lunedì 23 maggio 2016

Inno alla gioia



«La carta d’identità del cristiano è la gioia»: lo «stupore» di fronte alla «grandezza di Dio», al suo «amore», alla «salvezza» che ha donato all’umanità non può che portare il credente a una gioia che neanche le croci della vita possono scalfire, perchè anche nella prova c’è «la sicurezza che Gesù è con noi». Un vero e proprio inno alla gioia è stata la meditazione di Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta lunedì 23 maggio. Lo spunto è venuto dalla liturgia del giorno. 
In particolare, il Pontefice ha voluto rileggere l’incipit del brano tratto dalla prima Lettera di Pietro (1, 3-9) che — ha detto — per il «tono esultante», l’«allegria», il modo dell’apostolo di intervenire «a tutta forza» ricorda l’inizio «dell’Oratorio di Natale di Bach». Scrive, infatti, Pietro: «Sia benedetto il Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, ricreati, mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce; essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rilevata nell’ultimo tempo». Sono parole in cui si percepisce «lo stupore davanti alla grandezza di Dio», davanti alla «rigenerazione che il Signore — “in Gesù Cristo e per Gesù Cristo” — ha fatto in noi». Ed è «uno stupore pieno di giubilo, allegro»: subito dopo, ha fatto notare il Papa, nel testo della lettera s’incontra la «parola chiave», ovvero: «Perciò siete ricolmi di gioia». La gioia di cui parla l’apostolo è duratura. Per questo, ha spiegato Francesco, egli aggiunge nell’epistola che, anche se se per un po’ di tempo si è costretti a essere «afflitti dalle prove», quella gioia dell’inizio «non sarà tolta». Infatti essa scaturisce da «quello che Dio ha fatto in noi: ci ha rigenerati in Cristo e ci ha dato una speranza». 
Una speranza — «quella che i primi cristiani dipingevano come un’àncora in cielo» — che, ha detto il Papa, è anche la nostra. Da lì viene la gioia. E infatti Pietro concludendo il suo messaggio invita tutti: «Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa». Da tutto ciò, ha sottolineato il Pontefice, si capisce come la gioia sia davvero la «virtù del cristiano». Un cristiano, ha specificato, «è un uomo e una donna con gioia nel cuore». Di più: «Non esiste un cristiano senza gioia». Qualcuno potrebbe obbiettare: «Ma, Padre, io ne ho visti tanti!», intendendo dire con ciò che «non sono cristiani: dicono di esserlo, ma non lo sono, gli manca qualcosa». Ecco perché secondo il Papa «la carta di identità del cristiano è la gioia, la gioia del Vangelo, la gioia di essere stati eletti da Gesù, salvati da Gesù, rigenerati da Gesù; la gioia di quella speranza che Gesù ci aspetta». E anche «nelle croci e nelle sofferenze di questa vita», ha aggiunto, il cristiano vive quella gioia, esprimendola in un altro modo, ovvero con la «pace» che viene dalla «sicurezza che Gesù ci accompagna, è con noi». Il cristiano, infatti, vede «crescere questa gioia con la fiducia in Dio». Egli sa bene che «Dio lo ricorda, che Dio lo ama, che Dio lo accompagna, che Dio lo aspetta. E questa è la gioia». A fare da contraltare a questo inno alla gioia, la liturgia del giorno propone «un’altra parola», quella legata all’episodio del Vangelo di Marco (10, 17-27) nel quale si narra del giovane «che si è avvicinato a Gesù per seguirlo»: un «bravo giovane» tanto da riuscire «a conquistare il cuore di Gesù» il quale, si legge, «fissò lo sguardo su di lui» e «lo amò». A quel giovane Gesù fece una proposta: «Una sola cosa ti manca: vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri e vieni con me»; ma a queste parole egli «si fece scuro in volto e se ne andò rattristato». Il giovane, ha notato Francesco, «non è stato capace di aprire il cuore alla gioia e ha scelto la tristezza». Ma perché? La risposta è chiara: «Perché possedeva molti beni. Era attaccato ai beni». Del resto, Gesù stesso aveva avvisato «che non si può servire due padroni: o servi il Signore o servi le ricchezze». Tornando su questo tema già affrontato in un’omelia pochi giorni fa, il Pontefice ha spiegato: «le ricchezze non sono cattive in se stesse», la cattiveria è «servire la ricchezza». Fu così, insomma, che il giovane se ne andò triste: «Egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato». È questo un episodio che getta luce anche sulla vita quotidiana «nelle nostre parrocchie, nelle nostre comunità, nelle nostre istituzioni»: qui infatti, ha sottolineato il Papa, se «troviamo gente che si dice cristiana e vuole essere cristiana ma è triste», vuol dire che succede qualcosa «che non va». Ed è compito di ognuno aiutare questa gente «a trovare Gesù, a togliere quella tristezza, perché possa gioire del Vangelo, possa avere questa gioia che è propria del Vangelo». Francesco ha voluto approfondire ancora questo concetto centrale e legare la gioia allo stupore che scaturisce — come ricordato da san Pietro nella sua lettera — «davanti alla rivelazione, davanti all’amore di Dio, davanti alle emozioni dello Spirito Santo». Perciò si può ben dire che «il cristiano è un uomo, una donna di stupore». Una parola — “stupore” — che ritorna anche alla fine del brano evangelico del giorno, «quando Gesù spiega agli apostoli che quel ragazzo tanto bravo non è riuscito a seguirlo, perché era attaccato alle ricchezze e dice che è molto difficile che un ricco, uno che è attaccato alle ricchezze, entri nel regno dei Cieli». Si legge infatti che loro, «più stupiti», dicevano: «E chi può essere salvato?». L’uomo, il cristiano — ha spiegato il Papa — può essere talmente stupito di fronte a tanta grandezza e tanta bellezza, da pensare: «Io non ce la faccio. Non so come si fa!». La risposta che Gesù dà guardando in faccia i suoi discepoli è consolante: «Impossibile agli uomini — non ce la facciamo... — ma non a Dio!». Possiamo, cioè vivere la «gioia cristiana», lo «stupore della gioia», e salvarci «dal vivere attaccati ad altre cose, alle mondanità», soltanto «con la forza di Dio, con la forza dello Spirito Santo». Perciò, ha invitato il Pontefice al termine dell’omelia, «chiediamo oggi al Signore che ci dia lo stupore davanti a lui, davanti a tante ricchezze spirituali che ci ha dato; e con questo stupore ci dia la gioia, la gioia della nostra vita e di vivere in pace nel cuore le tante difficoltà; e ci protegga dal cercare la felicità in tante cose che alla fine ci rattristano: promettono tanto, ma non ci daranno niente!». Questa la conclusione: «Ricordatevi bene: un cristiano è un uomo e una donna di gioia, di gioia nel Signore; un uomo e una donna di stupore».
L'Osservatore Romano