venerdì 27 novembre 2015

Tra povertà e terrore, l'Uganda accoglie il Papa

Il terrorismo islamico insanguina l'Uganda


di Anna Bono
Papa Francesco arriva domani in Uganda, seconda tappa del suo viaggio in Africa, in un momento delicato per il Paese. Il 3 novembre si è infatti aperta la campagna elettorale in vista delle presidenziali che si svolgeranno il 16 febbraio 2016. Gli appuntamenti elettorali in Africa sono sempre motivo di tensione e di ansia per l’eventualità che l’esito del voto venga contestato e ne scaturiscano, come spesso succede, disordini e violenze. 
Nel caso dell’Uganda, a creare tensione è la decisione dell’attualepresidente Yoweri Museveni di candidarsi, designato dal proprio partito, il Movimento per la resistenza nazionale. Si è trattato di una decisione peraltro attesa e scontata dato che, come altri colleghi, Museveni ha imposto l’eliminazione di ogni limite ai mandati presidenziali che un cittadino può ricoprire. Era il 2005. Aveva vinto due elezioni, nel 1996 e nel 2001, e la costituzione stabiliva che non potesse ricandidarsi. Da allora, soppresso l’articolo che limitava a due i mandati presidenziali per persona, ha concorso e vinto altre due volte. Ma al potere Museveni era arrivato già nel 1986, quando con le armi aveva messo fine alla dittatura di Tito Okello, e per anni aveva governato in regime di partito unico: «l’Uganda non è pronto per il multipartitismo e per la democrazia sul modello occidentale» sosteneva giustificando il regime da lui definito “no party system” in quanto necessario a sanare le ferite del passato impedendo la nascita di nuove divisioni che a suo avviso il multipartitismo avrebbe prodotto.
Né si può parlare di democrazia compiuta neanche adesso, nonostante i partiti, i gruppi di opposizione e confronti elettorali, in un paese dominato da un leader ben deciso a conservare il potere a oltranza, aggirando, se necessario, e anzi approfittando delle regole democratiche per legittimarsi. Tuttavia l’Uganda deve al presidente Museveni se non altro un lungo periodo di stabilità, dopo oltre 20 anni segnati da conflitti civili, tribali alimentati da tre dittatori: prima di Okello, Milton Obote, presidente per due volte, dal 1966 al 1971 e dal 1980 al 1985 (e prima, dall’indipendenza nel 1962 al 1966, al potere in qualità di primo ministro), e Idi Amin Dada, in carica dal 1971 al 1979. Di quest’ultimo, soprattutto, si conserva memoria come di uno dei più spietati e crudeli leader africani, tanto spietato e crudele da far nascere la voce che praticasse il cannibalismo. Si era fregiato tra l’altro del titolo di “Signore di tutte le bestie della Terra e dei pesci del mare”. Ma nel mondo era conosciuto come “il macellaio dell’Uganda”. Si dice che fosse dedito alla magia nera, imparata dalla madre. 
Lui stesso si vantava di poter comandare i coccodrilli. Né ha mai smentito la ferocia bestiale e leatrocità che gli venivano attribuite, anzi se ne vantava: «I miei nemici? Li taglio a pezzi e poi getto la carne ai coccodrilli. I loro peni? Li attacco alla cintura». Amnesty International stima che possa aver provocato la morte di mezzo milione di ugandesi (secondo altri calcoli, “solo” 300.000). Fu sua la decisione di espellere tutti gli asiatici, circa 50.000, decimando così il ceto medio produttivo il che ha prodotto serie ripercussioni negative sull’economia nazionale già danneggiata dalla nazionalizzazione delle imprese ereditate dall’epoca coloniale.  
Oggi l’Uganda è uno dei Paesi più poveri del mondo, 164° nell’Indice di sviluppo umano dell’Onu. Il38% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Quasi il 62% della popolazione occupata guadagna meno di due dollari al giorno. Oltre il 25% dei bambini, tra i cinque e i 14 anni, lavora. In compenso il tasso di disoccupazione è basso rispetto alla media africana: 9,1% soltanto. Il tasso di mortalità materna è di 343 su 100.000 nascite. Il sistema sanitario provvede solo 50 posti letto e 12 medici ogni 100.000 abitanti. La speranza di vita alla nascita supera di poco i 59 anni, molto al di sotto di quella dei Paesi ad alto reddito (in Italia, ad esempio, è di 82,4). Ma è un dato questo, come gli altri, da valutare tenendo conto dei danni enormi prodotti dall’Aids che ha colpito l’Uganda prima e più degli altri Stati africani, con conseguenze sociali ed economiche devastanti. Eppure proprio in Uganda l’Aids è stato ed è combattuto con più efficacia che altrove grazie a efficaci programmi di prevenzione sperimentati con successo. 
Va aggiunto che, dopo l’avvento di Museveni, le regioni settentrionali sono state alla mercé di uno dei più feroci gruppi armati antigovernativi: il Lord Resistance Army, guidato da un pazzo visionario, Joseph Kony. Per circa 20 anni i suoi combattenti hanno razziato e distrutto villaggi, rapito migliaia di bambini costringendoli a combattere, torturato e abusato della popolazione, terrorizzandola con punizioni crudeli inflitte a chi era sospettato di sostenere il governo: in particolare la mutilazione di arti, labbra, orecchie. Migliaia di ugandesi ne portano i segni. Per questo Joseph Kony e i suoi luogotenenti nel 2005 sono stati accusati di crimini di guerra e contro l’umanità dalla Corte penale internazionale. 
Al Paese non è risparmiato neanche il flagello del terrorismo. Al Shabaab, il gruppo jihadista somalo, vi ha compiuto diversi attentati per vendicarsi della partecipazione di truppe ugandesi alla missione militare dell’Unione Africana in Somalia, la Amisom. Ne è stato vittima il 30 marzo anche il procuratore Joan Kagezi, capo della divisione crimini di guerra e antiterrorismo, uccisa nella capitale Kampala mentre era in macchina con i suoi bambini. Inoltre, è ugandese l’Adf-Nalu, un movimento islamista attivo da molto tempo prevalentemente nella vicina Repubblica Democratica del Congo, che di recente si è collegato agli al Shabaab e ha cambiato nome in Mdi, Muslim defense International.