martedì 31 maggio 2016

LE RAGIONI DELL’UNICA BATTAGLIA



Da Libertà e Persona
Lo scorso sabato a Roma si è costituito il “comitato delle famiglie per il NO” al prossimo referendum costituzionale previsto per ottobre. Il comitato nasce dalla spinta dei due recenti Family Day e vede l’autorevole firma del portavoce del “Comitato Difendiamo i nostri figli”, Massimo Gandolfini, neurochirurgo bresciano, il quale ha sottolineato che l’anima di questo movimento non è espressione di vendetta o rivendicazione nei confronti del premier e del governo, ma della riaffermazione della giustizia sociale in tempi in cui la democrazia è messa a dura prova. Alcuni però faticano a vedere la relazione fra la difesa della famiglia naturale e una possibile riforma della nostra Costituzione. Cerchiamo brevemente di individuarne i nessi.
  1. C’è, innanzitutto, un problema relativo al mandato del governo. Paradossalmente il governo si trova guidato da un partito di maggioranza,
    che porta il nome di “Democratico”, ma che amministra la cosa pubblica con autorità e forza senza aver mai avuto il mandato del “démos”, del popolo. Nonostante questo sta mettendo mano a riforme radicali per la storia del nostro Paese con ostinata arroganza e disinteressandosi del reale pensiero dei cittadini italiani. La recente approvazione delle legge sulle “unioni civili” ne è stata una dimostrazione. Approvata senza nemmeno una discussione, sia al Senato che alla Camera, e promossa “violentemente” con due voti di fiducia.
  2. Se il referendum di ottobre dovesse passare la democrazia (tanto decantata a parole ma coltivata molto poco nei fatti) subirebbe ancora un colpo decisivo. A questo seguirebbe una riforma della legge elettorale che porterebbe ad un premio di maggioranza esorbitante (il 25% dei voti controllerebbe il 55% dei seggi) dando a pochi il potere su molti. Se a questo aggiungiamo l’eliminazione della seconda camera, ne esce un esecutivo talmente rafforzato da presagire scenari da nuova “dittatura”.
  3. Se con la struttura attuale del Governo e delle Camere si è riusciti a far passare una legge (“unioni civili”) che aveva fatto scendere in piazza milioni di cittadini italiani, senza che ne fosse discusso almeno un emendamento in aula, l’alba del dopo referendum vedrà governi capaci di approvare in tempi ristretti e limitando al minimo le consultazioni (e continuando ad ignorare completamente la voce del popolo!) leggi come l’utero in affitto, la liberalizzazione delle droghe, l’eutanasia, l’adozione dei figli per i single e coppie omosessuali, ecc… fino a quelle liberticida come la legge sull’omofobia.
  4. Risulta dunque evidente che l’urgenza del “comitato delle famiglie per il NO” sia non solo sul merito di singole leggi ma anche di metodo attraverso il quale questo Governo (di non eletti) sta esercitando una pressione sull’opinione pubblica, aggravata anche dal grande controllo che esso esercita su mezzi televisivi e editoriali.
  5. Il Comitato, quindi, non chiude la porta a possibili cambiamenti della Costituzione, ma promuove l’idea che questa modernizzazione debba passare attraverso una condivisione ampia, seguendo il metodo dei padri costituenti. Non basta, per Gandolfini, lo slogan del “Governo del fare” per apportare cambiamenti così vistosi, “bisogna fare, sì, ma bisogna fare bene”.
  6. Il NO al referendum, quindi, è prima di tutto un no al rischio di accentramento del potere in un solo partito; un no alla limitazione della libertà e con esso della possibilità di difendere sul piano sociale, antropologico e morale principi e valori con i quali si è costruita la nostra storia, valori che abbiamo ricevuto dai nostri padri e che abbiamo il dovere di insegnare ai nostri figli.

Mercoledì della IX settimana del Tempo Ordinario

Alla fine del mese di Maria...

rosario - preghiera - intercessione


di Andrés D’ Angelo
Per me è difficile parlare della mia Madre Celeste, ammetto di essere di parte. Amo la Vergine Maria con tutto il mio cuore! Maria è la donna per eccellenza, è la donna più sublime che ci ha donato l’amore di Dio Padre. Essendo così sublime, è necessario che siano dei grandi mistici a descriverla e a cantarne le lodi.
Il mese di Maria sta volgendo al termine. Dopotutto io non sono un mistico così autorevole e non posso dunque cantarne le lodi. Ma posso sussurrare una preghiera di ringraziamento, perché Lei è umana ma eccezionale. La Madonna ha fatto molte cose straordinarie sulla Terra, e i Vangeli ne raccontano alcune: ad esempio durante le Nozze di Cana (in cui ha interceduto in modo soprannaturale per far compiere il miracolo a Nostro Signore) o sul Calvario (in cui, col “cuore trafitto da spada”, ha abbracciato con dolore il corpo di Nostro Signore, aprendo per noi le porte del Cielo). È interessante notare che alcuni di questi episodi così straordinari siano avvenuti nelle più comuni delle situazioni:una donna che visita sua cugina per assisterla durante il parto, un bambino che si è perso nel mezzo di una festa religiosa, una madre che va ad una festa di nozze con il figlio… non sembrano episodi tratti da un poema epico, ma potrebbero essere situazioni di una famiglia qualsiasi in un’epoca qualsiasi. Dietro questi misteri – che contempliamo nel Rosario – c’è una donna che è stata concepita senza la macchia del peccato originale, che fa del sublime un’azione quotidiana, che fa diventare divino ogni cosa che tocca. Lei è sublime come è il Cielo, ordinaria come il pane.
Il Vangelo e il Rosario ci permettono di contemplare i grandi misteri della vita di Maria: l’Annunciazione e l’Incarnazione, il calvario del suo cuore di madre, la sua assunzione. Sono tutti misteri su cui non si finisce mai di meditare. Ma la nostra Madre Celeste ha anche vissuto una vita pienamente umana, con le stesse difficoltà che viviamo noi quotidianamente. Perché non chiederle di aiutarci quando la vita diventa difficile, monotona e triste? Lei è passata per le stesse difficoltà, aridità e tristezze. Lei ci comprende in pieno. E come mediatrice di tutte le grazie e intercessore onnipotente, può chiedere a suo Figlio di aiutarci nelle nostre difficoltà. Non importa quanto ci possano sembrare banali, per Lei sono tutte importanti.

1. Nei nostri momenti di dubbio
Quando contempliamo Maria nell’Annunciazione, pensiamo quasi sempre al «Fiat»: «Sia fatto di me secondo la tua parola». E ci dimentichiamo che anche lei ha avuto dubbi. La Madre di Dio era una bambina, secondo i nostri parametri moderni. La grandezza di quanto le stava dicendo l’Angelo deve averle commossa l’anima, al punto che ha immediatamente chiesto: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Quando dubitiamo, quando sentiamo che ciò che ci chiede Dio è troppo, invochiamo Maria e chiediamole di ispirare in noi quel «Fiat» che lei ha saputo dire.

2. Nei momenti in cui abbiamo paura del dolore che verrà

Quando Simeone ha profetizzato a Maria che “una spada le avrebbe trafitto il cuore”, cosa pensate che abbia provato la Madonna? Nessuna madre al mondo vorrebbe mai sapere che il figlio dovrà subire determinate cose; e sebbene Maria abbia accettato la volontà del Padre in totale sottomissione, pensate che forse non si sia addolorata nell’anima? Quando la paura ci paralizza, quando siamo nel panico perché pensiamo che la Croce che ci aspetta sia troppo pesante per le nostre spalle, chiediamo alla nostra Madre di darci la forza che ci manca.

