martedì 3 maggio 2016

Renzi e lo spin doctor



Al via scateniamo il Paradiso! ‪#‎RenziCiRicorderemo‬ !
(M.R.Ruiu)


***

di Giuliano Guzzo
L’apertura della campagna per il Sì al referendum costituzionale del prossimo autunno, tenutasi in pompa magna ieri al Teatro Niccolini di Firenze con un intervento con cui Matteo Renzi ha confermato di volersi giocare il tutto per tutto («Se non riesco vado a casa»), costituisce senza dubbio, in primo luogo, un evento politico. Esiste però anche una seconda chiave di lettura sia dell’accaduto sia della campagna referendaria inaugurata, ed è quella – d’ora in poi – non solo di vedere ma d’interpretare le mosse del Presidente del Consiglio, di osservarle cioè come movimenti solo all’apparenza casuali ma, in realtà, sapientemente pilotati.
Perché una simile chiave di lettura? La risposta è un nome: Jim Messina, «la persona più importante fra quelle di cui non avete mai sentito parlare» (The Nation, 2011). Moltissimi infatti non lo conoscono, ma è quasi certamente lo spin doctor numero uno a livello mondiale e qualche mese fa è stato ingaggiato dal Premier con un compenso di tutto rispetto (100.000 euro, secondo quanto riferito da Claudio Tito su Repubblica), che rende l’idea della sua rilevanza strategica, ma soprattutto con un rinnovo contrattuale automatico, in caso di vittoria, per le prossime elezioni. Ora, su Messina c’è una cosa fondamentale da sapere: è infallibile.
Proprio così: già braccio destro dell’ex capo di gabinetto della Casa Bianca, Rahm Emanuel, uno dei politici più temuti d’America, il Nostro ha nel curriculum qualcosa come la rielezione di Barack Obama del 2012, la vittoria dei conservatori di Cameron nelle politiche britanniche del 2015 ed è attualmente co-presidente di un PAC, un comitato che riunisce più gruppi di interesse, a sostegno della candidatura di Hillary Clinton alle presidenziali del prossimo novembre. Naturalmente nessun uomo al mondo è infallibile, ma al momento Messina non ha conosciuto alcuna sconfitta. Ed ora, anche se non è stata diffusa neppure una foto dei due insieme, lavora per Renzi.
In che modo? Come scoprire la raffinata opera di questo professionista invisibile ma fondamentale, uno che da Steve Jobs ha imparato come utilizzare politicamente gli smartphone, da Steven Spielberg come catturare l’attenzione e da Anna Wintour, direttore di Vogue America, come trasformare Obama un marchio di successo? Svelare i segreti del lavoro del migliore spin doctor è cosa tutt’altro che semplice, ma osservando le ultime mosse di Matteo Renzi è possibile – pur consapevoli che si tratta solo d’un tentativo – avanzare ipotesi su almeno tre preziosi suggerimenti di cui costui potrebbe, oggi, essere destinatario. Il primo, banalmente, sembra essere di carattere estetico e simbolico.
