giovedì 30 aprile 2015

Il Pianeta delle Scimmie



di Stefano Magni

In Italia, la cosa è passata abbastanza inosservata. Ma senza che ce ne rendessimo conto, a New York una giudice stava inavvertitamente per dare inizio all’atto 1 del Pianeta delle Scimmie: il riconoscimento di pieni diritti umani a due scimpanzé.
La giudice della Corte Suprema dello stato di New York, Barbara Jaffe, il 17 aprile scorso aveva infatti firmato il ricorso dell’associazione animalista Non Human Rights Project (Progetto per i diritti non umani, Nhrp) per liberare due scimpanzé di proprietà dell’università Stony Brook di Long Island, dove sono usati come cavie da laboratorio. Il problema è che, nel documento firmato dall’alto magistrato, si riconosceva il diritto all’habeas corpus per gli animali da loro difesi. L’habeas corpus (“che tu abbia il corpo”) è la formula con cui si riconosce il divieto di incarcerare una persona umana, finché il giudice non ritenga che vi siano concreti elementi di accusa. Riconoscendo l’habeas corpus a due scimmie, in modo quasi del tutto subliminale, i due scimpanzé avrebbero dovuto essere immediatamente “scarcerati” dal loro proprietario e trasferiti in una riserva naturale in Florida. Ma, quel che ha contato di più, dal punto di vista degli animalisti della Nhrp, è stato il principio: il riconoscimento della personalità giuridica a un animale. L’associazione ha ovviamente colto l’occasione per farsi pubblicità, inviando la notizia a tutti i giornali americani. “(la sentenza, ndr) E’ un grande passo avanti verso ciò che cerchiamo di ottenere: il diritto alla libertà fisica per gli scimpanzé e per altri animali cognitivamente complessi”, aveva dichiarato subito, alla rivista Science, la direttrice di Nhrp.
Il 21 aprile successivo, non appena i tempi tecnici lo hanno consentito, la giudice Barbara Jaffe ha emendato il suo ordine, cancellando le parole “writ of habeas corpus” (mandato di habeas corpus), spiegando che “la loro (delle scimmie) personalità, è ancora oggetto di dibattito, al momento”. Immediatamente dopo, la giudice Jaffe ha ripreso pubblicamente gli animalisti Nhrp per le notizie scorrette che avevano diffuso. “Le speranze e i sogni di milioni di scimpanzé si sono infranti in un istante”, ironizzava il New York Post nel suo editoriale di mercoledì scorso. La causa andrà avanti, comunque. L’udienza è prevista per il prossimo 6 maggio e la rappresentanza legale per le due scimmie è comunque contemplata dalla legge. Sui diritti umani ai non umani, sarà per la prossima volta.
Questa vicenda è degna di nota, perché la battaglia animalista per riconoscere diritti umani agli animali (diritti alla libertà e alla vita) sta procedendo su diversi fronti paralleli e in più di un Paese occidentale. La prima grande organizzazione che mira a riconoscere questi diritti è il Gap, Great Apes Project (progetto grandi scimmie), che mira a garantire la vita e la libertà ai grandi primati, con capacità cognitive avanzate, quali i gorilla, gli scimpanzé, gli orangotango, i bonobo, “i nostri parenti più stretti nel regno animale”, come si legge nell’introduzione del loro sito Web. Il Gap esiste dal 1994, ha condotto una campagna ricca di successi che, da anni, produce i suoi effetti sulla legislazione dei paesi occidentali.
La Nuova Zelanda è stata la prima nazione, nel 1999, a introdurre una legge per il “benessere animale” (Animal Welfare Act). La Spagna è stata la prima in Europa a introdurre una legge analoga nel 2008. A livello Ue, esiste ora anche una convenzione per la protezione degli animali domestici, che vieta gli abusi nei loro confronti. Nel 2012, la American Association for the Advancement of Science ha firmato una “Dichiarazione dei diritti dei cetacei” con cui chiede vengano applicati i diritti di vita e libertà a balene e delfini. Alla base di questa richiesta troviamo sempre la capacità cognitiva dell’animale: “Una serie di studi scientifici hanno scoperto che le balene e i delfini siano capaci di abilità cognitive (come la risoluzione di problemi, la comprensione di un linguaggio artificiale e un comportamento sociale complesso) che indicano che questi cetacei siano più complessi, sia da un punto di vista intellettuale che emotivo, di quanto si pensasse in passato.
I difensori dei diritti animali non mirano a ottenere la piena uguaglianza con gli uomini, ma solo la garanzia ai diritti negativi fondamentali: non essere ucciso, non essere maltrattato, non essere sfruttato, torturato o controllato per servire gli scopi dell’uomo. Chiaramente non si parla di diritto di voto. Questa concezione del diritto, che può anche essere condivisibile per certi versi: l’uomo è custode del creato, anche in una visione cristiana della natura ed ha dei doveri di rispetto nei suoi confronti, quindi i maltrattamenti gratuiti nei confronti degli animali sono comunque condannabili. Il problema, semmai, è nella radice filosofica. Riconoscere diritti agli animali, vorrebbe dire slegare i diritti ai doveri. L’animale ha dunque diritto alla sua vita, ma non ha alcun dovere nei confronti dell’uomo o di altre specie. Se un gorilla, in base a un suo ragionamento cognitivamente complesso, dovesse decidere di sfondare il cranio di un turista, cosa succede? Oggi la scimmia verrebbe abbattuta, ma un domani avrebbe diritto a un avvocato? E con che motivazioni si può dimostrare la sua intenzione di uccidere, o la sua capacità di intendere o di volere? Ad ogni diritto corrisponde un dovere, in tutte le legislazioni, fin dai Dieci Comandamenti, che sono un elenco di doveri, che si tramutano in diritti negativi se applicati al prossimo (il comandamento “non uccidere” è il diritto alla vita, “non rubare” è il diritto di proprietà, per fare due esempi concreti). I diritti animali rafforzerebbero ancor di più il principio secondo cui al diritto non corrisponde alcun dovere. Tradotto in soldoni: fai quel che vuoi e se rompi non paghi (paga qualcun altro al posto tuo). Un principio molto pericoloso, anche se applicato all’uomo.
Utile ribadire, poi, che la filosofia di fondo dei paladini dei diritti animali è sempre quella eco-centrica: tutte le specie animali che fanno parte di un ecosistema sono da considerarsi sullo stesso piano, dunque tutte sono meritevoli di diritti. La centralità dell’uomo scompare. E’ una sorta di suicidio culturale: siamo pur sempre noi esseri umani gli unici che hanno la capacità di decidere chi ha diritto e chi no, quale essere può vivere libero e quale può essere ucciso. Porci sullo stesso piano delle scimmie, oltre che essere irreale, è anche un atto profondamente masochista.