3. Quando pensiamo di perdere i nostri figli

Gesù Bambino perso e trovato nel tempio. I suoi genitori, in preda all’ansia, lo cercano tra i parenti, poi ripercorrono la strada del ritorno verso Gerusalemme lo incontrano tra idottori. Cosa deve aver provato la Vergine quando non riusciva a trovarlo? E cosa deve aver provato quando l’ha incontrato tra le autorità di Israele? Paura, ansia, senso di colpa per non essersi presa cura di Lui? Qualunque madre che non trova più il figlio pensa, quasi immediatamente: “che madre cattiva che sono, non sono stata in grado di prendermi cura di lui”. Forse questi pensieri sono passati anche per la mente della Madonna. Quando pensiamo che i nostri figli abbiano “preso una strada sbagliata”, quando siamo a disagio perché non sappiamo dove stanno andando i nostri figli, invochiamo la Madre e chiediamole di darci calma e di guidare i nostri figli nelle difficoltà che stanno attraversando.

4. Quando andiamo ai piedi della Croce per le malattie di qualcuno a cui vogliamo bene

Alla fine, la profezia di Simeone è diventata realtà. Tutto il dolore del mondo si scaglia contro il Cuore Immacolato di Maria. Suo figlio è “l’Uomo dei dolori”, e lei “la Donna dei dolori”. Lei che si è risparmiata i dolori del parto, deve aver sentito questo dolore come una vera lacerazione dell’anima. Quale padre che vede il figlio soffrire non chiede a Dio di fare a cambio con lui? Quando abbiamo un figlio malato, che soffre, schiacciato dalla croce, invochiamola! Lei sa che i genitori soffrono come se il dolore fosse il loro, perché Lei ha fatto sue le sofferenze di Nostro Signore.

5. Nei momenti in cui ci rapportiamo con gli altri e non veniamo compresi

A Cana di Galilea la vediamo preoccupata, come autentica madre, per il buon andamento della festa di nozze. Non è commovente il suo gesto? Lei è l’unica a rendersi conto che il vino è terminato e chiede a Gesù di convertire l’acqua in vino. Gesù sembra rispondergli in modo strano, addirittura la chiama “donna”, come a porre distanza tra loro. Tuttavia, poi lei ha detto ai servitori: “Fate tutto quello che Lui vi dirà”. Molte volte, quando stiamo con gli altri, sentiamo che rifiutano il nostro aiuto e sembra che paghino il male con il bene. Quello è il momento di invocare la Nostra Madre e chiederle che ci dia la forza per “fare quello che Lui ci dice”!

Terminiamo questo mese di Maria invocandola in tutte le nostre difficoltà, chiedendole aiuto soprattutto per le nostre famiglie e per tutti coloro che sono vicini ai nostri cuori.
Traduzione dallo spagnolo a cura di Valerio Evangelista

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Vedi anche:

Quando la Politica è grande.




Partito venerdi sera da Torino in bus fino a Roma, ripartito da Roma il sabato sera sempre in bus, sacrificate due notti per partecipare. Lo rifarei ogni fine settimana, se necessario. Se questa è la politica, vale la pena.
admin

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NO RIFORMA RENZI-BOSCHI/ GANDOLFINI: CATTOLICI, E’ L’ORA DELLA SVEGLIA! – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 30 maggio 2016

E’ nato sabato 28 maggio a Roma il ‘Comitato famiglie per il no al referendum costituzionale’ di ottobre, animato dai promotori dei recenti Family Day. L’obiettivo è quello di contribuire ad affossare una riforma costituzionale pericolosa per la democrazia, che - concentrando  i poteri in un solo uomo e un solo partito, con una Camera dominante su un Senato pressoché esautorato  - agevolerebbe tra l’altro l’approvazione di nuove leggi liberticide e antropologicamente sovversive. Necessario l’impegno strenuo di tutti, in particolare dei cattolici, chiamati a non essere complici della deriva autoritaria.


Passaparola. Dentro le mura di casa. Di famiglia in famiglia. Di condominio in condominio. Di parrocchia in parrocchia. Sul posto di lavoro, in piazza, al bar. Sui mezzi pubblici di trasporto. All’ombra degli abeti, degli ulivi o degli ombrelloni. Nella sterminata prateria di internet. Dovunque ci sia possibilità di incontro tra umani, per i cattolici che abbiano a cuore il permanere di un sistema democratico pur imperfetto, una sola parola, un solo grido: “No alla riforma costituzionale Renzi-Boschi”. Certo un ‘No’ che non derivi da una semplice (pur comprensibile) rivalsa contro chi – lo Spavaldo, la Garrula ministra, il Fantasma del Quirinale (così silenzioso e nel contempo operoso) – ha fatto strame della Costituzione e dei regolamenti parlamentari imponendo l’accettazione dell’iniqua legge sulle ‘unioni civili’. Ma un ‘No’ fondato su argomenti solidi, difficilmente confutabili da chi spera invece di convincere il popolo italiano con quattro chiacchiere da bar e con promesse mirabolanti. Nessuno baratti consciamente la libertà repubblicana con un piatto di lenticchie, come è accaduto durante l’iter della Cirinnà. Nessuno: né i (troppi) cattolici ‘poltronisti’ né i pastori (troppi anche loro) affezionati non più alla Balena, ma alla Bandiera bianca.