E’ un caso che Matteo Renzi abbia pensato di bene di inaugurare la campagna referendaria non solo nella sua città – scelta che evoca automaticamente la vittoria (lì l’attuale Premier venne eletto Sindaco col quasi il 60% dei voti ed era, nel 2010, il primo cittadino più amato d’Italia) –, ma nel più antico teatro più Firenze, inaugurato per la prima volta nel 1658, una struttura – il Niccolini – di grande bellezza e oltretutto fresca di inaugurazione, avvenuta nel gennaio di quest’anno dopo due decenni di restauri? Ed è sempre un caso che si sia visto sul palco un Renzi con qualche sapiente tocco di lampada, che pochi mesi fa non aveva, e pure leggermente dimagrito? Chissà.
Sta di fatto che quella esteriore, soprattutto in campagne politiche, è cosa fondamentale, ed è impossibile che a Messina ciò sfugga. Secondo possibile indizio dell’opera del nuovo spin doctor del Premier: la messa in disparte di ogni tono da scontro diretto. Lo si evince sia dallo slogan dell’evento di ieri – e verosimilmente della campagna–, «L’Italia che dice sì», sia dal tentativo di Renzi di accreditarsi non solo come non in contrasto con la Costituzione, ma come autentico interprete della volontà dei suoi Padri. Abolendo il bicameralismo paritario il Premier ha per esempio detto di fare ciò che i Costituenti avrebbero voluto ma non potuto: «Il bicameralismo paritario non è quello che volevano coloro che scrissero la Costituzione».
Da qui in avanti, insomma, prepariamoci a vedere l’ex Sindaco di Firenze presentarsi al tempo stesso come riformatore radicale e come erede dello spirito costituente: lo so, scappa un po’ da ridere, ma è una strategia e come tale va letta. Una terza mossa di Renzi che potrebbe essere dovuta al suo formidabile stratega, sta nella parte conclusiva del suo discorso di ieri: «Fino a ottobre serve una gigantesca campagna porta a porta per chiedere se si vuole riportare l’Italia a due anni fa o andare a testa alta verso il futuro». «Porta a porta»: no, non è pubblicità occulta al programma di Vespa bensì la riproposizione del “Door to door”, il “porta a porta” che è servito a rieleggere Barack Obama nel 2012.
Segno che Renzi il suo spin doctor sono sul serio all’opera. Che cosa testimonia tutto ciò? Una cosa essenzialmente: che il Presidente del Consiglio si sta davvero giocando il tutto per tutto e, fino a ieri, temeva di non potercela fare. Se infatti sei sicuro di vincere un referendum non vai ad ingaggiare, per la campagna che precederà le urne, lo stratega migliore al mondo: lo fai solo se ritieni la sconfitta eventualità probabile, da scongiurare a tutti i costi. Dunque il destino del Governo, da qui ad ottobre, è – letteralmente – anche nelle mani di un invisibile ma decisivo mago della politica: può sembrare una esagerazione, ma non lo è. Poi la palla passerà agli Italiani, al popolo. E allora, oso pronosticare, ne vedremo delle belle.

