venerdì 8 aprile 2016

Bambine mie siate donne vere

foto di Antonello Nusca
foto di Antonello Nusca

di Claudia Cirami
Beate Livia e Lavinia. Forse serviranno ancora alcuni anni ma, passata anche l’adolescenza, dopo l’uso sconsiderato di rossetti dai colori improbabili e l’esibizione di ciuffi dalle sfumature inquietanti, capiranno di aver ricevuto un dono inestimabile. Tra i più preziosi dopo la vita. Un manuale di istruzioni per essere (e mantenersi) donne. L’ultimo libro di Costanza Miriano, “Quando eravamo femmine. Lo straordinario potere delle donne” (Sonzogno, pp. 176, 15,00 euro) è dedicato proprio alle sue gemelle. Nell’attesa che Livia e Lavinia crescano – e siano riconoscenti a Dio per avere una madre che coniuga le due B, buonsenso e buonumore – possiamo usufruirne tutti.
Il libro, infatti, è uno di quei testi imperdibili che ogni donna (e uomo, se vuole capire qualcosa del misterioso universo femminile) dovrebbe tenere nella propria libreria e, di tanto in tanto, riprenderne la lettura. Perché le lettere di Costanza alle figlie, di cui il libro si compone, hanno una valenza universale, pur mantenendo viva la particolarità di un microcosmo – quello della sua famiglia, delle amiche, delle donne che ha incontrato in questi anni – che rende i principi carne palpitante, le norme vita vissuta, le parole abbracci materni.
Ogni volta che si arriva all’ultima pagina di un libro di Costanza Miriano viene l’insopprimibile voglia di fare qualcosa: sposarsi, andare a Messa, fare un figlio, recitare un Rosario, chiamare un’amica (fare propositi no, Costanza, non preoccuparti: abbiamo capito che servono solo a riempirsi di inutili sensi di colpa e tanto non avremo mai tempo per portarli a termine, pure se non siamo tutte mamme di quattro figli). Succede anche con quest’ultimo libro. Nasce l’irresistibile voglia di essere donna: esserlo davvero e da subito, s’intende, senza vivacchiare e ammorbare l’ambiente che ci circonda con deleterie esibizioni dell’“altra” che ci possiede saltuariamente (ma lei vorrebbe l’esclusiva): la “pazza di casa”, secondo la micidiale definizione di Santa Teresa D’Avila. Perché la verità di queste enigmatiche creature che sono accanto e attorno agli uomini è in queste parole della Miriano: «siamo un mistero anche a noi stesse, e possiamo essere doppie – e già ci è andata bene – ma anche triple o quintuple. Ricomporre le nostre contraddizioni è un lavoro grande e faticoso, e, nel tempo, mai completamente archiviabile». (p. 24). Un lavoro che, per non andare disperso, necessita di una vita spirituale, raccomandata a tutte. Così, se abbiamo un minimo di furbizia, dopo la lettura del libro, ci sforzeremo, affidandoci a Dio, di tenere a bada la “pazza di casa”, concedendole al massimo quei pochi giorni al mese in cui tutto sembra cospirare contro di noi (non è proprio così drammatico, ovviamente, ma ci piace tanto pensarlo).
La Miriano parla alle figlie e, attraverso la sua quotidianità, distribuisce insegnamenti utili, senza salire in cattedra. Narra poi di donne che hanno saputo rendere più amabile la vita di figli di carne e spirituali che è stata loro affidata, in un continuum ideale con il precedente “Obbedire è meglio. Le regole della Compagnia dell’Agnello”. Racconta di sacrifici, di momenti di tenerezza, di consapevolezze acquisite col tempo. Mentre ci avvolge con le sue parole, anche noi diventiamo csue figlie (ma tu, Costanza, rimani giovane) e comprendiamo che il potere di generare la vita è qualcosa di più del puro dinamismo biologico su cui, soprattutto in questi ultimi anni, sembra essersi appiattita la posizione di chi ritiene che il figlio sia un diritto. Si può fare spazio alla vita in tanti modi, anche quando un bambino, per cause naturali, non arriva, senza ricorrere a tecniche e pratiche eticamente scorrette. Indubbiamente, – e non sappiamo quanto ne sia consapevole – la Miriano, che pure è madre di quattro figli, anche scrivendo libri lo testimonia perché genera attraverso le parole. È possibile per ogni donna fare spazio alla vita? Certo, ognuna deve trovare il modo che le è più consono, rispondendo alla chiamata di Dio, se non vuole tradire la propria vocazione.