In sintesi è questo il messaggio inviato agli italiani (ai cattolici soprattutto) dal neonato ‘Comitato famiglie per il no al referendum costituzionale’, costituitosi sabato 28 maggio a Roma, presso l’auditorio Antonianum. E’ in particolare il presidente Massimo Gandolfini che ha tenuto le redini della manifestazione, scaldando spesso il cuore ai circa 400 entusiasti (in buona parte rappresentanti dei neonati Comitati locali) che hanno gremito la platea e hanno sottolineato con ripetuti, calorosi applausi le considerazioni che provenivano dal palco.
Aprendo la Convention,Gandolfini ha voluto subito evidenziare come il ‘no’ alla Riforma costituzionale non nasca da un sentimento di rivalsa, ma dalla convinzione (condivisa da molti altri, trasversalmente all’arco politico) che il testo sottoposto a referendum sia pericoloso per la democrazia italiana. E’ evidente, rileviamo noi, che i presenti nell’auditorio hanno testimoniato più volte la loro motivata e umana antipatia per l’agire del presidente del Consiglio ‘cattolico’ e della Ministra delle Riforme ‘cattolica’ (gratificata anche da urla di “Buffona!”) mentre passava un video che mostrava impietosamente le gravi contraddizioni governative tra il dire e il fare in materia di unioni civili. Né popolarità maggiore riscuotevano in platea il presidente della Repubblica (da cui Gandolfini si sarebbe aspettata “maggiore saggezza”) e i vescovi galantini della Cei: a quest’ultimo proposito, quando Gandolfini ha accennato nell’intervento conclusivo del pomeriggio all’opportunità di “sensibilizzare i nostri pastori”, dall’auditorio si è levato verso i destinatari un vero boato per loro non del tutto onorifico (cui poi Gandolfini ha cercato misericordiosamente di porre un argine ricordando che essi “sono uomini come noi, hanno bisogno di essere aiutati, incentivati a essere coraggiosi; offrite loro una goccia di rosolio più che non barili di aceto”). Questo constatato, è evidente che il ‘no’ alla Riforma si fonda essenzialmente (pur se permane in pancia la voglia “di farla pagare’ ai già citati) su motivi di grande spessore, certo non emotivi ma razionali.
Due sono emersi in particolare dalla ‘Convention’, a contrastare le “solite battute da bar sport” (Gandolfini) di Renzi e dei suoi turiferari. Il primo riguarda l’aspetto economico: il risparmio derivato dalla Riforma è irrisorio. Il Senato costa attualmente circa 540 milioni di euro l’anno (di cui la maggior parte derivati dai costi della struttura e del personale). A meno che non si voglia licenziare buona parte dei dipendenti, il risparmio ottenuto con la Riforma sarebbe di 20 milioni di euro l’anno… insomma – come ha rilevato Simone Pillon, vicepresidente del Comitato, circa 35 centesimi al giorno per ogni italiano.
Il secondo concerne invece l’attuale, pur imperfetto, equilibrio istituzionale, che sarebbe sconvolto in senso autoritario dalla Riforma: come ha rilevato più volte Gandolfini, ci ritroveremmo con una sola Camera deliberante in molte materie delicate (l’unica tra l’altro in cui si potrebbe porre la questione di fiducia e anche quella che avrebbe l’ultima parola nel caso di divergenze con il Senato), un partito che – con il disposto dalla nuova legge elettorale - si troverebbe ad avere una forte maggioranza in Parlamento pur con percentuali nettamente minoritarie nell’insieme del corpo elettorale, un segretario di quel partito che potrebbe evidentemente disporre a suo piacimento della vita politica italiana. Inoltre, ha evidenziato ancora Gandolfini, la Riforma indebolisce gravemente il federalismo e il principio di sussidiarietà, facendo saltare molti corpi intermedi ed equilibratori; dalla Riforma emergerebbe uno Stato centralista, statalista, pronto per il totalitarismo. Come non averne giustificata paura?
Non potevano passare sotto silenzio le prossime amministrative in diverse grandi città e in molti comuni. Ancora una volta Gandolfini è stato chiaro, esprimendosi come presidente del Comitato Difendiamo i nostri figli, promotore dei Family Day di San Giovanni e del Circo Massimo. Guardate bene i candidati e i partiti che li sostengono. Non votate i candidati e i partiti che “hanno partecipato all’approvazione della ‘bella’ legge sulle unioni civili. Non possono avere il nostro consenso” (grande applauso). Anche a livello amministrativo conta infatti “la sensibilità per le politiche della famiglia”. Qui bisogna ricordare, ha continuato Gandolfini, che “il tema fondamentale della famiglia non si risolve tanto nel bonus bébé, ma tutelando il fatto che in una famiglia ci siano un papà, una mamma e i figli. Non si può buttar via questo per un piatto di lenticchie” (grande applauso). Quali sono i partiti che hanno votato a favore dell’iniqua legge sulle ‘unioni civili’? Oltre al noto Pd, ce ne sono per caso altri, che si proclamano ‘cattolici’?

ALCUNI STIMOLI ALLA RIFLESSIONE VENUTI DALLA CONVENTION

Si è snodata in vari momenti la manifestazione presso l’Auditorium Antonianum,  alla presenza anche di alcuni parlamentari come Eugenia Roccella (Idea), Gian Marco Centinaio (capogruppo Lega Nord al Senato), Maurizio Gasparri (Forza Italia, vicepresidente del Senato) ed ex-parlamentari come Luisa Santolini (già presidente del Forum delle Famiglie). Riferiamo qui sotto  alcune delle frasi più significative ascoltate.

Massimo Gandolfini/1 (Intervento inaugurale dopo il benvenuto di Filippo Savarese): Siamo gente comunissima, non rappresentiamo nessuna lobby di potere. Abbiamo però “una grande vocazione a servire il bene per la società e la verità sull’uomo”.
Gandolfini/2 (“Oggi ha vinto l’amore”): Sentiamo slogan irridente e impertinenti come “Oggi ha vinto l’amore”, “Da domani adozioni per tutti”. Invece “l’amore, il vero amore, è quello oblativo che testimoniano ogni giorno migliaia di famiglie italiane” (applauso)
Gandolfini /3 (Insulti): Tentano continuamente di far passare le piazze del Family Day come piazze “terroriste, discriminatorie”. Respingiamo il tentativo al mittente.
Gandolfini/4 (Presidente della Repubblica): Il presidente della Repubblica Mattarella ha sostenuto nel messaggio del giorno del suo insediamento che bisogna “ricostruire quei legami che tengono insieme la società”. Che cosa è accaduto in verità? Per la legge sulle unioni civili “si è verificato l’esatto contrario” (applauso) 
Gandolfini/5 (Riforma): L’approvazione della legge sulle‘unioni civili “ci ha profondamente avvilito, anche perché si è preferito servire l’interesse di una piccola lobby. Che cosa potrà accadere  nel caso in cui  dovesse passare la Riforma”?
Gandolfini/6 (Riforma): “I corpi intermedi vengono saltati. E’ un sistema terribilmente antidemocratico che concentra il potere in una sola persona e in un solo partito (…) La famiglia è nel mirino di chi vuole sviluppare una strategia contro di essa. Se la famiglia fosse distrutta, sarebbe morta anche la democrazia (applauso)
Gandolfini/7 (Cattolici): “I cattolici sono gravissimamente offesi da quanto sta accadendo. Dobbiamo svegliare il nostro mondo, perché la legge sulle unioni civili, l’eutanasia, la droga, l’utero in affitto sono immorali!” ( applauso). 
Gandolfini/8 (Carta Costituzionale): “La Carta Costituzionale può essere modificata, ma non lo si  fa a colpi di fiducia (applauso).E’inaccettabile! Bisogna cercare di fermare una deriva centralista, che risponde a lobby fuori dell’Italia e nemiche della famiglia” (applauso). 
Gandolfini/9 (Gender): “Nel circondario scolastico di Madrid, appena un bambino delle elementari dà qualche cenno di attrazione verso un compagno, l’autorità scolastica può esautorare quella dei genitori, incoraggiando il bambino a vestirsi a scuola da femmina contro il volere della famiglia. Questa è un’aberrazione che non ha niente a che fare con la lotta alle discriminazioni”.

Video (Cirinnà): In un breve video molto incisivo e molto applaudito, oltre allo Spavaldo che osserva che non si sarebbe mai posta la fiducia su leggi sensibili e alla Garrula ministra che invece annuncia la fiducia nei due rami del Parlamento, appare anche la ben nota Cirinnà, in versione euforica, che confessa candidamente che, passata la Riforma, non ci sarà più nessun ostacolo per l’approvazione delle altre leggi sovversive in materia antropologica, data la maggioranza di cui godrebbe il Pd. Non solo, ma alla domanda dell’intervistatore se non sarebbe ancora meglio che ci fosse un partito unico, la nota Cirinnà risponde: Magari!

Primo dibattito di carattere giuridico ed economico sulla riforma: il professor Mauro Ronco (in veste di presidente del Centro studi Rosario Livatino) e l’avvocato umbro Simone Pillon (vicepresidente del Comitato) hanno risposto entrando nei dettagli alle domande del moderatore Massimiliano Coccia di Radio Radicale sui contenuti della Riforma e sulle bugie di ogni genere (dai sostanziosi risparmi – vedi più sopra - alla grande velocizzazione dell’iter legislativo) che su di essa vengono proclamate dal presidente del Consiglio e dai suoi turiferari.