*

No alle riforme Boschi-Renzi: parla il sociologo Renzo Gubert

Renzo Gubert, classe 1944, è stato compagno di studi, negli anni Sessanta, presso la facoltà di sociologia di Trento, di personalità così diverse dalla sua come Mauro Rostagno e Renato Curcio. 
E’ divenuto poi professore di Sociologia, ed è stato parlamentare di centro per alcune legislature. Abbiamo voluto intervistarlo per conoscere la sua storia, così connessa con quella della città di Trento, e il suo competente giudizio su alcune questioni di attualità, in particolare sui governi Monti, Letta e Renzi e sulla riforma costituzionale Boschi-Renzi.
[…]
Qual è la sua valutazione dei governi Monti, Letta e Renzi?

La crisi del Governo Berlusconi, del 2011, fu propiziata dalla secessione di Fini e dei suoi amici e dal clima di scarso accordo interno (specie tra Berlusconi e il ministro Tremonti), ma il colpo decisivo fu senz’altro un’azione combinata di paesi stranieri (Germania in primo luogo) e forze interne (Presidente della Repubblica Napolitano, grandi giornali nazionali, esponenti del mondo economico) che hanno creato le condizioni per le dimissioni di Berlusconi. A quel tempo mi era chiaro come fosse stato un sopruso (la nomina di Mario Monti a senatore a vita è stato un sintomo di evidenza unica), ma più tardi giunsero confessioni e prove.
Per questo non mi convinse la nascita del Governo Monti, che qualcuno vedeva come inizio di una ripresa di forza centrista post-berlusconiana, ma che di fatto erala manifestazione della capacità delle élites legate al mondo finanziario internazionale
(con forte presenza massonica) di condizionare le politiche nazionali, nello specifico italiane. Monti riuscì a far rientrare nella “normalità” la situazione finanziaria dello stato italiano, assecondando le richieste della tecnocrazia finanziaria europea. Forse non era possibile fare altro, come il caso della Grecia avrebbe più tardi dimostrato. Tuttavia quando Monti ha voluto fondare un suo proprio partito per le elezioni nazionali, tra l’altro con l’eccessivo appiattimento su di esso dell’UDC, non ho trovato motivazioni convincenti per apprezzare l’iniziativa.Sembrava l’uomo delle grandi banche, dei grandi interessi internazionali, più che l’uomo che avrebbe ridato espressione politica al popolarismo di ispirazione cristiana.
Il fallimento della formazione politica di Monti alle elezioni nazionali e i non riusciti tentativi di coalizione di Bersani del PD portarono al Governo Letta, persona squisita sul piano personale, che avevo conosciuto fin dai tempi delle riunioni del PPI che Nino Andreatta teneva, nel 1994-95 presso un suo centro studi a Roma. Era espressione dell’Ulivo lanciato allora, ma caratterizzato non dal settarismo degli inizi, bensì dalla razionalità capace di affrontare i problemi. Era pur sempre un Governo di centro-sinistra a trazione PD (ultimo erede del PCI-PDS con innesti dei DC di sinistra-Margherita), ma la componente centrista sembrava aver guadagnato peso.Non fu lasciato governare a lungo, e non solo per l’arroganza di un Matteo Renzi vincitore delle primarie nel PD, ma anche per l’appoggio a Renzi dei maggiorenti del partito del PD.
L’incostituzionalità della legge elettorale denunciata dalla Corte Costituzionale per alcuni aspetti cruciali, quale ad es. le regole del premio di maggioranza, avrebbero dovuto indurre le istituzioni, specie la Presidenza della Repubblica, a limitare i compiti del Parlamento all’approvazione di una nuova legge elettorale. Il Presidente Napolitano scelse diversamente e investì di fatto il Governo Renzi di tutti i poteri.
Il venir meno, nella maggioranza post-elettorale che aveva sostenuto Letta e poi Renzi, del Popolo delle Libertà a seguito di insufficiente considerazione del peso politico del partito di Berlusconi (applicazione retroattiva di leggi penalizzanti Berlusconi, elezione del Presidente della Repubblica) non ha costituito alcun impedimento a proseguire nell’attività parlamentare e di Governo anche se la maggioranza residua (con il Nuovo Centro Destra di Alfano e poi del gruppo di Verdini, ex FI) tale era solo in virtù di un premio di maggioranza dichiarato illegittimo:. Non solo la nuova legge elettorale e i documenti di programmazione finanziaria dello Stato, ma anche le larghe parti riformate della Costituzione sono state approvate solo grazie a presenze parlamentari esito di norme proclamate incostituzionali. Sorprende che neppure il nuovo Presidente, Sergio Mattarella, che pur ha alle spalle una tradizione politica diversa da quella di Napolitano e aveva fatto parte della Corte Costituzionale che aveva giudicato la legge elettorale, faccia rilevare tali violazioni dei principi democratici.