Spiegare alle figlie (e alle altre donne) come valorizzare lo specifico femminile significa necessariamente parlare del rapporto con gli uomini. Fondamentale sarà non compiere quello che la Miriano definisce l’errore di Eva: «entrare nel rapporto con l’uomo volendo escludere lo sguardo di Dio» (p.64). Questa esclusione ha comportato l’ingresso di «un meccanismo di dominio nella relazione…: l’uomo cerca di dominare con la forza, fisica e non solo, vivendo da egoista; la donna cerca di farlo in modo più sottile e forse pericoloso, manipolando» (p.64). Ritorna un tema caro alla Miriano, che, proprio per questo, è stata a volte accusata di un “femminismo di ritorno”, per il potere che assegna alla donna, nel bene e nel male. Leggendo i suoi libri, però, è ben chiara l’assenza di una deriva femminista: esiste, invece, da parte della Miriano, la consapevolezza di una grande responsabilità affidata da Dio alla donna. Quale? Accogliere, custodire, accompagnare nella crescita (in tutti i sensi) coloro che Dio le affida: marito, figli nati dal suo grembo e figli nello spirito. Una responsabilità che si caratterizza come aiuto, ma che, naturalmente, non solleva Adamo dalla propria fatica.
Il sottotitolo del libro allude al potere che Dio ha dato in dono all’ultima creatura creata.  Un potere non inteso in senso di dominio, di prevaricazione, di affermazione in salsa femminista, ma che si esercita in termini di amore, servizio, accoglienza. Questo non vuol dire che la scrittrice inviti a recuperare modelli obsoleti: incoraggia, invece, a vivere un nuovo rapporto con se stesse che si declina anche in un modo diverso di concepire le relazioni, la vita quotidiana, il lavoro. Riguardo a quest’ultimo tema, nessuna donna è invitata a rimanere a casa. Viene, però, messo in evidenza che alcune di quelle che ci sono state presentate come conquiste si sono in realtà trasformate in obblighi pesanti per le donne, che stanno pagando, per questo motivo, un prezzo molto alto: «le donne hanno combattuto per poter scegliere se lavorare o no, e anche chi avrebbe scelto di no, gliene deve essere profondamente grata. Avere una scelta davanti è un diritto fondamentale. Ma oggi questa libertà nella maggior parte dei casi non c’è, anche se a volte ci illudiamo del contrario» (p.132) e il lavoro, da scelta, per tante si è trasformato in necessità, quindi in obbligo. Non ci sono soluzioni facili, ma riflettere, porre il problema è importante.
Andando oltre, il capitolo dedicato alla routine di bellezza – che la Croce ha pubblicato qualche settimana fa – è forse uno dei più illuminanti del libro. Nella donna che, dedicando del tempo a se stessa, loda il Creatore per la bellezza che Dio le dona, è evidente il superamento del dualismo anima e corpo. I gesti di attenzione verso la propria persona, lungi dall’essere interpretati banalmente come cedimenti alla vanità femminile, si caratterizzano come azioni che, oltre ad esprimere l’identità femminile, aiutano perché, dice Costanza alle figlie, «amarvi, riconoscere la vostra bellezza, diventare donne forti e ben formate, capaci di dare vita, dipenderà tantissimo dallo sguardo che avrete su voi stesse» (p. 110). Quello che la Miriano insegna alle proprie figlie (e alle donne) non dev’essere letto come applicabile urbi et orbi (la bellezza del Cristianesimo Cattolico è proprio nell’et-et), ma sbaglia chi volesse archiviare un simile inno al Signore come un semplice alibi per rifarsi il trucco senza sensi di colpa.
Uno dei meriti dell’autrice è saper coinvolgere il lettore, nonostante, in definitiva, i temi fondamentali di quest’ultima sua fatica non siano molto diversi da quelli dei suoi precedenti libri. Mettendo in luce il bene del suo messaggio, spesso, si finisce – inevitabilmente forse – per trascurare le sue indubbie qualità di scrittrice. La Miriano, infatti, non è una saggista che piazza qualche battuta ironica qui e là per non annoiare il lettore. Possiede, invece, un’eccellente tecnica, attraverso la quale – con l’utilizzo accorto dell’ironia – sa esattamente come spezzare un ragionamento che stava per diventare ostico, come stemperare un momento di tristezza che rischiava di deprimere, come far planare un pensiero sublime che, innalzandosi su vette inaccessibili, poteva non essere correttamente compreso. Inoltre, la scrittrice è in grado di guidare il lettore, con il ricorso sapiente ad una narrazione di tipo “familiare”, dentro la “carne” del Cristianesimo, che non è fatto solo di dogmi, ma anche di incontri, perché nasce dall’Incontro per eccellenza, quello con Gesù Cristo. Ormai si può dire senza timore di essere smentiti: per la Miriano la scrittura è congeniale come l’essere madre.
É infine confermata l’impressione ricevuta dalla lettura dei suoi precedenti libri: l’autrice non è donna che guarda dall’alto in basso le altre. Conosce le debolezze femminili, che sono anche le sue, sa che esistono vite ferite, ma è cosciente anche della forza che risiede nelle donne. Così, anche quest’ultimo libro è fonte di incoraggiamento per tutte, nessuna esclusa, e chiede ad ognuna di sobbarcarsi, con buonumore e fiducia, quel compito grande che ci è stato affidato. Sapendo che abbiamo sempre Qualcuno su cui poter contare, e che compone con le nostre fragilità, se affidate a Lui, versi mirabili, il cui ascolto è occasione di delizia e consolazione per tutti.