Venerdì della IV settimana del Tempo di Pasqua



Non si comprende l'uomo se ci si chiede solo da dove viene.
Lo si comprende solo se ci si chiede anche dove può andare.
Solo dalla sua altezza risulta chiara davvero la sua essenza.

Card. Joseph Ratzinger

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Dal Vangelo secondo Giovanni 14,1-6.

«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando saro' andato e vi avro' preparato un posto, ritornero' e vi prendero' con me, perche' siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesu': «Io sono la via, la verita' e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

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Anche oggi, probabilmente, ci siamo svegliati con un peso sul “cuore”, come quando a scuola avevi un’interrogazione; qualunque cosa facessi quel brusio di fondo gracchiava e sporcava le note dei giorni. Siamo "turbati" e non riusciamo a riposare, perché ci assedia la precarietà di non avere “un posto” dove "essere" noi stessi, in modo unico e inequivocabile. Per questo spendiamo la vita per trovare e conquistarci “un posto” nel cuore degli altri, nella società, a scuola, sul lavoro, nella Chiesa. Non trovandolo, abbassiamo sempre di più l’asticella, spegniamo i desideri alti per rintanarci in “beni rifugio”, che sembrano oro mente sono paglia. In fondo, fuggiamo sempre la "verità", perché essa “turba il nostro cuore”. Crediamo che si tratti di ansie e sofferenze legate a un’immagine romantica del “cuore”, ma nella Scrittura esso non c’entra nulla con le passioni, i sentimenti e gli affetti. Piuttosto coincide con la “mente”, ovvero il centro della vita personale; essendo la sede della volontà, nel “cuore” decidiamo cosa fare, se scegliere il bene o il male. “Nel cuore” siamo noi e noi soltanto, liberi per aprirci alla volontà di Dio oppure no. Ed è “nel cuore” che ci “turbiamo” perché vi abbiamo accolto, liberamente, la menzogna del demonio che ci ha indotto a peccare. Peccando abbiamo conosciuto la morte, così, come gli apostoli, quando Gesù (la predicazione e la Parola di Dio) ci rivela che la vita è un Getsemani dischiuso sulla Croce, ci “scandalizziamo” e non c’è “via” di scampo; l’unica “verità” che conosciamo è quella che il demonio ci ha insinuato, e cioè che nella Croce c’è la morte e non la “vita”.

Per questo Gesù dice agli apostoli e a tutti noi di “non essere turbati nel cuore, ma di avere fede in Dio e in Lui”. Non permettere, ci dice, che laddove tu sei la persona che sei, libera, il demonio ti insinui il “turbamento”, ovvero il “dubbio”. Abbi “fede” invece, in ebraico “emunah” da cui deriva “amen”, e che significa “appoggiarsi stabilmente”. La “fede”, dunque, è l’antidoto al “turbamento”: coraggio allora, abbi “fede in Dio e in Gesù”: appoggiati a loro saldamente perché il Padre ha risuscitato suo Figlio. Gesù è “andato” sulla Croce, è sceso nel sepolcro, è risorto e asceso al Cielo proprio per "prepararci un posto”. In Cielo c'è il tuo “posto” riservato che nessuno può toglierti. Hai un abbonamento valido per l'eternità che Gesù, “tornato” dal Cielo, vuole donarti. Viene infatti anche oggi a “prenderci e portarci dove Lui è” per farci “essere”, esistere, proprio lì, nelle "tante dimore" che sono "nella casa del Padre"; "tante" quanti sono i tuoi giorni con le loro croci; "tante" perché Cristo le trasformerà tutte in una primizia della “dimora” eterna. La sua Pasqua, infatti, ha aperto la “via” alla “vita” che non si esaurisce, facendo di ogni passo la “verità” che le dà senso e pienezza. Coraggio, quando ti sentirai senza “un posto” dove essere, “non turbarti”, non scappare, ma “appoggiati e rimani in Cristo”; scoprirai il tuo “posto” proprio in quello che pensavi ti togliesse la vita e l’essere. Accostati alla Parola, nutriti con i sacramenti, non allontanarti dalla Chiesa, non chiuderti in te stesso ma chiedi aiuto ai pastori e ai catechisti; solo gestato alla "fede" adulta potrai dire “Amen” alla storia, per camminare sulla “via” della Croce e così passare alla “vita” piena dell'amore, e giungere a dimorare nel cuore del Padre "attraverso Cristo", vivo nella sua Chiesa. Gli atri del Paradiso, infatti, sono vicinissimi: hanno il colore degli occhi di tua moglie, le pareti ruvide dell’adolescenza di tuo figlio, vi si odono le voci di chi ti è accanto e ti giudica, sono bagnati dalle lacrime della malattia. Sono “il posto” di Cristo qui sulla terra, il tuo e il mio.

Il tesoro delle comuni radici



A vent’anni dalla «Orientale lumen». 

