mercoledì 6 aprile 2016

Un segno sulla montagna.



 Prefazione di Papa Francesco al libro «Tibhirine. L’héritage» 

Esce il 6 aprile in Francia il libro Tibhirine. L’héritage (a cura di Christophe Henning, Paris, Bayard, 2016, pagine 180, euro 14,90), una raccolta di testimonianze di diverse personalità sui frutti del messaggio di pace e di convivenza tra cristianesimo e islam dei sette monaci trappisti, sequestrati e uccisi in Algeria nel 1996. Del libro pubblichiamo, in una nostra traduzione, la prefazione di Papa Francesco, che porta la data del 2 gennaio 2016, e lapostfazione di François Cheng.

Prefazione di Papa Francesco al volume 
«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Giovanni 15, 13). Christian de Chergé e i suoi compagni avevano scelto di vivere in modo semplice la loro vocazione contemplativa in questa regione bella e arida dell’Atlas algerino. I monaci erano presenti a Tibhirine dal 1938, ma il monastero era fragile: erano gli “ospiti” della casa dell’islam, lavoravano la terra e condividevano la vita povera dei contadini. I fratelli conducevano una vita comunitaria spoglia, irriducibilmente rivolta verso Dio che li univa. Sette volte al giorno, nella loro cappella, si levava la lode della loro preghiera. Rapiti la notte tra il 26 e il 27 marzo 1996, i sette monaci di Tibhirine sono stati assassinati dopo lunghi giorni di sequestro, vittime della lotta fratricida che dilaniava il paese. Ma gli assassini non hanno preso loro la vita: l’avevano donata in anticipo, proprio come gli altri dodici religiosi e religiose, tra i quali il nostro fratello vescovo Pierre Claverie, ucciso in Algeria durante quegli anni bui. Non sono fuggiti di fronte alla violenza: l’hanno combattuta con le armi dell’amore, dell’accoglienza fraterna, della preghiera comunitaria. Strumento di pace, di dialogo e di amicizia, i monaci hanno così risposto all’invito rivolto da san Giovanni Paolo II ai vescovi del Maghreb durante la loro visita ad limina nel 1986: «Voi vivete quello che il Concilio dice della Chiesa. Essa è un sacramento, ossia un segno, e non si chiede a un segno di fare numero». Piccola Chiesa orante in mezzo a un popolo di oranti, i monaci erano un segno sulla montagna. I fratelli cistercensi dell’Atlas hanno reso testimonianza con il loro sangue, vivendo in modo tragico questa prescrizione della regola di san Benedetto: che «Cristo [...] ci conduca tutti alla vita eterna» (capitolo 72). Nella loro carne, hanno vinto l’odio nel giorno della grande prova. Ma è con l’intera loro vita che sono testimoni (martiri) dell’amore. E non senza difficoltà: «Abbiamo donato il nostro cuore “all’ingrosso” a Dio, e già ci costa molto che ce lo prenda al dettaglio», affermava padre Christian de Chergé, priore della piccola comunità. Ciò non riguarda solo i monaci e le monache: tutti noi siamo chiamati a dare la nostra vita nel dettaglio delle nostre giornate, in famiglia, al lavoro, nella società, al servizio della “casa comune” e del bene di tutti. Venti anni dopo la loro morte, siamo invitati a essere a nostra volta segni di semplicità e di misericordia, nell’esercizio quotidiano del dono di sé, sull’esempio di Cristo. Non ci sarà altro modo di combattere il male che tesse la sua tela nel nostro mondo. A Tibhirine si viveva il dialogo della vita con i musulmani; noi, cristiani, vogliamo andare incontro all’altro, chiunque egli sia, per allacciare quell’amicizia spirituale e quel dialogo fraterno che potranno vincere la violenza. «Per conquistare il cuore dell’uomo, bisogna amare», confidava fratel Christophe, il più giovane della comunità. Ecco il messaggio che possiamo serbare nel nostro cuore. È semplice e grande: sull’esempio di Gesù, fare della nostra vita un “Ti amo”. 

