martedì 26 gennaio 2016

Gli errori di Carron e la bellezza della piazza (non solo) cattolica




"ERRORI DI CL E FIERA ‪#‎BELLEZZA‬ DELLA PIAZZA CATTOLICA"
‪#‎LaCroce‬ del 26 Gennaio 2016
di Davide Vairani
La lettera di Carrón al Corriere gravitava tutta attorno a tre errori: l’equiparazione delle posizioni in campo, una bizzarra concezione della “libertà di coscienza” e dell’appello dei Vescovi all’autonomia dei laici, l’oblio di quell’«esercito bianco che non puzza di sacrestia», che sconvolge gli equilibri.
"CL non si mobiliterà per il Family Day: “libertà di coscienza”.
La “piazza” non è la strada giusta per il successore di don Giussani.
Il Family Day è “pietra d’inciampo” per il popolo di Comunione e Liberazione. Era già accaduto in vista del 20 giugno per il raduno di Piazza San Giovanni a Roma. Poi “l’incidente” al Meeting di Rimini con l’annullamento di un evento previsto sul tema dell’ideologia gender. Poi il silenzio degli organi ufficiali del Movimento sul tema (“Tracce” ad esempio) e la derubricazione dal dibattito interno.
Julian Carròn questa volta affronta il “tema” sia pubblicamente che all’interno del movimento nato nel ’68 dall’intuizione e carisma di don Luigi Giussani. Lo fa con una lettera al “Corriere della Sera” in data 24 gennaio 2016 (“Il disegno di legge Cirinnà approda in Parlamento. Qual è la causa dell’asprezza dello scontro in atto?”).
Lettera che in ordine cronologico fa seguito ad una lunga risposta che lo stesso Carròn dà durante l’ultima “Scuola di Comunità” (20 gennaio 2016) ad una precisa domanda che gli viene posta. La “Scuola di Comunità” è il metodo di catechesi che CL si è da sempre data per approfondire e condividere il cammino alla fede di ciascuno e che viene condotta direttamente da Carròn in video-collegamento con tutte le comunità di ciellini di tutta Italia.
“Caro direttore – scrive Carròn al “Corsera”, dopo mesi di discussioni intorno alle unioni civili, il disegno di legge Cirinnà approda in Parlamento, scatenando una nuova manifestazione di piazza, anzi due, una a favore e una contraria. Chi sostiene il progetto reclama il riconoscimento di nuovi diritti; chi vi si oppone lo fa per difendere diritti tradizionali.
Qual è la causa dell’asprezza dello scontro in atto?”
Carròn individua la causa di “tale asprezza” nel fatto che “una parte dell’opinione pubblica rivendica questi nuovi diritti come una conquista di civiltà, un’altra li considera un attentato ai valori fondanti la civiltà occidentale. Perciò intorno ad essi si producono fratture sociali e conflitti politici che sembrano insanabili”.
Perché accade tutto questo?
Per Carròn entrambe le “parti” pescano “in ultima istanza, in esigenze profondamente umane: il bisogno di amare e di essere amati, il desiderio di essere padri e madri, la paura di soffrire e di morire, la ricerca della propria identità. Ecco il perché della loro attrattiva e del loro moltiplicarsi, con la segreta aspettativa che l’ordine giuridico possa risolvere il dramma del vivere e garantisca ‘per legge’ una soddisfazione dei bisogni infiniti propri di ogni cuore”.
E Carròn si spinge più avanti: “La proposta Cirinnà nasce dentro questo contesto, con l’intento di rispondere al desiderio di un compimento affettivo tra persone dello stesso sesso che si legano tra loro, configurando nuove formazioni sociali e reclamandone il riconoscimento. Con tutto il rispetto dovuto al dibattito giuridico, qui mi preme sottolineare che a tema è sempre l’uomo e la sua realizzazione. Dietro ogni tentativo umano c’è un grido di compimento. Ma questo tentativo, per quanto sincero, è in grado di rispondere?”.