(Manuel Nin) Il 2 maggio 1995, festa di sant’Atanasio il Grande, vescovo di Alessandria nel IV secolo, Giovanni Paolo II firmava la lettera apostolica Orientale lumen per la ricorrenza centenaria di un’altra lettera apostolica, l’Orientalium dignitas di Leone XIII. A vent’anni di distanza vorrei accennare ad alcuni aspetti importanti della lettera di Giovanni Paolo II, soprattutto nella sua prima parte. Nell’introduzione il Papa accenna ai motivi della lettera: il centenario dell’Orientalium dignitas, la constatazione dei passi fatti in questi cento anni, passi verso la conoscenza e l’incontro tra oriente e occidente. Il testo mette in evidenza come a partire dalla Pentecoste avvenuta a Gerusalemme, «madre di tutte le Chiese» — un’espressione importante in bocca al vescovo di Roma — tutte le Chiese cristiane, nella loro autenticità e pluriformità, ritrovano la forza dello Spirito per la ricerca costante dell’armonia tra di loro. L’Orientale lumen insiste sulla piena comunione necessaria tra i cristiani che nasce dalla loro chiamata a predicare Cristo agli uomini: «Le Chiese di oriente e di occidente sono chiamate a concentrarsi sull’essenziale, cioè il cedere il passo al ravvicinamento e alla concordia».
Nella prima parte del testo il Papa sottolinea la necessità da parte dell’occidente di conoscere l’oriente cristiano, conoscerne l’esperienza di fede, il mistero della sua vita in Cristo. E accenna alla diversità e complementarità tra oriente e occidente, in quanto hanno indagato la stessa verità rivelata e lo stesso mistero a partire da metodi e prospettive diverse. L’occidente deve ascoltare le Chiese dell’oriente e avvicinarsi a queste Chiese, alla loro tradizione: oriente e occidente sono un mosaico opera del Creatore. Il Papa fa notare come l’oriente mette in evidenza la partecipazione del cristiano alla natura divina mediante la comunione al mistero della Santa Trinità. Questa comunione si realizza attraverso la liturgia, specialmente attraverso l’eucaristia. E in questo cammino di divinizzazione, l’Orientale lumen propone il modello dei martiri, dei santi e della Madre di Dio: «In questo cammino di divinizzazione ci precedono coloro che la grazia e l’impegno nel cammino del bene ha reso “somigliatissimi” a Cristo: i martiri e i santi. E tra questi un posto tutto particolare occupa la Vergine Maria, dalla quale è germogliato il virgulto di Jesse. La sua figura è non solo la Madre che ci attende, ma anche icona della Chiesa, simbolo e anticipo dell’umanità trasfigurata dalla grazia».
L’Orientale lumen dedica poi tutto un paragrafo alla trattazione del tema della tradizione: l’importanza del rapporto tra presente, passato e futuro. L’oriente offre un forte senso di continuità, dalla tradizione all’attesa escatologica. La tradizione come patrimonio della Chiesa di Cristo, memoria viva del risorto incontrato e testimoniato dagli apostoli che hanno trasmesso il ricordo vivente ai loro successori, in una linea ininterrotta che è garantita dalla successione apostolica, attraverso l’imposizione delle mani, fino ai vescovi di oggi. Tradizione ancora vista dalla lettera come memoria del risorto, che mantiene la Chiesa vegliante nella memoria di Cristo sposo; la tradizione quindi è la memoria viva della sposa conservata eternamente giovane dall’amore che la abita. E l’Orientale lumen insiste sull’inserirsi nella tradizione della Chiesa in quanto memoria, e sul mostrare agli uomini la bellezza di questa memoria (e di questa tradizione), la forza che viene dallo Spirito che ci fa testimoni, figli di testimoni, cioè radicati in una schiera di martiri e di santi, che ci hanno preceduto e con cui siamo, in questa memoria, legati.
Per ben otto paragrafi il documento tratta il tema del monachesimo o, se si vuole, contempla la vita monastica come modello della vita cristiana. Sottolinea la centralità del monachesimo in oriente, sicché diventa punto di riferimento per tutti i cristiani. E qui troviamo uno dei paragrafi centrali del documento che giustifica appunto la trattazione della vita monastica: «I forti tratti comuni che uniscono l’esperienza monastica d’Oriente e d’Occidente fanno di essa un mirabile ponte di fraternità, dove l’unità vissuta risplende persino più di quanto possa apparire nel dialogo fra le Chiese». Il testo mette in evidenza tre aspetti fondamentali del monachesimo cristiano: luogo della lode di Dio, luogo della carità, luogo della ricerca di Dio. Tre aspetti, e proprio in questa progressione. Al monaco viene chiesta dapprima la lode, il ringraziamento a Dio, poi la carità verso il fratello, quindi il terzo aspetto, forse quello più importante, che è alla base dei due primi: la ricerca di Dio. La vita del monaco viene così presentata tra due poli: l’ascolto della Parola di Dio — e qui il termine «ascolto» va al di là della semplice accezione letterale per divenire assimilazione del monaco alla Parola — e l’eucaristia. La Parola è nutrimento della vita del monaco, la Parola lo configura a Cristo, perché la Parola è Cristo. Questo ascolto/assimilazione della Parola avviene specialmente nella liturgia, attraverso i testi biblici e innografici che sono una parafrasi del testo sacro. L’eucaristia è l’altro asse della vita del monaco, eucaristia come luogo dove la Parola si fa carne, luogo della piena configurazione con Cristo — la partecipazione ai santi misteri ci fa consanguinei di Cristo — e luogo anche escatologico in quanto anticipa l’appartenenza alla Gerusalemme celeste. Come conseguenza, in questo paragrafo la vita monastica viene presentata come la vita cristiana nella sua pienezza liturgica: un’unica dimensione celebrativa, dall’ascolto della Parola alla comunione coi santi misteri. La liturgia è quindi vista come luogo della piena divinizzazione dell’uomo e del creato. Proprio nella liturgia, dunque, il creato trova il suo senso pieno: il creato viene permeato da Cristo e proprio allora ne sgorga la sacramentalità della Chiesa. Il documento integra un aspetto essenziale della liturgia, delle Chiese sia di oriente che di occidente, cioè la sua dimensione di bellezza: «In questo quadro la preghiera liturgica in Oriente mostra una grande attitudine a coinvolgere la persona umana nella sua totalità: il mistero è cantato nella sublimità dei suoi contenuti, ma anche nel calore dei sentimenti che suscita nel cuore dell’anima salvata. Nell’azione sacra anche la corporeità è convocata alla lode, e la bellezza, che in Oriente è uno dei nomi più cari per esprimere la divina armonia e il modello dell’umanità trasfigurata, si mostra ovunque: nelle forme del tempio, nei suoni, nei colori, nelle luci, nei profumi».
Un ultimo aspetto della prima parte dell’Orientale lumen che vorrei mettere in evidenza è il sottolineare come questa configurazione con Cristo avviene attraverso un processo di conversione a partire da un triplice dono di Dio: il dono delle lacrime, il silenzio e il distacco dall’orgoglio «nella coscienza del proprio peccato e della lontananza dal Signore, che si fa compunzione del cuore, simbolo del proprio battesimo nell’acqua salutare delle lacrime; nel silenzio e nella quiete interiore». La lettera mette in luce ancora un aspetto centrale per la conoscenza dell’oriente cristiano, cioè il fatto che esso ha mantenuto sempre l’unità tra la spiritualità e la teologia. Quest’unità viene sottolineata particolarmente nel monachesimo come vita teologica: immersa cioè nelle verità della fede, quest’unità si realizza per mezzo della configurazione a Cristo. Unità tra teologia e spiritualità che sfocia anche in un’antropologia molto positiva, legata al mistero dell’incarnazione. E in questo contesto l’Orientale lumen sottolinea ancora il luogo del silenzio come via per percepire il mistero di Dio. Silenzio necessario come via per la teologia, per la preghiera, per la predicazione, per l’impegno nel mondo, per l’uomo, cioè per ascoltare l’altro. In un testo che vent’anni dopo continua a far vedere come «le parole dell’Occidente hanno bisogno delle parole dell’Oriente perché la Parola di Dio manifesti sempre meglio le sue insondabili ricchezze».
L'Osservatore Romano

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Da Bari una strategia. Alzare la voce contro chi vuol cancellare la "nazione della croce" 



Alzare la voce contro
chi vuol cancellare
la "nazione della croce"
Concluso il Colloquio internazionale "Cristiani in Medio Oriente: quale futuro?", promosso dalla Comunità di Sant'Egidio, alla presenza dei patriarchi delle Chiese d'Oriente e d'Occidente. Come ha riferito il presidente Marco Impagliazzo è risuonato forte il grido della minoranza cristiana del Medio Oriente rivolto ad un "Occidente, Ue in testa, per troppo tempo indifferente"
dall'inviato Sir a Bari, Daniele Rocchi

Un piano ecumenico di pace per il Medio Oriente; accompagnare rappresentanti cristiani mediorientali presso le capitali delle grandi potenze mondiali, Mosca, Washington, Bruxelles e New York (Onu) per far udire la loro voce; dare piena cittadinanza ai cristiani rimuovendo dai documenti d’identità ogni riferimento alla fede professata: sono queste alcune delle proposte concrete emerse dal Colloquio internazionale “Cristiani in Medio Oriente: quale futuro?”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio che si è chiuso oggi (30 aprile) a Bari alla presenza dei patriarchi delle Chiese d’Oriente e d’Occidente. Due giorni di lavori durante i quali, ha riferito il presidente della Comunità, Marco Impagliazzo, è risuonato forte il grido della minoranza cristiana del Medio Oriente rivolto a un “Occidente, Ue in testa, per troppo tempo indifferente”.