Secondo dibattito su “Ce lo impone l’Europa?”: hanno espresso le loro considerazioni in materia – rispondendo alle domande di Sara Fornari di Telepace la svedese Maria Hildingsson (segretario generale del Forum delle famiglie europee), l’ex-europarlamentare Luca Volonté (presidente della Fondazione Novae Terrae) e  Marco Griffini (presidente dell’ AI.BI., Amici dei bambini, associazione protagonista sul fronte delle adozioni internazionali). Dal dibattito è emerso che: a) l’Europa con le sue norme non ci impone lo stravolgimento antropologico (sono le varie commissioni, i vari organismi che spingono verso tale obiettivo); b) l’Italia – come risulta anche dalla recente indagine dell’Ilga (associazione per i diritti lgbt) in 53 Paesi e su 96mila persone – è il Paese più tollerante e meno discriminatorio dopo l’Irlanda nei confronti delle persone lgbt; c) la legge sulle ‘unioni civili’ non era dunque per niente necessaria. Appassionato l’intervento di Mauro Griffini, che ha denunciato la situazione di grave e irresponsabile immobilismo in cui da due anni a questa parte si trova la Commissione italiana per le adozioni internazionali, che da poco ha una nuova presidente, Maria Elena Boschi. Una nomina che apre comunque pesanti interrogativi, considerate le dichiarazioni della Garrula ministra in materia di adozioni per tutti.

Terzo e ultimo dibattito su “Elezioni e sfida antropologica”: vi hanno partecipato – moderati da Alessandra Benignetti de “Il Giornale” - Paolo Maria Floris (membro del Comitato e vicepresidente di “Identità cristiana”), che ha approfondito la delicata questione dell’annunciata obiezione di coscienza alla legge Cirinnà da parte dei sindaci e ha affermato che la Riforma “è gravemente lesiva delle competenze degli enti locali”; Giusy D’Amico (membro del Comitato e presidente dell’associazione “Non si tocca la famiglia”), che ha illustrato la penetrazione della ideologia gender (spesso sotto le mentite spoglie della “Lotta al bullismo”) nelle scuole italiane, comprese quelle materne; Chiara Atzori (medico infettivologo), che ha ricostruito le radici e lo sviluppo delle teorie gender, giungendo alla conclusione che oggi “siamo in balia di una gendercrazia di pensiero organizzata e di una oligarchia tecnoscientifica”, da cui dovrebbero salvarci “politici in preda a una profonda confusione antropologica”.

Quando tutto sarà inferno, saremo a casa.

madonnina

  IX – Non Credo in qualcuno di generato
Ufficialmente, un diavolo che dà consigli ai giovani demonietti. Avrai letto anche tu "Le Lettere di Berlicche" di C.S. Lewis, vero? Attenzione, però: i diavoli CREDONO in Dio. E questo in particolare svolazza, un po' su un po' giù, ma complessivamente diretto verso l'alto, verso quel cielo di cui ha nostalgia.

scriviaberlicche@ gmail.com
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Compagni dell’oscurità, penso che anche a voi questa storia della generazione non sia mai andata giù.
Altro è la creazione. La creazione è okay per noi. Ti inventi una cosa, la progetti nei particolari, la realizzi. Il risultato è tuo, tutto tuo: non ci sono concessioni, hai il dominio completo. Ciò che è creato è oggetto e non soggetto; è tuo servo, è tuo giocattolo.
E’ anche per questo che, all’inizio, avevamo poche obiezioni sull’Universo. Era una creazione: certo, pieno di difetti tipo la materia, la luce e le altre carabattole che il Nemico-che-sta-Lassù si era messo in testa di ficcarci dentro. Ma erano solo deliri di una divinità senescente, non abituata ad avere a che fare con intelletti superiori come quelli di Nostro Padre che sta Quaggiù e di noi stessi.
Mentre la generazione implica un concetto che a noi disturba profondamente: l’amore. Volere il bene di qualcun altro. Il che è palesemente assurdo.
Certo, un dio che si genera ci rendeva inquieti. Ma non avremmo mai pensato che volesse estendere il concetto anche ai suoi balocchi.
Ha inserito a forza la generazione nella creazione. Perché abbia scelto un metodo così bislacco per moltiplicare i viventi, non ci è dato saperlo. Era il meno: si è spinto ancora oltre.
Qualcuno è giunto a dire che se noi non avessimo mostrato all’uomo il suo vero potenziale, facendogli abbandonare l’Eden, quel noioso villaggio vacanze, allora forse la pazzia del Nemico non sarebbe peggiorata tanto da spingerlo a diventare lui stesso una creatura.
Ma io ribatto: no, non abbiamo colpa di questa follia. La decisione è tutta sua.
Questo asserisce il Credo: “il Figlio…generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. Pochi uomini capiscono quanto sia blasfema questa mescolanza di creazione e generazione. L’orrore ci spinge ad agire per cancellare quelle frasi affrettate che offendono chi le ascolta. Un essere umano, udendole, potrebbe farsi l’idea di essere qualcosa di più di un nostro trastullo. La stessa memoria di quella infelice iniziativa del Nemico deve essere rimossa.
Per invalidare questa riga del Credo il metodo più semplice è sradicare dagli umani il concetto stesso di generazione.
Generare è un processo indeterminato. Il suo prodotto sfugge al controllo; è dare origine ad una nuova vita, ad una persona differente. Gli esseri viventi questo lo sanno bene. Il Nemico li ha fatti perché essi stessi generino: “fecondità”, la chiamano. Il nome del meccanismo è “sesso”. Il luogo dove la generazione si esercita e le generazioni si ritrovano si chiama “famiglia” ed è lì che i viventi imparano i rudimenti di questo incomprensibile guazzabuglio.
Se vogliamo cancellare il concetto di “generato” dobbiamo dividere la riproduzione dal sesso, il sesso dall’amore, l’amore dalla famiglia. Dobbiamo renderli in-fecondi, de-generati.
Il sesso è il punto centrale. Il Nemico ha dovuto renderlo piacevole, se no non l’avrebbe praticato nessuno. E qui ha commesso un errore. Grazie al miraggio del piacere abbiamo suggerito agli umani di eliminare tutti i fastidi che arrivano sia dal riprodursi che dal volere bene a qualcuno. Meno problemi per gli uomini, che possono dedicarsi ad una delle loro attività preferite senza l’impedimento di trovare una persona da amare o dover amare chi hai generato; meno fatica per noi a trovare e portare quaggiù mortali che non amano nessuno e a cui nessuno ha insegnato ad amare.
Abbiamo lavorato duramente perché i figli si potessero creare con un atto tecnico, deciso a tavolino. E in quella creazione facciamo in modo che siano riversati tutto l’egoismo, tutto l’orgoglio, tutta la pretesa di quelli che non possono più chiamarsi genitori. Abbiamo fatto diventare il figlio il prodotto di un uomo che si concepisce da solo e che vuole allevare una vita per i propri scopi, fosse anche solo riempire il nulla che gli abbiamo donato.
Posso dirlo con giusto vanto: quest’opera di cancellazione del disegno del Nemico è in fase ormai avanzata.
Una volta che è stato separato l’atto di generare dal generato e si è devastato l’ambito da cui traeva forza e origine, il figlio ha smesso di essere il riflesso di una realtà superiore per diventare sempre più lo specchio della realtà inferiore, la nostra.
Con la rimozione di madre e padre si compie la nostra vendetta nei confronti del Nemico che ci ha così crudelmente esclusi dai suoi disegni. Non ci fermeremo finché lo stesso concetto di famiglia sarà reso odioso oppure incomprensibile alla totalità degli esseri umani. Quando non avranno più un padre ma un creatore, da chi potranno prendere esempio nell’amore? Quando sapranno di essere usciti da una provetta, scelti e programmati per essere quelli che sono, cosa potranno pensare della libertà? Quando verranno a conoscenza del destino implacabile di tutti i loro fratelli scartati, lasciati da parte, uccisi perché non rientravano nel sogno, che cosa penseranno della giustizia?
I figli non saranno più della stessa sostanza del padre. Saranno qualcosa di diverso, di inferiore.
Sostanza è ciò che rende una cosa ciò che è. Per il fatto stesso di decidere come deve essere il figlio, lo si rende di una sostanza diversa da sé. Su cui si può accampare ogni diritto, di vita e di morte. Io ti faccio, tu sei mio. Tu sei mio, io ti uso. E se non ti uso più, ti distruggo.
Magnifico!
Sì, la rimozione di questo trafiletto del Credo è l’opera più importante, anche se non l’unica, alla quale siamo chiamati oggi noi demoni. Senza di esso gli uomini non saranno più figli chiamati dal Figlio, non saranno più fratelli ma individui soggetti ad un potere più forte, sommamente autoritario, al quale obbedire ciecamente. Noi.
Avremo, in sostanza, reso del tutto inutile l’Incarnazione. Inutile perché incomprensibile.
Capite, ora, perché è tanto importante l’impegno di tutti in proposito? Pezzo per pezzo stiamo rendendo assurdo il disegno del Nemico. Facendo della famiglia un inferno, del matrimonio un inferno, del sesso un inferno, del fare figli un inferno. Quando tutto sarà inferno, saremo a casa.