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Con i monaci di Tibhirine


I fratelli di Notre-Dame de l’Atlas
-Fratel Christian (Christian de Chergé), 59 anni, priore del monastero di Notre-Dame de l’Atlas. Arriva nell’Atlas nel 1971. Assassinato il 21 maggio 1996.
-Fratel Christophe (Christophe Lebreton), 45 anni, sottopriore e maestro dei novizi. Entrato nell’abbazia di Tamié nel 1974, arriva in Algeria nel 1987. Assassinato il 21 maggio 1996.
-Fratel Luc (Paul Dochier), 82 anni, medico. Entrato nell’abbazia di Aiguebelle, nel 1941, arriva in Algeria nel 1946. Assassinato il 21 maggio 1996.
-Fratel Michel (Michel Fleury), 52 anni. Entrato nell’abbazia di Bellefontaine nel 1980, arriva a Tibhirine nel 1984. Assassinato il 21 maggio 1996.
-Fratel Bruno (Christian Lemarchand), 66 anni, superiore della casa annessa del Marocco. Entrato nell’abbazia di Bellefontaine nel 1981, arriva in Algeria nel 1989, va a Fez nel 1991. Assassinato il 21 maggio 1996.
-Fratel Célestin (Célestin Ringeard), 62 anni. Entrato nell’abbazia di Bellefontaine nel 1983, arriva in Algeria nel 1986. Assassinato il 21 maggio 1996.
-Fratel Paul (Paul Favre-Miville), 57 anni, entrato nell’abbazia di Tamié nel 1984, arriva a Tibhirine nel 1989. Assassinato il 21 maggio 1996.
-Fratel Amédée (Jean Noto), 1920-2008, è entrato a Tibherine nel 1946. Sfuggito al rapimento nel 1996, ha vissuto poi ad Algeri e a Midelt. È morto il 27 luglio 2008 ad Aiguebelle (Drôme).
-Fratel Jean-Pierre (Jean-Pierre Schumacher) nato nel 1924, entra nell’abbazia di Timadeuc nel 1957, arriva a Tibhirine nel 1964. Sfugge al rapimento nel 1996 e continua la sua vita monastica a Midelt, in Marocco.
Con i monaci di Tibhirine (postfazione)
(Francois Cheng) Quando accade qualcosa di terribile, strappandoci alla nostra vita di lavoro e di preghiera, possiamo esserne sorpresi? Ce lo aspettavamo, da tanto tempo.
Ce lo aspettavamo, ma non sapevamo l’ora. Quando accade qualcosa di terribile, dovremmo essere pronti. Lo siamo?
La morte è la prova suprema; può essere atroce. Per quanto ci si prepari, non si è mai pronti. Lo stesso Nostro Signore, prima di affrontare la Croce, non ha forse sussurrato: «ora la mia anima è turbata»?
All’improvviso la morte di fronte, per mano di esseri umani trasformati in bestie feroci. La morte di fronte, implacabile, spietata.
Noi non abbiamo scelto di morire come martiri. Abbiamo semplicemente scelto di amare. Non è la stessa cosa. Eppure fa lo stesso. Amare in modo incondizionato è essere completamente disarmati, è essere assolutamente senza difese.
Noi non abbiamo scelto di amare la vita fino alla fine. Quel soffio che freme nel profondo della carne, quel bagliore che brilla al centro dell’anima. Una terra che nutre e rinnova i suoi doni di generazione in generazione, i popoli che l’abitano e che aspirano all’armonia. Sguardi scambiati, dolori condivisi, tenerezza infinita, risonanza senza fine.
Quanto valgono questi desideri e questi sogni agli occhi dei nostri carnefici? Noi che non siamo altro che scarti nelle loro mani. Che cosa dicono loro il nostro volto e la nostra voce? I loro, sfigurati dall’odio, non hanno più nulla di umano.
Tutta la brutalità bestiale ricadrà su di noi. Ogni lamento è inutile. Poi marcia massacrante nella notte interminabile; cedimento dei nostri corpi consumati dalla sete e dalla fame sul suolo gelido. Prima di metterci a morte, ci sottopongono a orribili torture, subissandoci di ingiurie e di sputi. Tutto ciò avverrà senza testimoni. Ci bruceranno per non lasciare nessuna traccia dei nostri corpi mutilati.
Nella lunga attesa, lasciati a noi stessi, siamo paralizzati dalla paura. Quanto è lontano il tempo dell’infanzia e dell’innocenza! La nostra carne si contrae, il nostro sangue si rapprende, le nostre ossa, rigide, rabbrividiscono fino al midollo.
Padre della misericordia, sii con noi! In questa ora dell’estrema solitudine, sentiamo, mescolate al battito del nostro cuore, le parole del Figlio: «La mia anima è triste fino alla morte».
«Anche voi siete tristi ora. Ma io ritornerò, il vostro cuore si rallegrerà. E la vostra gioia, nessuno potrà rubarvela».
Un lampo ci attraversa da parte a parte, ci polverizza. Sgorga da noi il grido: «Possono tutto sul nostro corpo, non possono nulla sulla nostra anima!».
Signore, ecco, circondata dalle tenebre, la nostra anima, intera, intatta, indivisa. Non è mai stata così vicina alla tua. Dal fondo del baratro terrestre s’innalza una fiamma che raggiunge già quella che tu hai acceso, il primo giorno del mondo, il primo giorno della Vita.