E più avanti: “L’insoddisfazione può essere risanata con l’approvazione di una legge? Tanti credono di sì. Questo spiega la lotta accanita per approvarla. D’altra parte, chi ritiene che questo mini le basi della società si oppone spesso con lo stesso accanimento, senza riuscire a sfidare minimamente, anzi, alimentando, la posizione che combatte”.
Carròn (ma non nella lettera al “Corsera”, bensì alla Scuola di Comunità) ci tiene a dire: “Chiarisco subito che questo disegno di legge ha molti aspetti critici, come hanno osservato autorevoli commentatori. I punti più problematici e negativi sono la sostanziale assimilazione delle unioni civili al matrimonio e l’introduzione della possibilità dell’adozione da parte di coppie omosessuali”.
Dunque, la questione di fondo per Carròn qual è?
Risposta: occorre testimoniare ciascuno con la propria vita l’Incontro con Cristo che cambia tutto. Carròn riprende a tal proposito una frase di don Giussani: “In una società come questa non si può creare qualcosa di nuovo se non con la vita: non c’è struttura né organizzazione o iniziative che tengano. È solo una vita diversa e nuova che può rivoluzionare strutture, iniziative, rapporti, insomma tutto”. La stessa vita che sfidò la sete della donna di Samaria che i cinque mariti non avevano soddisfatto. Non è forse questo che tutti si aspettano da noi cristiani?”.
Ecco allora per Carròn la “risposta vera al Family Day.
“Qual è, dunque, il vero contributo che ciascuno di noi cristiani è chiamato ad offrire al dibattito in corso, nella fedeltà alla tradizione della Chiesa e ai suoi insegnamenti, che non sono in discussione? «Noi sappiamo che la migliore risposta alla conflittualità dell’essere umano del celebre homo homini lupus di Thomas Hobbes è l’"Ecce homo" di Gesù che non recrimina, ma accoglie e, pagando di persona, salva».
È da questa certezza testimoniata da papa Francesco che possiamo partire nel rapporto con chiunque, per «costruire insieme con gli altri la società civile» (Firenze, 10 novembre 2015), offrendo - fin dove è possibile - il nostro contributo per migliorare le cose, in vista del bene di tutti”.
E conclude (sempre nel suo intervento alla Scuola di Comunità): “È da qui che si può partire per ricostruire insieme con gli altri la società civile, altrimenti tutto resta impigliato nella rete delle parzialità, degli schemi e delle contrapposizioni. Spero che questi suggerimenti ci consentano di giudicare anche l’utilità della manifestazione del prossimo 30 gennaio. Poiché si tratta di un evento promosso dai laici, e dal momento che anche questa volta la Chiesa italiana non ha dato alcuna indicazione vincolante - rispettando la libertà dei laici -, ciascuno decida da laico che cosa fare, verificando nella propria esperienza la ragione ultima di questa sua decisione”.
Da persona che ha un debito profondo con don Giussani e con il Movimento di Comunione e Liberazione e che sarà a Roma il 30 gennaio 2016 non posso che essere rattristato dalle parole di Carròn.
Ci ho riflettuto, meditato (e anche pregato) molto prima di prendere la penna. Non sono davvero nessuno e non ho alcun “titolo” per “giudicare” la posizione di Carròn. Una delle poche cose che ho imparato nella vita è l’umiltà di seguire – da credente – la Chiesa e di avere profondo rispetto e stima per ogni sacerdote che nella Chiesa ha il compito di annunciare che Cristo è (davvero) Risorto e lo fa (come Carròn) con un unico obiettivo: essere davvero di Cristo.
E allora perché sono rattristato? – mi sono chiesto.
Perché – mi sono risposto – proprio da CL avrei voluto vedere un sussulto e una passione per l’umano tale da nemmeno mettere in discussione la presenza di movimento e di popolo andare in piazza il 30 gennaio.