Indubbiamente il Presidente Matteo Renzi ha una capacità affabulatoria non comune, con la sua “rottamazione” ha dato pane per i denti di quanti denunciano le inadeguatezze della classe politica, ma non ha dimostrato di tenere in conto il valore della democrazia partecipativa, che valorizza i corpi sociali intermedi, architrave del pensiero sociale cristiano. Il piglio è decisamente populista (appello diretto al popolo via mezzi di comunicazione di massa), nelle parole a favore della gente comune e nei fatti attento a favorire le classi dirigenti delle imprese medie e grandi (vedi abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, vedi il sostegno a Marchionne che sposta la sede legale e fiscale della FIAT-Chrysler all’estero, ecc.), delle banche private(specie se amministrate da “amici”), mortificando banche popolari e cooperative.
La nuova legge elettorale ripete i difetti della precedente, aggiungendone di altri. Circa due terzi dei nuovi deputati saranno dei “nominati” e il premio di maggioranza potrà andare a una lista che, in prima votazione potrebbe aver avuto poco più del 20% dei voti (se concorrono tre – quattro formazioni maggiori e altre minori), senza che al ballottaggio abbia ottenuto più voti in assoluto. L’azione sull’economia non riesce a far diminuire in modo significativo la disoccupazione. Sui temi etici relativi a vita e famiglia c’è chi, nel mondo cattolico, sperava in Renzi; ha imposto una legge sulle unioni civili degli omosessuali che di fatto equipara queste al matrimonio di uomo e donna. Ma è la modifica della Costituzione fatta approvare con maggioranza ristrettissima che evidenzia il tipo di ideologia cui Renzi si ispira.
Il suo giudizio sulla riforma costituzionale che a ottobre sara’ sottoposta a referendum confermativo e’ quindi negativo?
Certamente e come Centro Popolare abbiamo aderito al Comitato Popolare per il No presieduto dall’on Giuseppe Gargani, della Federazione Popolare, e che è in via di costituzione a livello regionale in tutta Italia con Nuovo CDU di Mario Tassone, Popolari per l’Italia di Mario Mauro, e con l’adesione di molti altri.
I motivi della valutazione negativa vanno ricercati nella mortificazione che la combinazione di nuova legge elettorale e nuovo assetto del Parlamento produce a danno della democrazia; i poteri sono pieni per la Camera dei Deputati, che però è poco rappresentativa perché formata per due terzi o più da nominati dai capi-partito e perché viene gravemente alterato il principio della giusta rappresentanza (e pensare che il PCI aveva giudicato “legge truffa” quella di Degasperi che dava un piccolo premio di maggioranza alla coalizione che già l’aveva). Il premio di maggioranza dato a una lista, escludendo che tra primo turno e ballottaggio si possano formare coalizioni, peggiora l’esito del processo elettorale.
I senatori, ridotti a 100, saranno scelti tra sindaci e consiglieri regionali (provocando un inefficiente cumulo delle cariche) e il Senato potrà intervenire nel processo di formazione delle leggi in alcuni casi per competenza propria pari a quella della Camera e in altri provocando un riesame da parte della Camera delle leggi sulle quali ha proposte emendative da fare; la conflittualità tra Camera e Senato sulle competenze aumenterà. La semplificazione proposta nella legge costituzionale del 2001 approvata dal centrodestra era certamente più efficace; questa, vantata da Renzi,creerà solo complicazioni.
Altro motivo di valutazione negativa concerne la revisione delle competenze di stato e regioni: la nuova proposta ritorna a un centralismo statale che smentisce tutti i passi avanti verso una struttura di regionalismo avanzato che si avvicinava al federalismo; si vogliono giustamente evitare troppi conflitti di competenza tra stato e regioni, rendendo più semplici le attribuzioni, ma lo si poteva fare mantenendo e rafforzando le autonomie. Renzi, invece, non solo ha ricentralizzato molte competenze, ma ha reintrodotto un concetto di “interesse nazionale” che, creando mille contenziosi come in passato, consente allo stato di sovrapporsi anche alle residue competenze autonome regionali. E’ la negazione del principio regolativo della “sussidiarietà” verticale, altro architrave del pensiero sociale cristiano e patrimonio della tradizione di Sturzo.
Infine anche le istituzioni di controllo (Corte Costituzionale, Presidenza della Repubblica) sono più esposte ad essere controllate da chi vince la competizione elettorale. Sono limitati i poteri del Presidente della Repubblica.
In sintesi, nessun paese democratico d’Occidente, neppure a regime presidenziale, ha una Costituzione che dà poteri così forti al vincitore di un’elezione, pur in un sistema formalmente ancora parlamentare. Rischio autoritario e centralismo sono in definitiva i gravi difetti che inducono molti a sostenere il NO al prossimo referendum. E che non si tratti di mera propaganda politica lo dimostrano anche le prese di posizione per il NO di molti autorevoli costituzionalisti.
In Trentino-Alto Adige si aggiunga l’obbligo di conformare a tali mutamenti costituzionali, pur se attraverso un processo negoziale, anche lo Statuto di speciale autonomia.