapala Francesco non potrà che favorire il dialogo tra le religioni, come necessità vitale, come approccio realistico e lungimirante rispetto ai conflitti e alle cieche logiche di potere che segnano la scena internazionale, perché l’incontro e il dialogo interreligioso opera (è nel suo Dna) solo per il bene e può rendere possibile la pace. La piattaforma interreligiosa serve da modello tanto necessario in Paesi in conflitto e dimostra che la prevenzione e il dialogo sono la chiave per la soluzione di crisi di rifugiati e delle migrazioni forzate. Ed è ciò a cui hanno dato vita coloro che sono stati denominati  “i santi di Bangui”: il reverendo Nicolas Guerekoyame-Gbangou, presidente dell'Alleanza Evangelica, l'imam Oumar Kobine Layama, presidente del Consi-glio Islamico, e monsignor Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui e Presidente dell'Episcopato centroafricano. Già il 25  marzo scorso i tre leader religiosi hanno potuto  incontrare il Papa e il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, al quale hanno sottolineato che nella Repubblica Centroafricana non si sta combattendo una guerra di religione, ma un conflitto per il controllo del potere. L’imam Omar Kobine Layama, che a Bangui ha vissuto un tempo nella casa dell’arcivescovo, lo ha ribadito con convinzione: «Noi siamo qui, insieme, per dimostrare che la responsabilità di questa guerra non è da attribuire alle divisioni religiose, ma a milizie quali Lra (l’Esercito di Resistenza del Signore di Joseph Kony), la Seleka e gli Antibalaka». L’esempio concreto di collaborazione e cooperazione tra i leader religiosi e le loro comunità, nello spirito del Concilio Vaticano II e nella lettera della Nostra Aetate, è un importante servizio al bene comune. Non è opzionale, ma è essenziale, di cui non solo l’Africa ha sempre più bisogno. 
A Nairobi, a Kampala, a Bangui, in tutte e tre le nazioni africane è previsto e significativa-mente voluto dal Papa l’incontro con i giovani. In Africa – in particolare quella Sub-sahariana – la popolazione giovanile è più che maggioritaria. Il 60% ha meno di 25 anni. Se da una parte ci deve essere la responsabilità governativa di garantire la loro sussistenza, dall’altra è sui giovani che si pone il domani, ed è necessario investire su di essi, incoraggiare speranze e attese. Le loro risorse contano più del Pil. D’altronde Ex Africa semper aliquid novi, dall’Africa viene sempre qualcosa di nuovo, recita l’antico adagio di Plinio il Vecchio. Per Francesco è ora una domanda.


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"Francesco in Kenya per una nuova primavera della Chiesa. Gli attentati? Nostra Signora d’Africa ci proteggerà"
Zenit

(Salvatore Cernuzio) Intervista ad Angel Iglesias Solarano, sacerdote spagnolo, da oltre 40 anni itinerante del Cammino Neocatecumenale in Africa. Quando Angel Iglesias Solarano, sacerdote spagnolo della diocesi di Madrid, arrivò la prima volta in Africa nel 1971 la prima sensazione fu un profondo turbamento nell’assistere alla sofferenza della popolazione. In particolare la parrocchia in Tanzania presso cui prestava servizio con i Padri Bianchi, accoglieva i rifugiati del Burundi in fuga dai massacri nel loro paese. (...)