lunedì 23 novembre 2015

La forza di riscoprirsi umili




(Roberto Repole, Presidente dell’Associazione teologica italiana) Nel discorso tenuto al quinto convegno della Chiesa in Italia, il Papa ha invitato a guardare ad alcuni sentimenti di Gesù per scorgere il cammino della Chiesa. Il primo di essi è rappresentato dall’umiltà. Sulla scia del suo Signore, la Chiesa dovrebbe dunque presentare anzitutto questo tratto, per essere capace — ha detto il Pontefice — di «riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente».
Non si tratta di un aspetto peregrino o accessorio. Si ha a che fare, al contrario, con una caratteristica che la stessa riflessione teologica è chiamata a segnalare, quando rifletta sulla Chiesa dall’interno della cultura occidentale. Occorre, infatti, constatare come la cultura contemporanea sia contrassegnata dal disincanto rispetto al pensiero forte che ha caratterizzato l’epoca moderna; in una presa di distanza critica, che può sfociare in un nichilismo pratico.
Si tratta di una cultura che può insinuarsi nella Chiesa stessa quando, paradossalmente, pare reagirvi cercando ancora la via della forza: quando, ad esempio, per mantenere una riconosciuta presenza pubblica, si riduce ad agenzia di valori; o quando rischia di ridurre la fede cristiana a ethos collettivo. In questi e analoghi casi potrebbe in realtà realizzarsi l’inversione del detto paolino: quando siamo forti, è allora che siamo deboli.
Abitare questo nostro tempo è, in verità, occasione per riscoprire che la Chiesa non ha da essere né debole né forte. Essa è umile, a immagine del Dio che si è lasciato incontrare in Cristo. Egli appare umile, infatti, in quanto ha deciso liberamente e per amore di entrare in relazione con l’uomo, impastato di humus; e in quanto tale decisione, libera e amorevole, ha la sua condizione di possibilità nel Dio trinitario, un Dio capace dell’uomo.
La Chiesa è essa stessa umile, in quanto è attraversata dalla relazione a molteplici livelli. Innanzi tutto, con il Dio trinitario, in assenza del quale non è nulla. Poi, al suo interno: nella relazione costitutiva che ogni Chiesa ha con le altre e in quella che ogni soggetto ecclesiale ha con tutti gli altri. Non avrebbero, ad esempio, alcun senso i ministri ordinati, se non in quanto strutturalmente in relazione con i cristiani laici e religiosi. Infine, la Chiesa è intrinsecamente in relazione con il mondo, per cui vive e al cui servizio esiste: quel mondo per cui il Padre ha inviato il Figlio e lo Spirito, mostrando così la sua volontà salvifica universale.
La Chiesa è, pertanto, un sistema aperto. Essa non può esistere in una situazione di estraneità rispetto al mondo ma è, al contrario, anticipo di un destino di comunione che coinvolge tutti gli uomini. Per questo, il dialogo, anche con chi cristiano non è, va costantemente ricercato: un dialogo che — ha ricordato il Papa — non è negoziazione, in quanto vive di quel disinteresse, che è segno del più profondo interesse all’altro, alla sua vita, alle sue attese più profonde. E il cristiano sa, nella fede, che deve ricercare i sentieri del dialogo con tutti, in quanto non esiste uomo che non porti in sé l’immagine di Cristo.
L'Osservatore Romano