giovedì 28 gennaio 2016

"Ddl Cirinnà = ‪#‎Utero‬ in affitto"



"Ddl Cirinnà = ‪#‎Utero‬ in affitto"
‪#‎LaCroce‬ 28 Gennaio 2016
di Giovanna Armino
Nel confuso baccagliare che si fa attorno alle unioni civili, perlopiù puntando sul sentimentalismo e sul sensazionalismo (data l’occasione, hanno ripescato anche Charamsa dalla sua gaia Barcellona), si sente spesso “argomentare” che il disegno di legge da oggi al vaglio dell’aula di Palazzo Madama non costituirebbe una legalizzazione dell’utero in affitto. Allora lo spieghiamo passo passo
"D'accordo, mi spieghi tutto come se avessi due anni..." (da film "Philadelphia")
Il martellamento mediato a senso unico prosegue indisturbato a reti unificate sia nelle emittenti pubbliche che private.
Dopo “Presa Diretta” e “Le Iene”, la puntata del 26 gennaio de “La Strada dei Miracoli” (il vero miracolo è guardarla tutta), ospita un Charamsa in forma smagliante: parla della “sua” Chiesa “che deve convertirsi” (!?), perché offende gli omosessuali e li considera come “nazisti con i quali bisogna lottare o borse taroccate cinesi” e, ovviamente, esprime il proprio parere sulle unioni civili: “Il disegno di legge è un dovere cristiano e morale... che ci prepara…al matrimonio ugualitario”.
Infine una bella stoccata alla manifestazione del prossimo 30 gennaio, composta, a suo dire, da gente che va in piazza non per manifestare a favore della famiglia, ma per offendere gli omosessuali.
Finalmente uno che parla chiaro: il disegno di legge è il primo passo verso il matrimonio egualitario, perché, alla base, ci sarebbe una forte discriminazione a carico delle persone omossessuali.
Per capire di cosa stiamo parlando, vi rimando (non ci crederete) al film “Philadelphia” - con Tom Hanks e Denzel Washington - del 1993, cioè del secolo scorso sotto tutti i punti di vista.
A parte le cadute di stile sdolcinate in perfetto stile hollywoodiano, viene spiegata l’essenza del principio di non discriminazione, violato quando situazioni sostanzialmente uguali ricevono un trattamento diverso.
Il brillante avvocato Andrew Beckett (nei film sono tutti professionisti intelligentissimi) viene licenziato dal prestigioso studio per cui lavora, perché malato di Aids e omosessuale.
Il film è di grande impatto, costruito anche astutamente per provocare fiumi di lacrime, ma centra il punto: non si può licenziare - quindi trattare in modo diverso, cioè discriminare - un collaboratore perché ammalato o, peggio, per le proprie inclinazioni riguardanti la sfera sessuale o affettiva.
E’ questa l’essenza e la natura dei diritti individuali, che da semplice aspettativa o desiderio, ottengono tutela piena dall’ordinamento giuridico quando non entrano in conflitto con diritti già esistenti in capo ad altri; in caso contrario, vanno messi a confronto le rispettive posizioni per verificare se e quanto sia possibile riconoscere i nuovi possibili diritti.
Perché vi sto tediando con queste (amare) pillole di diritto?
La risposta è che mi piacerebbe fosse chiara la differenza tra il diritto - sacrosanto - del lavoratore omosessuale a non essere discriminato sul posto di lavoro e il diritto di cui diventerebbe titolare con l’introduzione della stepchild adoption, che coinvolge a sua volta un bambino, cioè un soggetto a favore del quale sono predisposte tutele nazionali e sovranazionali, di cui non si può non tenere conto.
Ripetendo la battuta di Denzel Washington, dico a me stessa: “D’accordo. Mi spieghi tutto come se avessi due anni…”.
Proviamoci!
L’articolo 5 del disegno di legge sulle unioni civili modifica l’articolo 44 lettera b) della legge 4 maggio 1983 n. 184, che verrebbe a suonare così: “I minori possono essere adottati anche…dal coniuge o dalla parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge”.
Ora - posto che per via giurisprudenziale, oltre alle coppie coniugate, sono ammessi anche i singoli e i conviventi - quando il Tribunale di Roma, con sentenza del 29/08/2014 ha accolto la domanda di adozione in favore della compagna della madre biologica, introducendo di fatto la stepchild adoption, ha fatto proprio riferimento a questo articolo, stabilendo che, in caso contrario, la richiedente sarebbe stata discriminata in ragione dell’orientamento sessuale.