“Pilatesca stasi”. A fare paura non è solo lo Stato islamico, con le sue brutali violenze, ma anche l’inazione e l’ignavia della comunità internazionale, la sua incapacità di trovare vie di uscita a vecchi e nuovi conflitti. “Pilatesca stasi” l’ha chiamata Chrisostomos II, arcivescovo ortodosso di Nuova Giustiniana e di tutta Cipro. “Guardiamo con dolore i drammatici fatti che hanno luogo, da molti anni, in Medio Oriente e specialmente nella nostra vicina Siria. Ma se quello che sta accadendo in Siria ci provoca dolore e disgusto, che dire della pilatesca stasi dei potenti della Terra? Cosa dire delle Nazioni Unite, che sono state fondate nel nome della pace e che si vantano della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e della lotta per essi? Rimangono - purtroppo - semplici spettatori di ciò che sta accadendo nei nostri Paesi confinanti”. Come, naturalmente, sono rimaste “semplici spettatori” anche nel 1974, e continuano a rimanere tali ancora oggi a Cipro, dove i turchi “illegalmente occupano il 38% del nostro territorio e un totale di 520 nostre chiese, molte delle quali distrutte”. 

La nazione della Croce. “Siamo davanti a una epurazione etnica e culturale: si vuole sradicare dalla carta geografica un popolo e la sua cultura” ha gridato monsignor Yousif Thomas Mirkis, arcivescovo caldeo di Kirkuk (Iraq), ricordando che lo Stato islamico “se la prende con le chiese, con i musei, con tutti coloro che non rientrano nella loro visione dell’Islam. Esiste la volontà di far scomparire i cristiani, “la nazione della croce”. Dopo sette mesi di bombardamenti aerei delle più potenti aviazioni del mondo l’Is non è arretrato, bisognerà trovare altre opzioni”. Nonostante le difficoltà - la Chiesa caldea ha perso 5 diocesi e ha avuto tre vescovi martiri, e centinaia di preti, di religiose e di fedeli colpiti - “siamo giorno e notte occupati ad aiutare i 140mila cristiani sfollati che (come tutte le minoranze) soffrono dell’indifferenza locale, regionale e internazionale. Sono sempre le minoranze e i deboli che pagano le follie dei grandi!”, è stata la triste ammissione dell’arcivescovo caldeo, al quale non manca la speranza: “In questa discesa agli inferi le nostre Chiese devono evitare la dispersione e il ripiegamento su loro stesse ed evitare di cedere ai sogni e alle chimere, non avere paura di guardare la realtà in faccia; l’emigrazione non è l’unica soluzione. Il nostro ruolo è quello di resistere e di servire il nostro Paese al massimo livello”. 

“Basta con le teorie”. Mosul, la Piana di Ninive, Ma’loula, Sadad, Al-Qusair, Homs, Kasab e i 23 villaggi del Khabour, ovvero alcuni dei luoghi del massacro cristiano in Siria e Iraq: Ignace Youssif III Younan, patriarca siro-cattolico di Antiochia, li ha citati uno ad uno, per ricordare come i cristiani siano “un bersaglio facile d’intimidazioni abusive, espulsioni selvagge e anche assassinii” in Iraq e nel Medio Oriente. Ciò che sta accadendo, ha rimarcato, è “una macchia vergognosa nella storia delle grandi potenze e una minaccia per tutte le civiltà. Più di 60 chiese, monasteri e istituzioni cristiane, alcune risalenti ai primi secoli della Cristianità e considerate tesori della Mesopotamia, sono state prese, saccheggiate, sconsacrate, distrutte o convertite in moschee”. E oggi, ha detto senza mezzi termini, “a peggiorare la situazione dei cristiani è l’opportunismo ipocrita della politica dei governi occidentali. Questi dovrebbero riconoscere la loro responsabilità come complici delle atrocità commesse dall’islam politico, che ha fomentato una spirale di crisi violente nella regione”. “È triste da dire - ha concluso Youssif III - che nei rapporti con l’islam, l’Occidente non si interessa che a tre elementi: l’Umma, la nazione musulmana estesa dall’Estremo Oriente all'Occidente, i petrodollari dei Paesi del Golfo e lo jihadismo radicale che diffonde il terrore e minaccia popoli e civiltà dell’Occidente! Purtroppo le comunità cristiane del Medio Oriente, non possiedono nessuno di questi tre elementi!”. Per i patriarchi delle Chiese d’Oriente, “il tempo delle teorie è finito. È ora di agire”.

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Altri interventi (1) (2) 

Tertulliano - "La Carne di Cristo"



Tertulliano - La Carne di Cristo 


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Udienza di Papa Francesco ai partecipanti all’Incontro promosso dal Movimento dei Cursillos di Cristianità.




  1. Udienza di Papa Francesco ai partecipanti all’Incontro promosso dal Movimento dei Cursillos di Cristianità. "Per aiutare gli altri a crescere nella fede, compiendo un percorso di avvicinamento al Signore, occorre sperimentare in prima persona la bontà e la tenerezza di Dio"

    Questa sera, alle ore 18.00, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti alla terza Ultreya Europea (Roma, 30 aprile – 1° maggio), incontro promosso dal Movimento dei Cursillos di Cristianità."Tutto nella comunità ecclesiale ha come fine il far toccare con mano alle persone l’infinita misericordia divina."
    Cari fratelli e sorelle,