Un apericena (gratis) sulle biopolitiche.




Biopolitiks: l’importanza della formazione bioetica nell’arena politica, il convegno  che si terrà il 9 giugno alle ore 19 presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, nel corso del quale interverranno Massimo Gandolfini (Presidente del Comitato Difendiamo i nostri figli), Simone Pillon (DNF), Maria Rachele Ruiu (Manif pour Tous Italia) e Giusy D’Amico (Presidente dell’associazione “Non si tocca la famiglia”).
Durante l’evento, verrà presentato il corso estivo di aggiornamento in Bioetica nelle due settimane che lo caratterizzano: la prima di formazione sui temi principali della Bioetica e la seconda a carattere monografico dal titolo “Bioetica, famiglia e vita”, organizzato in collaborazione con alcune tra le più importanti associazioni schierate in difesa della famiglia.
L’uomo che per millenni è rimasto ciò che è stato per Aristotele, un animale vivente capace di esistenza politica, ora si trova all’interno di una politica in cui la sua condizione di essere vivente è in questione. Sono parole di Michel Foucault.  Nascita, morte, riproduzione, malattia, divengono oggetto del potere politico.
Nel corso di questo appuntamento si porrà l’accento su come la politicizzazione della vita si fa carico del controllo di ambiti come la sessualità e la procreazione. L’essere e il benessere dei cittadini- dichiara la Prof.ssa Brambilla (APRA) - vengono posti nelle mani del potere politico, che si concepisce loro “sovrano”. Dunque, non si tratta più dell’evoluzione della sfera della vita che giunge a costituire le strutture e le regole della politica, ma della presenza della vita come tale nella scena e in quanto oggetto della politica.
Ora, è naturale ammettere l’intervento legiferante del potere politico: la politica e la legge possono e devono intervenire regolando comportamenti o proibendo abusi. Questo potere però non può mai disconoscere il valore del cittadino in quanto soggetto umano: il potere legiferante non può in maniera autoreferenziale, considerare e trattare l’individuo comeoggetto della legge e del suo potere.
 Per non incappare in questo errore, è necessaria una formazione per chi si impegna in ambito politico, come quella bioetica; una formazione interdisciplinare che abbia a cuore innanzitutto la valorizzazione della dignità dell’essere umano in quanto tale e la tutela della vita umana nei suoi momenti di maggiore fragilità (la vita nascente, la disabilità, l’anzianità, ecc.).
Al termine dell’incontro seguirà un apericena.
Michela Coluzzi

Ma allora chi è Gesù Cristo?

Padre Federico LombardiRicordo bene una convivenza fatta ormai una ventina di anni fa in cui Kiko esordì con una affermazione sorprendente: "Ragazzi, io vi dico che tutti credono in Gesù Cristo! Tutti, ebrei, mussulmani e atei, tutti quanti credono in Gesù Cristo". E di fronte alle nostre facce (alcune incuriosite altre sconcertate) continuò dicendo: "E sapete perchè? Perchè tutti noi abbiamo solo un desiderio: quello di essere amati COSI' COME SIAMO! E l'Unico che ci ama in questo modo è Cristo!". Leggendo l'articolo di Cascioli non ho potuto non tornare indietro con la memoria...admin***Ebrei e islamici, conversioni non gradite
di Riccardo Cascioli


Pochi giorni fa il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha tenuto una conferenza a Cambridge, nel Regno Unito, che gli è valsa diversi titoli di giornale. Koch avrebbe infatti detto che il dovere di evangelizzare è nei confronti di tutti i non cristiani, musulmani inclusi, ad eccezione degli ebrei. Quanto a questi ultimi, i cristiani - ha detto ancora Koch - riconoscono il patto stipulato da Dio con il popolo ebraico, cosa che non si può applicare all’islam. Da ultimo Koch è andato ben oltre la definizione di “fratelli maggiori” e ha detto che i cristiani dovrebbero vedere l’ebraismo come una “madre”. Per questo non si deve convertire gli ebrei, mentre al contrario si deve evangelizzare i musulmani.
Queste parole hanno ovviamente fatto rumore, tanto che un sito ufficioso del Vaticano, Il Sismografo, che cura quotidianamente una rassegna stampa in diverse lingue, è andato a chiedere chiarimenti al portavoce vaticano, padre Federico Lombardi (clicca qui). Il quale si è mostrato piuttosto irritato per quella che lui considera una manipolazione delle parole del cardinale Koch, mettendo in rilievo come alcuni titoli di giornale non corrispondessero al contenuto. Il riferimento è al fatto che in alcuni titoli si è letto “dovere di convertire” i musulmani mentre nei testi di parla di “dovere di evangelizzare”, due concetti in effetti un po’ diversi. Non tali però da sollecitare un intervento del portavoce vaticano, che infatti poi passa ad affermare il vero punto della questione: «È chiaro quindi che non è corretto attribuire al cardinal K. Koch un invito al proselitismo nei confronti dei fedeli musulmani». 
Riassumendo: nessun tentativo di evangelizzare gli ebrei, dice Koch. Ma neanche i musulmani, precisa Lombardi. E tutto dando ovviamente per scontato che con le altre confessioni cristiane non si deve neanche pensare lontanamente di ricondurle alla Chiesa cattolica. 
Ad aggravare la situazione bisogna aggiungere che si tratta di affermazioni che ormai non stupiscono più nessuno, tanto sono considerate ovvie. Solo che a questo punto, bisognerebbe chiedersi seriamente: «Ma allora chi è Gesù Cristo?». È ancora l’unico Salvatore che è morto e risorto per salvare tutti gli uomini, come è stato proclamato per duemila anni? È il Vangelo ancora da considerare «la pienezza della Verità che Dio ci ha fatto conoscere intorno a se stesso», come si legge nell’enciclica Redemptoris Missio (RM) di san Giovanni Paolo II? Crediamo davvero che «aprirsi all'amore di Cristo è la vera liberazione» (RM 11)?
Se fossimo davvero convinti di questo, come potremmo anche solo concepire di escludere parte dell’umanità da questo annuncio? Non si tratta di portare tutti spada in pugno a sottomettersi al “nostro” Dio, ma di fare tutti partecipi di una grande gioia: la morte è stata sconfitta, siamo liberati dal peccato, il Mistero si è fatto presenza, compagnia all’uomo, come recitiamo ogni giorno nell’Angelus.
E in effetti tutti i documenti del Magistero dedicati alla missione mai parlano di esclusione di qualcuno o di “esenzione” di gruppi particolari quasi si dovesse decidere se partecipare o meno all’ora di religione. Afferma ad esempio il decreto conciliare Ad Gentes (1965): «La ragione dell'attività missionaria discende dalla volontà di Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. Vi è infatti un solo Dio, ed un solo mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo, uomo anche lui, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,4-6), «e non esiste in nessun altro salvezza» (At 4,12). È dunque necessario che tutti si convertano al Cristo conosciuto attraverso la predicazione della Chiesa, ed a lui e alla Chiesa, suo corpo, siano incorporati attraverso il battesimo» (no. 7). Certo l’azione missionaria dipende anche dalle circostanze in cui ci si trova ad operare, avverte sempre Ad Gentes: «Difatti la Chiesa, pur possedendo in forma piena e totale i mezzi atti alla salvezza, né sempre né subito agisce o può agire in maniera completa: nella sua azione, tendente alla realizzazione del piano divino, essa conosce inizi e gradi»; ma «questo compito (…) è uno ed immutabile in ogni luogo ed in ogni situazione, anche se in base al variare delle circostanze non si esplica allo stesso modo» (no. 6).
È paradossale che mentre il Papa parla insistentemente di abbattere tutti i muri e di tenere aperte le porte della Chiesa, dal Vaticano poi arrivano ordini di costruire muri per impedire che certe categorie di persone si convertano.
Ma è ancora la Redemptoris Missio a spiegare la radice profonda di questi muri: «La mentalità indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra cristiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che “una religione vale l'altra”» (RM, no.36).
In questo modo il dialogo con gli uomini e con le altre religioni non si fonda sulla Verità ma su una preoccupazione “politica”, come convivere pacificamente e come cooperare per il bene dell’umanità; è la riduzione a un’etica condivisa. Ma in fondo come avverte san Giovanni Paolo II il vero problema, il nocciolo della questione è la mancanza di fede: «La missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi. La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una “graduale secolarizzazione della salvezza”, per cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale».