La “piazza” non è una risposta adeguata alla domanda di felicità e di compiutezza che tutti gli uomini hanno nel cuore?
Certo che no. O meglio, rigiro la domanda: perché la piazza non può essere una occasione per sperimentare davvero la bellezza dell’essere famiglia fatta da uomo e donna?
La “piazza” è un ritrovarsi.
E’ un “luogo” fisico dove un milione di persone il 20 giugno scorso si sono ritrovate anzitutto per fare festa. In quella piazza non c’è stato un coro, uno striscione, una parola dal palco “contro qualcuno”. Andate a cercare un video in cui vi sfido a trovare una parola, una sola, contro qualcuno. Non la troverete. Perché non c’è stata.
Io in piazza c’ero. E ho visto volti pieni di luce e di felicità perché nonostante la fatica del viaggio e dell’acqua torrenziale che si è abbattuta prima dell’inizio ufficiale tutti (ma proprio tutti) avevano un solo obiettivo: testimoniare insieme che si può vivere così.
La “piazza” non ha detto solo dei NO.
Ha detto e chiesto dei SI. Sì a politiche serie di sostegno alla famiglia, sì ad una cultura che non veda la famiglia come un costo per lo stato ma come un investimento per il futuro del Paese. Un Paese, una società, non sta in piedi se non si investe sul futuro nel presente. E il presente si chiama “figli”.
Non ho voglia di fare citazioni.
Ma non posso tacere il fatto che nella posizione di Carròn ci siano – a mio avviso – tre errori.
Il primo.
Non corrisponde alla verità (alla realtà dei fatti) dipingere la scena come se ci fossero due “parti” che si stanno azzannando in nome di una legge. Una parte pro e una parte contro. Mi pare assai riduttivo. Soprattutto se (in qualche modo) si cerca di riconoscere “legittimità” ad entrambe queste “parti”.
Vorrei sommessamente evidenziare che in questo caso c’è una sola “parte” che pretende di essere la totalità e che, in nome di presunti diritti negati, vuole a tutti i costi fare passare un pensiero unico.
Quale è questo pensiero unico? L’idea che ciascuno di noi “individui”, proprio come tali, abbiamo il diritto di vedere soddisfatti (e dunque riconosciuti da una legge) tutti i desideri che abbiamo. Compreso il fatto di poterci comprare un bambino attraverso la stepchild adoption e il ricorso conseguente alla pratica dell’utero in affitto. Pratica che vorrei ricordare definita “abominevole” non solo dai cattolici che la piazza la stanno organizzando, ma da una parte della sinistra (in primis Livia Turco del Pd) e da molte femministe di “Se non ora quando”. E di fronte al fatto che il 28 gennaio tutto questo possa diventare legale in Italia è giusto, è cristiano è accettabile restare in silenzio e non andare in piazza?
Il secondo.
“La Chiesa italiana non ha dato alcuna indicazione vincolante. Ciascuno decida da laico che cosa fare, verificando nella propria esperienza la ragione ultima di questa sua decisione”, scrive Carròn.
Cosa significa l’aggettivo “vincolante”? Noi per primi – vorrei sommessamente ricordare – sia il 20 giugno che oggi abbiamo lanciato una sfida ai laici italiani. Ai laici cattolici e a tutte le persone di buona volontà, di qualsiasi religione, provenienza, estrazione essi fossero. Perché abbiamo fatta nostra la parola di Papa Francesco sui Vescovi-pilota. Noi in nome della libertà di coscienza e della fedeltà alla tradizione della Chiesa abbiamo coraggiosamente deciso di prenderci sulle spalle una sfida nella sfida: laici, famiglie, diventiamo protagonisti della società in cui siamo. Abbiamo a tal punto raccolto le parole di Papa Francesco che non abbiamo atteso alcuna benedizione dall’alto delle gerarchie cattoliche per muoverci.