     (...) Saluto tutti voi, appartenenti al Movimento dei Cursillos di Cristianità d’Europa, assieme ai Vescovi e ai sacerdoti che vi accompagnano. Siete venuti a Roma per la vostra Ultreya, nome che riprende l’antico saluto dei pellegrini di Santiago de Compostela, che si incoraggiavano a vicenda ad andare “più in là”, “sempre oltre”. Questa è per voi una vera riunione fra amici, un incontro fraterno di preghiera, di festa e di condivisione della vostra esperienza di vita cristiana. Ringrazio i vostri rappresentanti che mi hanno manifestato i propositi, le problematiche e le prospettive del vostro Movimento. Da parte mia, vorrei offrirvi alcuni suggerimenti utili alla vostra crescita spirituale e alla vostra missione nella Chiesa e nel mondo.
    Voi siete chiamati (...) a mettere a frutto il carisma che il Signore vi ha affidato e che è all’origine dei Cursillos de Cristiandad, nel cui gruppo di iniziatori spiccano Eduardo Bonnín Aguiló e l’allora Vescovo di Mallorca, Juan Hervas y Benet, che seppe accompagnare la crescita del Movimento con paterna sollecitudine. Negli anni Quaranta del secolo scorso essi, insieme ad altri giovani laici, si resero conto della necessità di raggiungere i loro coetanei scorgendo il desiderio di verità e di amore presente nel loro cuore. Questi pionieri del vostro Movimento furono autentici missionari: non esitarono a prendere l’iniziativa e coraggiosamente si avvicinarono alle persone, coinvolgendole con simpatia e accompagnandole nel cammino della fede con rispetto e amore. (...) Seguendo il loro esempio, anche voi oggi volete annunciare la Buona Notizia dell’amore di Dio, facendovi vicini agli amici, ai conoscenti, ai compagni di studio e di lavoro perché anch’essi possano vivere un’esperienza personale dell’amore infinito di Cristo che libera e trasforma la vita. Quanto è necessario uscire, anare oltre, senza mai stancarsi, per incontrare i cosiddetti lontani!
    Per aiutare gli altri a crescere nella fede, compiendo un percorso di avvicinamento al Signore, occorre sperimentare in prima persona la bontà e la tenerezza di Dio. 
    (...) Infatti noi siamo mossi dal desiderio di offrire misericordia quando facciamo esperienza dell’amore misericordioso del Padre per noi stessi (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 24). Il Signore vuole incontrarci, dimorare con noi, essere nostro amico e fratello, il nostro maestro che ci rivela la strada da percorrere per giungere alla felicità. Egli non ci chiede nulla in cambio, chiede solo di accoglierlo, perché l’amore di Dio è gratuità, dono puro. (...) L’incontro con Cristo, e con la misericordia del Padre che Egli ci dona, è possibile anzitutto nei Sacramenti, in particolare nell’Eucaristia e nella Riconciliazione. Nella Santa Messa noi celebriamo il memoriale del suo sacrificio: ancora oggi Egli realmente dona il suo Corpo per noi e versa il suo Sangue per redimere l’umanità. Nella Penitenza Gesù ci accoglie con tutti i nostri limiti e peccati, per donarci un cuore nuovo capace di amare come Lui, che amò i suoi sino alla fine (cfr Gv 13,1). (...) 
    Un’altra via è la meditazione della parola di Dio, specialmente la lectio divina, (...) mediante la quale possiamo ascoltare il Signore che ci indica il cammino da percorrere e ci incoraggia di fronte alle incertezze e difficoltà che la vita presenta. Infine, incontriamo l’amore di Cristo nella Chiesa, che testimonia nelle diverse attività la carità di Dio. (...) Tutto nella comunità ecclesiale ha come fine il far toccare con mano alle persone l’infinita misericordia divina. (...) 
    Il metodo di evangelizzazione dei Cursillos nacque proprio da questo ardente desiderio di amicizia con Dio, dalla quale scaturisce l’amicizia con i fratelli. Fin dall’inizio si è capito che solamente all’interno di relazioni di amicizia autentica era possibile preparare e accompagnare le persone nel loro cammino, un cammino che parte dalla conversione, passa attraverso la scoperta della bellezza di una vita vissuta nella grazia di Dio, e giunge fino alla gioia di diventare apostoli nella vita quotidiana. E così, da allora, migliaia di persone in tutto il mondo sono state aiutate a crescere nella vita di fede. Nel contesto odierno di anonimato e di isolamento tipico delle nostre città, quanto è importante la dimensione accogliente, familiare, a misura d’uomo, che voi offrite negli incontri di gruppo. (...) Possiate sempre mantenere il clima di amicizia e fraternità in cui pregare e condividere ogni settimana le esperienze, i successi e i fallimenti apostolici. (...)  
    A queste riunioni di piccolo gruppo è importante affiancare momenti che favoriscano l’apertura ad una dimensione sociale ed ecclesiale più grande, coinvolgendo anche chi è venuto in contatto con il vostro carisma ma non partecipa abitualmente ad un gruppo. (...) La Chiesa, infatti, è una «madre dal cuore aperto» che ci invita a volte a «rallentare il passo», a «mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare», a «rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 46). È bello aiutare tutti, anche chi fa più fatica nel vivere la propria fede, a rimanere sempre in contatto con questa madre Chiesa, sempre vicini a questa grande famiglia accogliente che è la Chiesa, la nostra Santa Madre Chiesa. (...) 
    Vi incoraggio ad andare “sempre oltre”, fedeli al vostro carisma! A tenere vivo lo zelo, il fuoco dello Spirito che sempre spinge i discepoli di Cristo a raggiungere i lontani, senza fare proselitismo, a «uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (ibid., 20). 
    (...) 
    Com’è bello annunciare a tutti l’amore di Dio che salva e dà senso alla nostra vita! Aiutare gli uomini e le donne di oggi a scoprire la bellezza della fede e della vita di grazia che è possibile vivere nella Chiesa, nostra madre! (...) E lo farete se sarete docili, in atteggiamento di umiltà e fiducia, alla guida di questa santa madre, la Chiesa, che sempre cerca il bene di tutti i suoi figli; se sarete in sintonia con i vostri Pastori e uniti con loro nella missione di portare a tutti la gioia del Vangelo.
    Vi assista nel vostro cammino e nel vostro apostolato la Vergine Maria, Madre della divina Grazia. 

    (Infine il Santo Padre rivede alcune delle domande poste all'inizio dell'incontro e a braccio offre alcune risposte o integra alcuni passaggi precedenti della sua catechesi) 
    Vi ingrazio tanto e vi chiedo per favore di pregare per me perché anche il Papa deve essere fedele allo Spirito Santo.
    (Prima della Benedizione il Papa invita ai presenti a recitare insieme un'Ave Maria).

  2. *
  3. Movimento dei Cursillos di Cristianità in Italia

    www.cursillositalia.org/

    Un Movimento di Chiesa che aiuta la singola persona a scoprire e a rispondere alla propria vocazione personale e promuove la creazione di gruppi cristiani ...