L'Annuncio a Maria e i tre pilastri di Paul Claudel

L'Annuncio a Maria di Paul Claudel

di Giovanni Fighera

Scritto nel 1912, L’Annuncio a Maria è come un’immensa cattedrale medioevale, una grande sintesi di quell’epoca, ma potremmo anche dire un grande frutto della cristianità. Non a caso è ambientato nei pressi del monastero di Montevergine. Tre sono i pilastri fondamentali della cattedrale, differenti per forme e colori, ma tutti illuminati dalla luce della fede: Anna Vercors, Pietro di Craon e Violaine.
Anna Vercors si è sposato con Elisabetta ed è divenuto padre di Mara e di Violaine. Ha fatto sacrifici lavorando nei campi per sostentare la famiglia. Nel suo volto e nelle sue azioni si scorge tutta la gratitudine che nutre per il Signore che fa tutte le cose. Mosso da questa coscienza, dopo aver riservato ogni anno le decime al convento vicino, decide di partire per la Terrasanta per pregare sopra il Santo Sepolcro per l’unità del suo popolo e dei cristiani, offrendo così le sue azioni per la totalità, per il bene di tutti. Cosciente della complessità del viaggio, affida la sua vita al Mistero e si congeda dalla moglie con queste parole: «Tale è stato il male del mondo: che ciascuno ha voluto godersi i propri beni, come se per lui solo fossero stati creati, e non come se da Dio li avesse avuti in consegna. Il signore, il suo feudo, il padre, i suoi figlioli, il Re, il suo Regno e l’uomo di lettere, la sua dignità».  Così, parte per la Terrasanta affidando Violaine a Giacomo di Hury perché la sposi.
Altro grande personaggio del dramma è Pietro di Craon, colui che ha votato tutto se stesso all’ideale,divenendo costruttore di cattedrali. Eppure, anche la sua persona non è immune dalle debolezze e può cadere in tentazione, come accade quando, colpito dalla bellezza di Violaine, tenta di violentarla senza successo. Pietro vivrà consapevole del grave peccato, staccandosi per sempre dai piaceri della carne, tutto preso dalla dedizione alla sua opera. Nell’arco temporale in cui è ambientata l’opera, ha contratto la lebbra.
Proprio Violaine è il terzo grande pilastro della cattedrale. In lei non trova spazio il rancore, perchévive con entusiasmo e ama la realtà, consapevole che il Mistero ci viene incontro nell’istante e in esso si rivela. Per questo, quando incontra nuovamente colui che ha cercato di violentarla, piena di misericordia, Violaine lo abbraccia e lo bacia castamente pronunciando queste frasi: «Perdonatemi perché son troppo felice! Perché quegli ch’io amo, mi ama, e di lui son certa... E perché Dio mi ha creata per essere felice e non per il male e non per la pena». A causa di quel bacio anche Violaine si ammalerà di lebbra.
E proprio quel bacio dato con innocenza a Pietro per dimostrargli l’amore che il Signore prova sempree comunque per ciascuno di noi, nonostante le nostre debolezze, sarà l’occasione di cui si avvarrà Mara, sorella di Violaine e segretamente innamorata di Giacomo, per ostacolare il matrimonio. Infatti, dopo aver minacciato il suicidio dinanzi alla madre, Mara racconterà a Giacomo del bacio che Violaine ha dato a Pietro di Craon. Se in principio Giacomo non le crede anche perché la futura sposa gli proclama tutto il suo amore («Ah, come quest’ora è bella; io non ne chiedo altre»), poi darà credito alle parole di Mara, perché Violaine non ha più l’anello di fidanzamento (avendolo regalato per pietà a Pietro di Craon) e ha contratto la lebbra. 
Rotto il fidanzamento, Violaine parte per il lebbrosario. Violaine non perde, però, il debito di gratitudine che nutre verso il Signore. Anche in mezzo alle difficoltà confessa alla madre: «Ah, mamma, come è bella la vita e come sono felice!» . Trascorrono alcuni anni. Mara e Giacomo si sono sposati, mentre Violaine è ancora al lebbrosario. Un giorno Mara si reca a trovare la sorella per chiederle di pregare per la resurrezione della figlia appena morta. Violaine è divenuta cieca, ma per questo non ha smesso di rendere lode al Signore. Dopo aver scoperto l’innocenza della sorella, Mara le  chiede di portare su di sé anche il proprio dolore per la perdita della figlia. Pregano tutta notte. La piccola riprende vita e i suoi occhi si fanno del tutto uguali a quelli azzurri di Violaine. D’ora innanzi Giacomo rivedrà negli occhi della figlia quelli dell’amata che non ha mai scordato. 
Presa dalla gelosia, Mara decide di uccidere la rivale. Violaine viene trovata interrata nella cava diPietro di Craon. Morente, viene portata a Giacomo. Nell’ultimo colloquio, confessando il proprio amore e la propria fedeltà, Violaine attesta di non aver mai peccato con Pietro, ma di averlo baciato perché lui era tanto triste e lei era tanto felice. Se soltanto Giacomo le avesse creduto anni addietro, forse lei sarebbe guarita. Questo almeno crede Violaine. Anche in punto di morte la ragazza ha parole di benedizione per chi l’ha uccisa e rivela all’uomo il miracolo che Dio ha compiuto su sua figlia. «Com’è bello vivere! [...] e come è immensa la gloria di Dio!». Queste sono le ultime parole che Violaine esclama prima di morire.
Mara non può far altro che confessare l’omicidio. «Io onoro Dio. Ma resti dov’è. È tanto corta la nostrapovera vita», esclama poco più tardi, mostrando tutta la distanza tra lei e la sorella. Violaine ha, invece, sempre concepito Dio come volto buono del Mistero che bussa alla nostra porta nelle circostanze e negli incontri della giornata: Dio non è da una parte e la vita dall’altra. Vedremo la prossima volta la conclusione del dramma.
Lanuovabq