Non può certo dirsi che il giudice abbia applicato la legge (che non c’è), avendola invece a tutti gli effetti creata, secondo una propria personale visione ed interpretazione delle norme oltre all’indebita pressione esercitata sul Parlamento.
Altro aspetto da dirimere è l’ormai noiosa questione se il d.d.l. Cirinnà introduca o meno l’utero in affitto.
Rispondo che il fenomeno attraverso il quale ciò avviene si chiama “turismo procreativo”.
Su twitter, un estimatore (che mi riserva sempre curiosi epiteti), qualche settimana fa mi chiedeva: “Chi ha coniato questo nome orribile? Lei in una sua fantasia notturna?”.
Tralasciando le mie fantasie notturne (con quattro figli non si va a dormire, ma si finisce stramazzati sul letto), rispondo a lui e a voi che questa definizione si trova in uno studio del 2013, effettuato dal Dipartimento tematico C diritti dei cittadini e affari costituzionali presso il Parlamento Europeo, finalizzato a verificare se esiste la possibilità da parte dell’Unione Europea di intervenire per uniformare le diverse legislazioni in materia di maternità surrogata nei diversi paesi.
Qui si legge che il “turismo procreativo” è quel fenomeno per cui i genitori committenti (si chiamano così perché commissionano l’affare, cioè il bambino) si recano in un altro paese, dove i contratti di maternità surrogata sono ammessi o risultano agevolati o meno onerosi o dove le madri surroganti chiedono un compenso più basso.
Per la verità la coppia, di solito, prima contrae “matrimonio” dove questo è ammesso e poi va alla ricerca del paese in cui affittare l’utero, scegliendolo ovviamente a seconda delle disponibilità economiche; quindi rientra a casa propria chiedendo il riconoscimento di ciò che si è fatto illegalmente all’estero.
Dove la pratica è ammessa esistono agenzie specializzate che, come sappiamo, curano i clienti nel corso di ogni fase.
Non so quanti di voi sanno, per esempio, che il disegno di legge di cui stiamo discutendo è stato redatto dall’avvocato Ezio Menzione, segnalato nel sito web maternitàsurrogata.info come studio legale di riferimento, il quale - in un’intervista al Corriere del 2008 - spiega sostanzialmente come eludere il divieto vigente in Italia, consigliando di rivolgersi a quei paesi che rilasciano il certificato di nascita con validità internazionale, così non bisogna passare nemmeno dal consolato.
Arrivati a questo punto, mi ripeto la battuta di Denzel Washington (ricordate? “D’accordo. Mi spieghi tutto come se avessi due anni…”).
Allora, l’articolo 5 del d.d.l. Cirinnà introduce per le coppie omosessuali il diritto di adottare il figlio naturale del partner.
Per le unioni formate da donne, una delle due ricorrerà all’inseminazione artificiale con donatore anonimo e metterà al mondo un bambino al quale è probabilmente preclusa per sempre la possibilità di sapere chi è il padre, oltre ovviamente a non avere accanto a sé alcuna figura paterna sostitutiva di quella biologica, perché la signora ha una compagna che non vede l’ora di adottare suo figlio.
Per le unioni formate da uomini, uno dei due ricorrerà all’utero in affitto andando all’estero.
Entrambe le coppie si saranno precedentemente “sposate” dove è ammesso il matrimonio egualitario e, siccome i paesi in cui di solito ci si sposa sono diversi da quelli in cui si va ad affittare l’utero, avrete capito perché si parla di “turismo procreativo”!
A questo punto sarete stanchi di leggere per cui chiudo con una domanda: ma secondo voi il legislatore italiano, che da una parte vieta la maternità surrogata (articolo 12 della legge n. 40 del 2004) e dall’altra intende approvare una legge che - introducendo la stepchild adoption per le coppie omosessuali - legittima in Italia gli effetti dell’utero in affitto fatto all’estero, come minimo non viola il principio di non contraddizione?
E’ pur vero che non si poteva pretendere di più, considerando che il redattore della legge è consulente esperto in materia favorevole all’introduzione della pratica e qualche parlamentare ha commesso all’estero una condotta vietata nel Paese che rappresenta.
Il cerchio si chiude".