Expo, il cibo oltre i sofismi




Papa Francesco alle 12.15 interviene in diretta all'inaugurazione di Expo Milano 2015. Alle 15.30 il Cardinale Gianfranco Ravasi inaugura il padiglione della Santa Sede 

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Expo, il cibo oltre i sofismi

di Paolo Foglizzo e Chiara Tintori

Aggiornamenti Sociali
Ci siamo. Dopo tanto discutere sulla sua utilità, il disorientamento generato dalle inchieste giudiziarie, il timore di non vedere realizzati gli spazi espositivi, Expo apre i battenti. Molte sono le prospettive con cui guardare all’evento o muoversi attraverso i padiglioni (per chi li visiterà) e a partire dalle quali valutarne i risultati. Per sfruttarne appieno le potenzialità e al tempo stesso governarne i rischi e le possibili ambiguità, a noi sembra fondamentale mantenere l’attenzione sul tema scelto dagli organizzatori: il cibo, in tutta la sua profondità e ricchezza. Proprio perché non c’è uomo senza cibo, quest’ultimo si presta a diventare la cartina di tornasole per fare una sorta di check up dello stato del nostro mondo e per proiettare il nostro sguardo e la nostra azione verso l’obiettivo di uno sviluppo autenticamente umano, che sappia coniugare quantità e qualità, equità e sostenibilità. 
Il cibo è infatti il terreno su cui si appoggiano le relazioni fondamentali di cui è intessuta la vita di ogni persona e di ogni società: possono fiorire nella direzione della vita buona per tutti, oppure avvitarsi lungo percorsi contraddittori e di esclusione. 

In primo luogo, nel cibo ciascuno sperimenta la relazione con se stesso, con il proprio essere un corpo e con i propri bisogni fondamentali. La necessità di nutrimento ci ricorda la fragilità della nostra condizione e il nostro bisogno di cura. Il modo in cui mangiamo è una spia del rapporto che abbiamo con noi stessi, come dimostrano le sempre più diffuse patologie che si radicano in disordini alimentari. Il cibo poi è segno della relazione con gli altri abitanti del pianeta: non è un caso che l’immagine elementare a cui si ricorre per spiegare il concetto di giustizia distributiva sia quella di una torta divisa in parti uguali, senza che nessuno resti a bocca asciutta mentre altri si ingozzano e sprecano. Non molto diversa è l’immagine conviviale del banchetto, utilizzata per parlare di rapporti armonici fra persone e gruppi sociali, etnici e religiosi: la tavola imbandita e il cibo condiviso sono da sempre la raffigurazione della pace nel suo senso più pieno, che non si limita all’assenza di guerra. Anzi, proprio attraverso la medesima immagine “alimentare” possiamo focalizzare l’unità profonda di giustizia e pace, di equità e convivialità. Non si tratta di contrapporre il “dovuto” al “condiviso” o al “donato”, ma di prendere coscienza che siamo di fronte a piani inestricabilmente legati tra loro: non c’è autentica convivialità quando i piatti dei commensali non contengono lo stesso cibo (in termini di quantità e qualità) e dunque la convivialità incorpora la giustizia, che ne rappresenta la base. Nello stesso tempo la consapevolezza dell’uguaglianza tra i commensali, implicita nella domanda di giusta distribuzione, non può non evolvere nella fratellanza e nell’armonia conviviale. 

Il cibo è anche un canale privilegiato della relazione dell’umanità con l’ambiente e con il pianeta: tocchiamo qui, solo per citarne alcune, la questione dell’impronta ecologica della filiera agroalimentare, della biodiversità, della corretta gestione dell’acqua, del suolo e dei rifiuti. Infine, da sempre il cibo, proprio per la sua intima valenza simbolica, è elemento fondamentale dell’esperienza religiosa e delle sue pratiche. Se tutte le religioni hanno prescrizioni alimentari, questo vale in modo sommo per la fede cristiana, in cui Dio sceglie il cibo come sacramento del dono di sé all’umanità. 

Il cibo, dunque, rappresenta una sorta di alfabeto relazionale con cui tracciare la mappa della nostra vita e del mondo contemporaneo, svelandone quelli che papa Francesco chiama i «paradossi» (Videomessaggio per l’Incontro “Le idee di Expo 2015 – Verso la Carta di Milano”, 7 febbraio 2015). Nelle pagine ne indicheremo alcuni dei più evidenti, per poi rivolgere la nostra attenzione alle dinamiche sistemiche da cui traggono origine. Il successo di Expo, in termini di autentico sviluppo umano, è legato non al numero dei visitatori, ma al fatto di rappresentare una opportunità per affrontare questi paradossi e cercare come offrire una alimentazione giusta, sostenibile e conviviale a tutti gli abitanti del pianeta. 


L’accesso, l’eccesso e lo spreco
Il paradosso più macroscopico è che «c’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare» (ivi): lo sappiamo da decenni, ma questo non può renderlo scontato o meno assurdo. Secondo i dati diffusi dalla FAO nel 2014 (cfr <www.fao.org>), il numero di quanti soffrono la fame nel mondo è diminuito di oltre 100 milioni negli ultimi dieci anni e di oltre 200 negli ultimi venti, ma le persone in stato di malnutrizione sono ancora 805 milioni: persiste dunque un problema nell’accesso al cibo, che non manca, ma è disponibile solo per chi dispone dei mezzi per acquistarlo. 

Altrettanto paradossale è il fatto che nel mondo, a fianco di 800 milioni di malnutriti, vivono 500 milioni di obesi e più di un miliardo di persone in sovrappeso. Il 65% della popolazione mondiale vive in Paesi dove le conseguenze dell’eccesso di cibo fanno più vittime della malnutrizione. Fame e obesità sono due facce della stessa medaglia, persino in Paesi dell’Africa subsahariana, come Nigeria e Uganda, cronicamente afflitti da denutrizione e carestie. Entrano qui in gioco stili di vita e scelte di consumo, spesso slegate da effettive necessità o dettate da condizionamenti a cui ampie fasce della popolazione non hanno gli strumenti per reagire in modo adeguatamente critico. 

Infine, nel mondo di oggi la fame convive con lo spreco di cibo. La FAO ha stimato che a livello mondiale esso sia pari a 1,3 miliardi di tonnellate all’anno, circa un terzo della produzione totale di cibo destinato al consumo umano, per un valore di circa 750 miliardi di dollari all’anno: una quantità più che sufficiente a dare cibo agli 800 milioni di vittime della malnutrizione. Nei Paesi poveri si tratta soprattutto di cibo che va perduto per mancanza di adeguati sistemi di conservazione (catena del freddo, magazzini di stoccaggio dei raccolti capaci di difenderli dai parassiti, ecc.) che ne causano il deperimento prima del consumo, aggravando l’insicurezza alimentare delle fasce più povere della popolazione. Nelle società opulente, invece, la dinamica dello spreco fa sì che venga gettato cibo ancora perfettamente commestibile, tra l’altro aggravando il problema, spesso già complesso, della gestione dei rifiuti. Sempre la FAO stima che nei Paesi sviluppati (Europa, America settentrionale e Oceania) lo spreco di cibo nella fase del consumo oscilli tra 95 e 115 kg pro capite all’anno (105 per quanto riguarda l’Italia). Anche in questo caso entra in gioco la capacità di gestire acquisti e consumi, in particolare dove il costo relativamente modesto dei prodotti alimentari rende meno percepibile il danno dovuto allo spreco, almeno a livello individuale; ma la questione chiama in causa anche l’organizzazione del sistema di produzione e distribuzione degli alimenti, da una etichettatura dei prodotti che renda correttamente comprensibili le indicazioni in merito alla scadenza, alla possibilità di dare una “seconda vita” alle rimanenze del settore della ristorazione collettiva (ad esempio gli avanzi delle mense), alla creazione di circuiti alternativi per la distribuzione dei prodotti ortofrutticoli difettosi alla vista ma perfetti dal punto di vista nutrizionale. 