Donne coraggiose




Due «atteggiamenti» si riconoscono come «segni» inequivocabili dell’essere cristiani: il «servizio nella gioia» e l’«andare incontro agli altri». Nella messa celebrata martedì 31 maggio a Santa Marta, Papa Francesco ha dispensato consigli per i cristiani che «credono di essere tali» ma in realtà «non lo sono pienamente». E ha invitato a seguire l’esempio di «donne coraggiose» come Maria, capaci di affrontare difficoltà e ostacoli per servire gli altri.
Di fronte a una liturgia del giorno «piena di gioia che riempie il nostro cuore» il Pontefice ha dapprima ripreso alcuni passaggi della prima lettura tratta dal profeta Sofonia (3, 14-18): «Rallegrati, grida di gioia, esulta, acclama con tutto il tuo cuore! Il Signore è in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura»; e ancora: «Dio è in mezzo a te, è un Salvatore potente, gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore esulterà per te con grida di gioia». Cioè, ha spiegato, «è Dio che gioisce con noi», che «ci rinnova». Un brano che esprime «una gioia grande, una gioia che riempie il nostro cuore e la nostra vita». Poi Francesco ha attinto al Vangelo di Luca (1, 39-56): «nell’incontro di Maria con sua cugina» — ha fatto notare — si respira la «stessa atmosfera di gioia: “L’anima mia magnifica il Signore, il mio spirito esulta in Dio”». Anche Gesù gioisce e sussulta nel grembo della madre: «tutto è gioia lì, tutto». «Questa — ha commentato il Papa — è l’aria fresca che oggi ci porta la liturgia: il messaggio di gioia». E ha commentato: che «cosa brutta» sono «i cristiani con la faccia storta, i cristiani tristi», una «cosa brutta, brutta, brutta». Infatti «credono» di essere cristiani «ma non lo sono pienamente». In questa atmosfera di gioia «che la liturgia oggi ci dà come un regalo», il Pontefice ha voluto sottolineare due aspetti: «un atteggiamento» e «un fatto». L’atteggiamento da rilevare nel brano evangelico è quello del «servizio». Maria, infatti «va a servire». Francesco ha messo in rilievo «i due verbi che introducono questa storia nel Vangelo di Luca», ovvero: «Maria si alzò», cioè decise: «faccio qualcosa», e quindi «andò in fretta». La cosa che «stupisce», ha detto il Pontefice, è proprio «questa ragazza di sedici anni, diciassette, non di più, che va in fretta per questo cammino, dove sicuramente c’erano i briganti, ma era coraggiosa. Si alza e va». Maria non trova scuse del tipo: «No, sono incinta», o anche: «Sono la regina del mondo, perché il re viene da me». Lei semplicemente «si alza e va», mostrando, tutto il suo «coraggio di donna». A tale riguardo il Papa ha aperto una parentesi ricordando «le donne coraggiose che ci sono nella Chiesa» e che «sono come la Madonna»: donne che «portano avanti la famiglia» e «l’educazione dei figli», capaci di affrontare «tante avversità, tanto dolore», donne «che curano gli ammalati... Coraggiose: si alzano e servono, servono». In loro si riconosce il «segno cristiano» del servizio. E, ricordando che «chi non vive per servire, non serve per vivere», Francesco ha a più riprese sottolineato l’importanza dell’atteggiamento del «servizio nella gioia». Una gioia che, comunque, richiede anche «mortificazione», cioè non scegliere di fare solo quello che ci piace. Maria, ad esempio, «si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città giudea», andò «lontano», e «sicuramente lo ha fatto da sola. Era coraggiosa». Il Vangelo, poi, propone anche un «fatto», cioè «l’incontro» fra Maria ed Elisabetta. «Queste due donne — ha detto il Pontefice — si incontrano e si incontrano con gioia, come quando si incontrano le donne che si vogliono bene: si abbracciano, si baciano...». Un incontro, insomma, caratterizzato dalla «festa». Dunque «l’incontro è un altro segno cristiano». Infatti, ha spiegato il Papa, «una persona che dice di essere cristiana e non è capace di andare incontro agli altri, di incontrare gli altri, non è totalmente cristiana». E ha aggiunto: «sia il servizio che l’incontro richiedono» di «uscire da se stessi: uscire per servire e uscire per incontrare, per abbracciare un’altra persona». Proprio con questo tipo di servizio e di incontro, in Maria — che una settimana prima «lavorava, all’insaputa che sua cugina fosse incinta» e poi alla «gioia grande della maternità» aggiunge «la gioia di servire e la gioia dell’incontro» — «si rinnova la promessa del Signore» e si attua «in quel presente». Ha commentato in proposito Francesco: «Se noi imparassimo questo – servizio e andare incontro agli altri, non rifiutare gli incontri – se noi imparassimo questo, come cambierebbe il mondo». E ha concluso ribadendo: «Due cose soltanto, servire e incontrarsi, e noi sperimenteremo la gioia, questa gioia grande della presenza di Dio in mezzo a noi».

L'Osservatore Romano

31 Maggio. Visitazione della Beata Vergine Maria

lunedì 30 maggio 2016

Il paradosso della fedeltà



Salvami, o Dio,
dalle molte parole
Sant'Agostino, De Trinitate

****di Luigino Bruni
​Gli effetti più rilevanti delle nostre azioni sono quelli non intenzionali, che generiamo non pensandoci, o volendo esattamente l’opposto di quanto finisce poi per accadere. La radice di questa distanza tra intenzioni e risultati sta nella impossibilità di controllare i processi cui diamo vita, che sono più complessi e liberi della nostra capacità di dominarli. Ogni nostro atto è un seme che fiorisce, cresce e muore secondo leggi che ci sfuggono. Se i risultati di quanto facciamo nascere fossero tutti inscritti nella nostra volontà e intelligenza e da queste catturati, il mondo sarebbe un luogo troppo triste e povero in cui vivere, ci perderemmo le sorprese più grandi "sotto il sole". La vita vera è libertà, non segue le regole che noi le imprimiamo, non si lascia ingabbiare dalla nostra volontà di dominarla.

Gli effetti non intenzionali delle nostre azioni sono sempre importanti, ma sono decisivi nelle organizzazioni a movente ideale e con comunità e movimenti nati da carismi o da valori spirituali. Qui molto spesso gli esiti più felici nascono da eventi casuali non previsti né cercati, e quelli peggiori sono il risultato di scelte e regole originate dall’intenzione ottima di assicurare sviluppo e successo futuri. Dove l’eccedenza degli effetti delle azioni sulle loro intenzioni è particolarmente importante, è nel rapporto reciproco tra i fondatori e le future generazioni. Chi dà vita una organizzazione o comunità ideale, a un certo punto avverte forte il bisogno profondo di scrivere una "regola".