E tuttavia, da cattolico, mi domando: perché tanti Vescovi stanno invitando i fedeli ad andare a Roma? Perché il Presidente della CEI, Card. Angelo Bagnasco, non ha usato mezze parole per invitare tutti ad andare in piazza al Family Day?
E un’altra domanda: se siamo (e ne sono certo valga anzitutto per Carròn e per il Movimento di CL) fedeli alla tradizione e al Magistero, perché si continua a fare finta che l’ultimo pronunciamento dei Vescovi italiani rimane quella famosa Nota del 2007 in vista del Family Day contro i DICO del Governo Prodi?
Il terzo
C’è una cosa che ancora non riesco a comprendere. Che cosa è cambiato in questi ultimi cinque anni? Nel 2007 tutte le realtà cattoliche sono scese in piazza a manifestare contro i Dico, compresa Comunione e Liberazione. Quale giudizio differente è intervenuto oggi?
Sono andato a rileggermi un vecchio articolo su “Tracce” N. 6, Giugno 2007 intitolato “Family Day. Un popolo in piazza” di Carlo Dignola.
“Il 12 maggio un milione di cattolici e di laici per una manifestazione promossa non da uno schieramento, ma da un mondo in cui la famiglia è il modo normale di trasmettere la vita e la fede. Un fatto che rompe ogni schema precostituito. “Che rischi comporta per la democrazia italiana questa nuova e duplice veste della Chiesa che è insieme autorità e gruppo di pressione, cielo e terra, pulpito e piazza?» si chiedeva la Repubblica tre giorni dopo il Family day, nelle sue raffinate pagine culturali: touché!
Un milione di persone portate in piazza San Giovanni non da Cgil, Cisl e Uil, ma dal Forum delle Associazioni familiari, e da Neocatecumenali, Cl, Acli, Azione cattolica, Rinnovamento nello Spirito, Mcl, Focolarini, sant’Egidio insieme a decine di altre importanti sigle cattoliche riunite per la prima volta insieme, hanno sollevato un certo venticello: la Chiesa sono venti secoli che è «autorità e gruppo di pressione, cielo e terra, pulpito e piazza», solo che da una trentina d’anni la buona borghesia che legge il giornale fondato da Eugenio Scalfari se l’era potuto beatamente scordare: dopo il 12 maggio sente nell’aria dei “rischi”, ma non è certo la nostra forma politica parlamentare a correrli.
«In effetti, era un pezzo che non succedeva» ha confermato l’ineffabile Giulio Andreotti: c’era anche lui su una seggiolina sotto il palco, a fare il “cattolico movimentista”, post-politico, tra Berlusconi con Il Manifesto sottobraccio, il ministro Fioroni, la Binetti (in versione sorridente). «È bene che le famiglie, che i cattolici tornino in piazza. È una reazione salutare». C’era una nuova “azione cattolica” in piazza il 12 maggio, che va ben oltre i confini di quella tradizionale.