Mercato, diritto e bene comune
Come abbiamo cominciato a intravedere, i paradossi del cibo si collocano all’intersezione di dinamiche, quali ad esempio il consumo, che si dipanano su una pluralità di piani diversi: individuale, sociale, economico, politico, ecc. In questa luce, rappresentano le linee di faglia in cui si manifestano le tensioni profonde che percorrono il nostro mondo. 

Giungiamo allo stesso risultato se riflettiamo su come il cibo possa essere considerato in modo molto diverso a seconda dell’angolo visuale da cui lo si guarda. Ci sembrano particolarmente rilevanti tre prospettive, che corrispondono a tre diverse logiche sistemiche sulla cui base si reggono istituzioni e dinamiche del mondo contemporaneo. 

In primo luogo, il cibo è senza dubbio un prodotto e un prodotto di mercato, visto che al mercato, come istituzione economica e sociale, è sostanzialmente affidata la filiera di produzione e distribuzione degli alimenti. Questo fatto ha certamente aspetti positivi, in particolare per la innegabile capacità del mercato di stimolare l’efficienza e quindi aumentare la produzione: il fatto che la disponibilità di cibo nel mondo sia complessivamente superiore ai bisogni caratterizza la nostra epoca, grazie al progresso tecnico-economico accumulatosi nei secoli, ma non l’intera storia dell’umanità, che per lunghi periodi ha invece dovuto fare i conti con una reale penuria alimentare. Tuttavia il mercato risulta assai meno efficace dal punto di vista della distribuzione, in quanto è in grado di soddisfare solo quei bisogni che, associandosi a una capacità di spesa, si trasformano in domanda. È questa la radice del problema dell’accesso al cibo da parte di coloro che sono troppo poveri per poterlo acquistare, evidenziando l’esistenza di bisogni che il mercato non è strutturalmente in grado di soddisfare e per la cui soddisfazione occorre cercare logiche alternative. 

Nella logica del mercato il cibo, come ogni altro prodotto, rappresenta una occasione di profitto. Quando la ricerca del profitto rappresenta l’unico criterio dell’azione, senza adeguati bilanciamenti – culturali, normativi, etici, ecc. – diventa una delle cause dei paradossi prima ricordati: la mentalità consumista che ne deriva incentiva il cattivo consumo alimentare, che mette a rischio la salute di molti, e lo spreco, visto che sul cibo gettato si guadagna due volte, quando viene venduto e quando viene smaltito. 

Una seconda prospettiva legge il cibo come diritto, all’interno di quel percorso di elaborazione di strumenti di tutela e promozione della dignità umana che ha dato origine al corpus dei diritti umani. Sul tema del diritto all’alimentazione e sulla ancora insufficiente tutela giuridica di cui gode ha riflettuto Filippo Pizzolato sullo scorso numero di febbraio («Il diritto all’alimentazione. Un bisogno fondamentale povero di tutele», in Aggiornamenti Sociali, 2 [2015] 131-141), a cui rinviamo. È interessante però sottolineare come proprio la questione del cibo mostri con chiarezza la differente logica che anima la prospettiva del mercato e quella dei diritti. Secondo la prima, che incorpora una definizione di giustizia basata sullo scambio tra equivalenti, è legittimo escludere dall’accesso a un bene – cibo compreso – coloro che non hanno le risorse per acquistarlo, mentre per la seconda «È stretto dovere di giustizia e di verità impedire che i bisogni umani fondamentali rimangano insoddisfatti e che gli uomini che ne sono oppressi periscano» (GIOVANNI PAOLO II, enciclica Centesimus annus, 1991, n. 34). 

Un terzo sguardo riconosce nel cibo un bene comune dell’umanità nel suo insieme, così come l’ambiente e la natura di cui la nostra specie ha bisogno per sopravvivere: dunque una risorsa di cui trovare le modalità di protezione e sviluppo più corrette, in modo che tutti ne possano usufruire, secondo il tradizionale principio della destinazione universale dei beni proposto dalla dottrina sociale della Chiesa. Si tratta di una ulteriore logica da comporre con le precedenti. L’esempio degli OGM aiuta a chiarirlo. Senza poter qui entrare nella questione – pur cruciale – dei possibili rischi legati al loro utilizzo nella linea del rispetto del principio di precauzione, ci limitiamo a osservare come la loro stessa esistenza riposi in buona parte su un apparato giuridico di tutela dei diritti di proprietà intellettuale che assicura ai detentori dei relativi brevetti non solo elevatissimi profitti, ma anche un dominio quasi assoluto, tale da negare alle popolazioni e ai Paesi che li coltivano qualsiasi potere decisionale in merito al loro uso. Ne hanno parlato, sulle nostre pagine, il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace («Per un dialogo autentico sugli OGM», in Aggiornamenti Sociali, 4 [2014] 278-291), e successivamente Claudio Malagoli («Brevetto alimentare: una nuova forma di colonialismo?», in Aggiornamenti Sociali, 12 [2014] 827-835). L’attuale assetto di questa materia non tutela dunque adeguatamente la natura di bene comune del cibo, pur rimanendo aperta la questione di come comporre questa tutela con la promozione della ricerca scientifica e tecnologica. Nel settore alimentare, così come in quello dei farmaci, «Ci sono forme eccessive di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale» (BENEDETTO XVI, lettera enciclica Caritas in veritate, 2009, n. 22). 

Un mondo giusto, sostenibile e conviviale ha bisogno di imparare a comporre meglio la pluralità di possibili prospettive intorno al cibo: ciascuna è portatrice di una verità senza considerare la quale risulta impossibile giungere a una reale soluzione dei problemi; anzi li si aggrava, erodendo quel capitale sociale e quella fiducia di cui anche il mercato, che non è in grado di risolvere i problemi sociali limitandosi a estendere la sua logica, ha bisogno per poter funzionare, senza però essere in grado di produrli. 


