lunedì 21 dicembre 2015

Due Chiese MOLTO diverse

Calendario islamico, inchiostro su carta, India, Deccan, 1891

Calendario islamico, inchiostro su carta, India, Deccan, 1891

Leggendo gli auguri di Natale di Enzo Bianchi e di Angela Pellicciari. Ma qual'è la Chiesa? Quale è l'annuncio? E quale approccio è quello giusto? Perchè sicuramente si tratta di due approcci MOLTO diversi. Mah! Fate voi...

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Buon Natale a tutti i naviganti!
La tenerezza di Dio che si è fatto carne per salvarci ha il volto di un Bambino, figlio di migranti poi diventati rifugiati. Un Bambino nato nella precarietà di una stalla, che guardiamo con stupore, lasciandoci guardare da Lui.
Per farlo sopravvivere alla violenza del re Erode, i suoi genitori sono stati costretti a cercare scampo in un altro Paese, che li ha accolti.
Grazie a Maria, per aver detto sì, abbandonandosi al disegno di Dio su di Lei
Grazie a Giuseppe per averle creduto, per aver custodito e fatto crescere il Bambino Gesù.
Grazie all’Egitto per aver permesso a questa famiglia di profughi di attraversare il confine e di essere accolti e salvati dalla violenza e dall’odio.
Grazie a tutti quelli che in questi giorni guardando stupiti il presepe e la piccola folla di pastori, barboni, accattoni, border line e povericristi ai quali per primi è stata annunciata la nascita del Salvatore, riconosceranno in tante famiglie in fuga, o bisognose, il riverbero della Natività di Betlemme. Andrea Tornielli