Questa regola svolge diverse funzioni. È una carta d’identità di quella comunità nuova e unica, con foto e generalità. Ma è anche una costituzione che contiene le regole di governance affinché la gestione delle relazioni tra i suoi membri sia coerente con la specificità del carisma, perché il "vino nuovo" trovi "nuovi otri" capaci di contenerlo e farlo maturare. Il primo scopo di ogni buona regola è assicurare la fedeltà al carisma da parte di chi verrà dopo. Ed è proprio attorno a questa grande parola, fedeltà, che si gioca molto, quasi tutto, della qualità ideale, umana, comunitaria e spirituale della vita delle future generazioni.
Nella vita, in ogni vita, la fedeltà è quasi tutto. È fiducia, è alleanza, è patto nuziale, come dice anche il nome portoghese dell’anello nuziale – aliança – che in italiano chiamiamo fede. E come in ogni fede, la fedeltà è un cammino libero dietro la voce che un giorno ci ha chiamato verso una terra promessa e una grande liberazione. È un esodo, un pellegrinaggio verso un monte più alto di noi, sconosciuto e misterioso, un luogo di rigenerazione e di salvezza personale e collettiva. È un andare cui non segue mai un semplice tornare, perché la casa che ci attende al ritorno è sempre nuova e diversa.

Ogni volta non la riconosciamo, dobbiamo reimparare a rivederla e risentirla dentro un’anima che cambia per sempre dopo ogni viaggio; che cresce con il cammino, fino, un giorno, a coincidere col tutta la terra e tutto il cielo. La casa che custodisce e accudisce una alleanza vera e grande cambia mille volte nel corso della vita, e se non diventa troppo grande finisce sempre per essere troppo piccola. Nessuna casa nata da una chiamata coincide con la misura del nostro cuore, anche se è sempre forte la tentazione di abbassare il tetto e rimpicciolire le stanze per abitarla comodamente.
La fedeltà non è un processo semplice, neanche quella fedeltà originaria a noi stessi, che tutti cerchiamo e che ci sfugge, perché il giorno che dovessimo raggiungerla sarebbe solo l’inizio del "grande tradimento". Siamo fedeli a noi stessi finché, con una energia morale che ci era sconosciuta, riusciamo a tornare a casa dopo l’ennesimo tradimento, e finché teniamo l’uscio aperto per accogliere gli ospiti sempre nuovi che vengono a visitarci e onorarci, senza che il dolore per aver fatto entrare qualche persona sbagliata chiuda per sempre la porta del cuore.

Anche la fedeltà al fondatore e al carisma è molto delicata, è un cammino in un bosco meraviglioso, ma pieno di pericoli e di insidie. Le prime insidie sono quelle che lo stesso fondatore dissemina lungo la strada, anche se nel costruirle è mosso soltanto dalla volontà di bene, dalla certezza morale di star creando le condizioni per salvare il futuro. Per la inevitabile e necessaria paura che la tradizione del carisma si trasformi in tradimento, i fondatori quasi sempre finiscono per inserire nella loro regola dei dispositivi di protezione che si trasformano in trappole. Fanno qualcosa di simile a quelle mogli o quei mariti che per timore di essere traditi danno vita a un sistema di controllo della vita dell’altro che uccide la libertà reciproca e presto anche la coppia, che vive e cresce finché resta reale e concreta l’opzione del tradimento che liberamente viene ogni volta scartata.

L’unica gestione buona della naturale paura dei tradimenti sta nell’accogliere l’assoluta vulnerabilità di ogni vera fedeltà. La costruzione di una fedeltà invulnerabile è il primo tradimento di ogni alleanza, anche se è un tradimento non voluto né pensato. Non sappiamo di essere fedeli finché non ci troviamo sulla soglia della porta sbagliata e scopriamo di poter ancora tornare a casa. Blindare una regola per proteggerla da futuri possibili abusi è la strada sicura verso la sterilità spirituale della comunità. Ogni vulnus (ferita) è anche una fessura e la possibilità di fecondità. Una buona alleanza comunitaria inizia con una regola che non ha paura della vulnerabilità e dell’esposizione all’abuso della fiducia e della fede.
Ma anche quando il fondatore ha scritto buone regole coraggiose e quindi vulnerabili, non più semplice è la parte che devono svolgere le future generazioni, perché non sono minori le trappole che esse stesse costruiscono lungo la loro strada. Una molto comune sta nell’interpretazione del verbo ricordare. Nel Vangelo troviamo uno stupendo passaggio che dovrebbe ispirare il comportamento di ogni comunità nella gestione della fedeltà. Nel suo ultimo discorso ai discepoli dopo la resurrezione, Gesù dice: «Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il paraclito, lo Spirito ... vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto» (Giovanni 14, 25-26). Nel tempo dopo i fondatori è lo Spirito che svolge tre funzioni fondamentali: è paraclito, insegna e ricorda.

Lo Spirito è il Paraclito, cioè l’avvocato, il difensore, colui che sta dalla nostra parte, ci protegge e ci salva. È poi colui che ci insegna "ogni cosa": il maestro dell’età che segue il fondatore è lo Spirito, è il carisma stesso. Questo insegnamento si compie tramite l’esercizio di una particolare dimensione della memoria. Ricordare è qui un’operazione fondamentale, perché non è un atto mnemonico, ma un evento spirituale essenziale per comprendere nel tempo presente lo spirito delle parole antiche, oltre la loro lettera. Il ricordare le parole fondative è allora un processo complesso e plurale, che conosce più protagonisti distinti e coessenziali: le prime parole storiche, lo Spirito e una comunità capace di ricordare nello Spirito.

L’errore più comune è confondere il ricordare nello Spirito con la ricostruzione esatta delle parole pronunciate. E così le comunità si bloccano in nome di una fedeltà assoluta alle parole che fa smarrire il loro Spirito, che è difesa e creatività. La perfetta e totale fedeltà diventa tradimento totale e assoluto. In queste fedeltà del ricordo spirituale aiutano poco i documenti che hanno registrato le ipsissima verba dei fondatori, che finiscono invece con l’impedire il buon ricordo operato dal Paraclito.

Nel libro di Giobbe (capitolo 19) il Paraclito è invocato da Giobbe perché lo difenda da Elohim che lo aveva ingiustamente condannato. Lo spirito difende le comunità dal loro fondatore, perché consente di ricordaresoltanto quelle parole e quei fatti che fanno vivere qui ed ora.
Non tutte le parole devono essere ricordate nello Spirito. Le eresie nascono spesso da parole effettivamente pronunciate da un fondatore, ma non ricordate nello spirito. Ogni buon ricordare è sempre parziale, perché la vita e la salvezza stanno nel ricordare le poche parole che solo un saggio e rischioso processo comunitario può generare. È creazione di parole vive e incarnate, non è mai un nostalgico ricordare gli eventi passati. È rivivere lo stesso miracolo dell’inizio con parole tutte antiche e tutte nuove.

Le comunità vive e feconde sono quelle dove ogni generazione ha osato decidere quali parole ricordare e quali lasciare riposare in attesa del tempo propizio del ricordo. Quando invece manca questo lavoro di ricordo parziale – che confina sempre con la regione del tradimento e qualche volta l’attraversa –, le ottime intenzioni di fedeltà incondizionale generano inintenzionalmente il risultato peggiore.

I Vangeli non sono una cronaca di tutte le parole di Gesù, ma solo di quelle poche ricordate nello Spirito. Ogni carisma vive finché la comunità non pretende di ricordare tutte le parole dei fondatori, e si prende tutti i rischi del ricordo spirituale parziale, anche quando i fondatori avevano raccomandato loro il ricordo totale. Le parole di vita sono poche. È questo il bel paradosso di ogni tradizione e di ogni fedeltà.

Non c’è tradimento più grande di quello di un figlio che decide di aderire perfettamente ai progetti dei suoi genitori. Non c’è incontro più banale di quello che soddisfa perfettamente le nostre aspettative, né lavoratore peggiore di chi esegue perfettamente le prescrizioni del contratto di lavoro. La vita adulta più sfiorita è quella che realizza soltanto i progetti della giovinezza.

l.bruni@lumsa.it