Un impegno contro i sofismi
Nel già citato videomessaggio del 7 febbraio, papa Francesco ha ricordato come nel mondo di oggi il cibo non sia solo terreno di paradossi, ma anche di sofismi, cioè di argomentazioni strumentali tese a depotenziare la carica di ingiustizia e disumanizzazione di quei paradossi. L’evento Expo e i milioni di persone che la visiteranno potranno rimanerne prigionieri, oppure incontrare una opportunità di smascherarli. È questa a nostro avviso la vera sfida di Expo, la più difficile da vincere, ma anche quella che promette di lasciare una eredità più rilevante sul percorso dell’umanità verso uno sviluppo equo e sostenibile. 

Per affrontare questa sfida, la Santa Sede partecipa a Expo con un proprio padiglione, mentre Caritas sarà presente con una propria edicola e con numerose iniziative, ad alcune delle quali collaborerà anche la nostra Rivista. L’impegno culturale di Aggiornamenti Sociali– proporre una riflessione sui paradossi e sui sofismi che circolano quando si parla di cibo – è cominciato ben prima che aprissero i cancelli di Expo. Le nostre pagine – cartacee e virtuali – degli ultimi mesi ne recano traccia e continueranno a farlo lungo i sei mesi dell’esposizione, stimolando una fruizione critica dell’evento. 

In questa chiave, Aggiornamenti Sociali ha scelto di sostenere il Protocollo di Milano (<www.protocollodimilano.it>) e quei contenuti che da esso sfoceranno nella Carta di Milano, un documento che verrà proposto alla firma dei Paesi partecipanti e dei visitatori. Si tratta di una serie di impegni per affrontare, a livello di scelte individuali e di politiche locali, nazionali e globali, i paradossi del cibo. Nelle intenzioni degli organizzatori e del Governo italiano sarà questa la principale eredità di Expo per il mondo. Ci interessa che sia bella, stimolante e il più possibile esente da sofismi. Altrimenti risulterà ben poco utile. 

Anche grazie al lavoro dei mesi scorsi in vista di Expo, abbiamo scoperto che il cibo non è terreno solo di paradossi e sofismi, ma anche di ricerche e riflessioni di valore e di buone pratiche di alimentazione giusta, sostenibile e conviviale, che aspettano di essere diffuse e condivise da un numero crescente di persone. Per questo rendiamo disponibili quelle incontrate nelle diverse iniziative che abbiamo organizzato nell’e-book Le dimensioni del cibo. 12 chiavi per entrare in Expo (reperibile sul nostro sito) e nel volumeNutrire il pianeta? Per un’alimentazione sostenibile, giusta, conviviale (a cura di Matteo Mascia e Chiara Tintori, Bruno Mondadori, Milano 2015), che presenteremo all’interno di Expo il 13 giugno. 

Per mantenere la promessa di cambiare il mondo, buone analisi, buone riflessioni e buone pratiche rappresentano una risorsa irrinunciabile, che, per dispiegare le loro potenzialità, richiedono l’impegno di tutti per tradursi anche in buone politiche e buone norme, tornando a saldare in un circolo virtuoso il livello delle scelte personali di stile di vita con quello della costruzione di strutture sociali più giuste e sostenibili per tutti, oggi e domani. Ci interessa che un evento come Expo non si risolva nella fruizione individualizzata di coloro che la visiteranno, ma metta in moto percorsi collettivi, anche a scala globale, in questa direzione.

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Chiesa di Milano

Papa Francesco interverrà domani venerdì 1° maggio alle 12.15 alla cerimonia di inaugurazione di Expo Milano 2015, con un collegamento in diretta reso possibile dalla collaborazione tra la Rai e il Ctv, Centro televisivo vaticano. 
Alle 15.30 il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e commissario generale della Santa Sede per Expo2015, inaugurerà con una cerimonia ufficiale il padiglione della Santa Sede all'interno dell’esposizione universale. L'evento si terrà nel padiglione della Santa Sede, i giornalisti sono invitati.
La Santa Sede sarà presente alla giornata inaugurale di Expo con una delegazione composta dal presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e commissario generale della Santa Sede per Expo2015 cardinale Gianfranco Ravasi; dall’arcivescovo di Milano cardinale Angelo Scola; dal segretario generale della Cei monsignor Nunzio Galantino; dal vice commissario del Padiglione della Santa Sede e membro del Pontificio Consiglio della Cultura monsignor Pasquale Iacobone; dal vice commissario del Padiglione della Santa Sede e vice direttore di Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti.
Per l’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola Scola: «È molto bella la decisione di Papa Francesco di intervenire all'inaugurazione di Expo con un proprio messaggio in diretta». Un evento, ha auspicato, «per condividere, come ci ricorda il Pontefice, e ribadire che “non di solo pane” vive l’uomo».
Al centro del decumano, vicino a Piazza Italia, si trova il Padiglione della Santa Sede, presente in Expo 2015 ufficialmente come Paese espositore: “Non di solo pane” è il tema del padiglione, all’interno del quale si sviluppa un percorso espositivo basato su diversi linguaggi artistici, dai più tradizionali a quelli innovativi, suddiviso in quattro grandi capitoli: “un giardino da custodire”, “un cibo da condividere”, “un pasto che educa”, “un pane che rende presente Dio nel mondo”. Sono stati inoltre attivati dei canali specifici di comunicazione: un sito internet www.expoholysee.org, un profilo Twitter @expoholysee e la pagina Facebook Chiesa in Expo. Il Padiglione della Santa Sede è promosso dal Pontificio consiglio della cultura (in rappresentanza del Vaticano), dalla Conferenza episcopale italiana e dall'Arcidiocesi di Milano.
La Santa Sede proporrà durante tutto il semestre espositivo un ampio palinsesto culturale incentrato sulle molteplici dimensioni, culturali, spirituali, sociali, ed economiche che il cibo assume. Il National Day della Santa Sede è programmato per il giorno 11 giugno: dopo la cerimonia ufficiale si terrà il dialogo pensato nell'ambito del Cortile dei Gentili e moderato da Monica Maggioni tra il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente Pontificio Consiglio della Cultura; Nicolas Hulot inviato speciale del Presidente della Repubblica francese per la protezione del Pianeta e Giuliano Amato presidente della Fondazione Cortile dei Gentili. 
La Chiesa sarà presente anche con l’Edicola di Caritas Internationalis che si trova nei pressi dell’ingresso principale ovest, vicino al padiglione Zero. Sono attivi un sito internetexpo.caritasambrosiana.it, un blog expoblogcaritas.com e due profili di twitter @expoblogcaritas e @caritas_milano.
L'indirizzo www.chiesadimilano.it/expo, sito ufficiale della Diocesi di Milano in Expo (al quale si aggiunge l’account di twitter @chiesadimilano) presenta il ricco programma di iniziative di sensibilizzazione sul tema di Expo in corso nelle 1.107 parrocchie in cui ai articola la Chiesa ambrosiana.