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Dalla parte dei calendari


La Repubblica, 20 dicembre 2015di ENZO BIANCHI
La singolare coincidenza di calendario tra la festa della natività di Gesù e la commemorazione del profeta Muhammad dovrebbe scuoterci dal nostro analfabetismo nel dialogo islamo-cristiano, distoglierci dalle polemiche insensate sulla presenza o meno del presepe nelle scuole e nei luoghi pubblici istituzionali e spingerci alla pratica di quella “ospitalità culturale” di cui c’è grande urgenza per una convivenza buona e intelligente.
Conoscere le feste dell’altro, il significato delle celebrazioni, la reale portata delle tradizioni instauratesi nel corso dei secoli è il passo più semplice e tra i più fecondi per scoprire l’universo religioso di chi ci sta accanto e, al contempo, per riscoprire il fondamento di ciò che noi stessi ricordiamo, sovente offuscato dall’abitudine.
Dai primi secoli i cristiani fanno memoria della nascita di Gesù Cristo a Betlemme di Giudea il 25 dicembre: una data scelta perché in quel giorno il mondo romano celebrava e festeggiava il “sole invitto”, il sole che in quel giorno terminava il suo progressivo declinare all'orizzonte e ricominciava a salire in alto nel cielo, vincitore sulla tenebra che offusca la terra. Essendo Gesù Cristo vero sole, luce del mondo, era naturale fare memoria della sua nascita al solstizio d’inverno.
Per i musulmani invece la “commemorazione” (non la “festa”, perché nel calendario islamico solo due sono le “feste”: Id al-Fitr alla conclusione del mese di Ramadan, e Id al-Adha, la festa del Sacrificio) della nascita del Profeta, nel dodicesimo giorno del mese lunare di Rabi’ I che quest’anno cade appunto il 24 dicembre, risale a non prima del X secolo, con ispirazione alla festa cristiana, e oggi è particolarmente sentita a livello popolare e tra i bambini, sebbene sia contestata da alcuni che la giudicano troppo modellata sul Natale cristiano.
Due feste differenti, dunque, senza possibili sincretismi né simmetrie perché nella fede non si festeggia nulla insieme: ai cristiani è chiesto rispetto per la commemorazione dei musulmani, così come ai musulmani è chiesto rispetto per la festa cristiana della nascita di colui che per loro è comunque considerato un profeta, ma non colui che i cristiani confessano quale loro Signore e loro Dio. Insieme si può solo celebrare la gioia dell’altro e scambiarsi auguri di pace, e questo non è poco in una umanità tentata di smentire la fraternità e di far divampare conflitti religiosi.
Pubblicato su: La Repubblica
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Il coraggio di annunciare a tutti il Natale
di Angela Pellicciari
Tempo di Natale, tempo di allegria, di pace, ma anche, di questi tempi, tempo di battaglia. Perché a Natale si fa festa? Perché è successo un evento inimmaginabile: Dio si è incarnato. È sceso sulla terra perché era l’unico modo per salvarci. Tempo in cui tutta la creazione si rallegra. Tutte le cose tornano nuove e rivivono dopo la morte che ci aveva regalato il peccato. In Italia, grazie alla presenza di Roma e alla scelta fatta da Dio in favore di Roma, la nostra storia, come popolo, come nazione, ha sempre celebrato con grandissima solennità il Natale. Con fede e con cultura. Con canti. Canti popolari, musica sacra, dipinti, statue, presepi meravigliosi. Con poesie, con educazione dei bambini, con catechesi.
Negli ultimi tempi ci siamo abituati a non disturbare. A non “imporre”, così si dice, la nostra identità. E quindi nelle scuole non si fanno più presepi né canti di Natale. Si canta altro. In inglese per lo più. Ma comunque altro. Facciamo silenzio. Non imponiamo la nostra storia. Non ingombriamo. Ci facciamo piccoli piccoli. Anzi, scompariamo. Non creiamo conflitti. Così quelli che ospitiamo a casa nostra non potranno che dire bene di noi e non ci faranno esplodere con le bombe. Non ci contesteranno.
Ma io mi chiedo: come facciamo a stare zitti? Come facciamo a non annunciare, a non gridare dai tetti per così dire, che è nato il Salvatore? Colui che ci salva. Ci salva dall’orrore della morte che ci terrorizza tutti durante tutta la vita. Come facciamo a stare zitti? Forse che i musulmani non hanno diritto di ascoltare anche loro questa notizia strabiliante, bellissima, di Dio che si fa bambino, che nasce da una Vergine, che prende la nostra carne per portarla in cielo?
Questo è il regalo. L’unico regalo. Il regalo più bello: la nascita di Gesù. Altro che babbo Natale.Bimbo che nasce, non babbo-nonno che viene a portare regalini. É il bimbo il vero regalo. La natura aborre il vuoto. Se noi ci svuotiamo di noi stessi, della nostra fede, della nostra storia, della nostra cultura, noi diventiamo apostati e meritiamo quello che i profeti e lo stesso Gesù avvisano che avverrà: la distruzione. A due passi da Roma la Madonnina di Civitavecchia ha pianto lacrime. Lacrime di sangue. Per noi italiani diventare apostati è un peccato di gravità sconfinata perché la nostra storia, la nostra cultura, la nostra ricchezza millenaria sono dipese in parte preponderante dall’essere Roma capitale della cristianità. Un’apostasia da parte nostra è imperdonabile come quella che ha ridotto Gerusalemme alla distruzione da parte di Tito nel 70 dopo Cristo. E, anche se la città è stata ricostruita, il tempio, il cuore de popolo giudaico, non è più stato ricostruito. Difendiamo la nostra storia. 
Conosciamola e quindi amiamola per la grande misericordia che Dio ha avuto con noi e la grandezza della nostra civiltà e dei nostri santi a cominciare da Francesco, l’inventore del presepe vivente. Per quello che possiamo andiamo a parlare con insegnati e dirigenti scolastici. Andiamoci in tanti. Andiamo tutti: genitori, papà e mamme, nonni, parenti, amici. Mostriamo che, col vuoto, col nulla, prepariamo solo la venuta dell’islam cui ci siamo arresi prima di combattere. E con l’islam la diseguaglianza fra uomini e donne. E con l’islam la scomparsa della salvezza del Dio che ci ama e si fa bambino per noi. La fine della pace. La fine delle nostre città con la bellezza che le fa splendide e le riempie di chiese, conventi, piazze, palazzi. Città che, tutte, hanno un’anima. Un’anima cristiana.