Per Alessandro Cecchi Paone, l’uomo del “coraggio laico” che a piazza Navona nel frattempo faceva il tribuno della créme, quella del Family day doveva essere la piazza “dei clericali e dei fascisti”. Invece è stata la piazza delle mamme e dei biberon, dei padri a geometria stabile, dei nonni a tutto campo, irriducibili, di un’Italia allegra, ma con le idee chiare. Pochi preti in giro, grazie a Dio, e tantissime famiglie, con tre concetti ben stampati in testa: no ai Dico; sì a una politica che tenga finalmente conto di loro; cattolici uniti, ma senza nessun settarismo e nessun clericalismo. Savino Pezzotta, il portavoce del Family day, lo ha detto fuori dai denti: «Questa legge non va bene», perché vogliamo «fare in modo che i nostri figli possano continuare a dire mamma e papà». È venuta l’ora che anche lo Stato riconosca nei fatti, non solo negli articoli della Costituzione questo (non nuovo) soggetto civile: «Noi vogliamo che la politica italiana rimetta al centro il tema della famiglia dal punto di vista culturale, sociale; noi vogliamo fare della famiglia una questione nazionale». Un «modello antropologico centrato unicamente sull’autonomia dell’individuo, sull’utilitarismo, su affettività temporanee deboli» è sbagliato. Era una piazza “guelfa”? Di invasati papisti? No, era una piazza di gente normale; che «non strumentalizza la religione, ma neppure vieta alla religione di illuminare le coscienze delle persone, perché la fede non è irrilevante nella costruzione della società». Il Family day, insomma, ce l’ha fatta. Anche i grandi giornali hanno dovuto incassare un certo stupore: Mario Ajello, uno dei commentatori più attenti, il giorno dopo scriveva su Il Messaggero: «Questo popolo in nulla somiglia all’immagine vecchia e stantìa, sparagnina e difensivista del mondo cattolico. Si mostra alieno da pose sanfediste e da ringhi clericali. E ciò rende più difficile tutto, perché si tratta di una piazza inafferrabile». Improvvisamente l’Italia ufficiale si è accorta che «esiste un popolo finora invisibile», una «voce dell’Italia profonda», un «esercito bianco che non odora di sacrestia», al massimo di latte e di caramelle. Quei colorati pacifisti cattolici che giravano con capelli lunghi e tamburi, i coniugi con passeggino gemellare, le decine di migliaia di ciellini che sono partiti e basta, senza indugi, da ogni parte d’Italia, alla vecchia maniera; quei rinnovati nello Spirito che andavano e venivano con la chitarra appesa al collo cantando senza sosta «Maria, Maria», l’idea di cosa siano un padre e una madre l’hanno ben chiara: è difficile che li confondano con un tutor o con un guardian, come vorrebbero lassù, in Gran Bretagna.
Giorgio Israel va in onda sul megaschermo in mezzo al viale: dice che anche lui, ebreo, ha aderito al Family day perché bisognava farla questa manifestazione contro «una legge sbagliata» che vuole mettere in discussione la famiglia «basata su un uomo e una donna», e sulla procreazione (presto dovremo dire “la procreazione tradizionale”?) per via sessuale. Giancarlo Cesana rincara: dice che la famiglia è il grembo della fecondità non solo perché genera figli, ma perché è il luogo che fa la differenza tra un giovane e un adulto, tra una bella idea e un fatto: per questo a qualcuno fa paura. Che la famiglia «è il primo luogo dove un uomo può non essere solo», che «sessualità e affetto sono responsabilità pubbliche». Qualcosa è cambiato in questo Paese: i cattolici vanno in piazza a difendere il sesso, i laici intanto a piazza Navona discutevano di eutanasia, di Giorgio Welby, Andrea Rivera parlava dei suoi funerali: persino Fiorella Mannoia s’è annoiata e se n’è andata. La famiglia forse oggi non ha una forza “ideologica” in grado di convincere tutti: ha una forza “biologica” però, che vince le sue battaglie anche senza andare nei salotti televisivi. Chi è contro la famiglia, contro la vita, in fondo porta in corpo un gene regressivo. Ha scritto Alain Finkielkraut: «Noi non viviamo solo per vivere. Tutto non ricomincia a ogni generazione: noi riceviamo e tramandiamo. La vita si inscrive in una patria, in una lingua, in un mondo che spetta a noi mantenere con cura, e forse anche con amore». Questo popolo lo sa. I veri conservatori sono quei laicisti «piccoli come Pollicino», «pochi e già stanchi di dimostrarlo» - come ha scritto La Repubblica - che si sono radunati a piazza Navona. Quelli che hanno deciso finalmente di reagire e di difendere le cose più care che hanno, oggi in Italia sono una realtà popolare che ha a cuore il progresso del Paese”.