venerdì 3 giugno 2016

5 giugno 2016: fine della famiglia naturale in Italia

Il 5 giugno entra in vigore la Legge Cirinnà sulle unioni civili
La Cirinnà entra in vigore, proibita l’obiezione
di Alfredo Mantovano*
La legge n. 76/2016 c.d. Cirinnà entra in vigore oggi. Pone a carico dei Comuni precisi obblighi sia quanto al rito di avvio dell’unione civile sia quanto alla trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimonisame sex contratti all’estero. Stabilisce infatti, ai commi 2 e 3 dell’articolo unico, che «due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni», e che «l’ufficiale di stato civile provvede alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell’archivio dello stato civile». 
Il comma 28 delega il governo «ad adottare, entro sei mesi dalladata di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di unione civile tra persone dello stesso sesso»; fra i principi ai quali la delega dovrà conformarsi vi è - fra gli altri - la previsione della «applicazione della disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo».
Che succede se un sindaco ritiene - come è - il regime dell’unione civile corrispondente in tutto e pertutto al regime dell’unione fra un uomo e una donna fondato sul matrimonio? Può rifiutare la celebrazione del il rito di avvio dell’unione? Che cosa potrà fare per evitare la trascrizione nei registri dello stato civile del matrimonio same sex contratto all’estero? Il Centro studi Livatino affronta la questione con un lungo e motivato documento, in larga parte redatto dal consigliere Giacomo Rocchi, giudice in Cassazione. Si tratta del gruppo di giuristi che in febbraio ha raccolto 600 firme fra giudici (anche costituzionali emeriti), docenti di materie giuridiche e avvocati in calce a un appello critico verso la legge, e che un mese fa, prima del voto definitivo alla Camera, ha inviato a tutti i deputati e al Capo dello Stato una memoria sui profili di illegittimità costituzionale e di intrinseca incoerenza delle nuove disposizioni. La questione dell’obiezione dipende dalla omissione nella legge Cirinnà di qualsiasi esplicito riferimento a essa.
Nel documento si spiega analiticamente perché il sindaco non è obbligato a celebrare quelle unioni:può invece delegare altri soggetti. Il sindaco ha la duplice e concorrente qualità di ufficiale del governo e di ufficiale dello stato civile: in quanto tale è obbligato a ricevere le dichiarazioni delle persone dello stesso sesso che intendono costituire un'unione civile e a provvedere alla registrazione del relativo atto nell'archivio dello stato civile; e tuttavia nulla gli impedisce di delegare tale funzione ai dipendenti del Comune. Alla stregua della stessa logica, il delegato a sua volta vi può rinunciare per gravi e comprovati motivi. Se si ragiona in termini stretti di obiezione di coscienza - cioè del rapporto fra la coscienza del singolo tenuto a un comportamento e l’ordinamento che ne pretende l’adempimento -, il sindaco può delegare l’esercizio della funzione, ma non può bloccarne l’esercizio, quindi è comunque tenuto a garantirne lo svolgimento. 
La soluzione può apparire deludente e priva di peso politico: ma essa rispetta la natura dell'obiezionedi coscienza: diretta anzitutto a tutelare il singolo individuo nella scelta specifica che è chiamato a fare. Si può obiettare che il sindaco che delega in qualche modo contribuisce a realizzare la celebrazione fra persone dello stesso sesso. Se si fa riferimento ai casi precedenti di riconoscimento del diritto di obiezione nel nostro ordinamento, chi lo evocava per non adempiere al servizio militare non andava oltre la mancata prestazione, né puntava a disarticolare il sistema dell'Esercito; l'obiettore di coscienza all'aborto si astiene dal compiere gli interventi interruttori della gravidanza (o dal vendere i farmaci abortivi), ma continua a lavorare in un sistema che esegue gli aborti e vende i farmaci abortivi. 
Ovviamente, nulla impedisce al sindaco, se volesse dare seguito alle tesi di chi ha marcato la differenza fra unioni civili e matrimonio, di distinguere fra il ricevimento della dichiarazione (nel primo caso) e la celebrazione (nel secondo), e di individuare luoghi fisici diversi per la “celebrazione” e per la “dichiarazione”, proprio per valorizzare le differenze tra i due adempimenti. Immaginiamo però che un sindaco voglia andare oltre, che gli interessi sollevare la questione politica e istituzionale della mancata previsione dell’obiezione. In tal caso potrebbe giungere a non delegare un funzionario comunale e a rifiutare la ricezione delle dichiarazioni finalizzate alla costituzione dell'unione civile. 
Gli effetti potrebbero essere due, non necessariamente alternativi: il Prefetto adotta l'atto in viasostituiva; gli interessati propongono un'azione giudiziaria, di fronte al Tar o al Tribunale ordinario. Nella sede giudiziaria il sindaco eccepirà l'incostituzionalità della legge n.76 del 2016, nella parte in cui non prevede l'obiezione di coscienza. Al di là degli effetti che avrebbe, la seconda opzione solleverebbe il caso e aprirebbe un dibattito politico sul diritto di rifiutare il compimento di atti contrari alla propria coscienza. 
Ma immaginiamo che il sindaco intenda manifestare al massimo il suo dissenso: convinto che lefunzioni attribuite al Comune dalla legge n. 76 siano così incompatibili con la propria coscienza, rassegna le dimissioni, sostenendo che, come sindaco, egli in un modo o nell'altro contribuirà pur sempre all’esercizio di quelle funzioni. Entrambe le scelte - ulteriori alla semplice delega a un funzionario - non possono dirsi propriamente di obiezione di coscienza; si collocano nel campo delle iniziative di contrarietà politica verso la legge.
È certo comunque che la questione va affrontata. Non tranquillizza quanto accaduto in Stati nei qualiesiste già una disciplina delle unioni civili. Il “caso Ladele” è in tal senso illuminante: Lillian Ladele lavorava al London Borough of Islington, addetta alle iscrizioni anagrafiche; dopo l’approvazione del Civil Partnership Act nel 2004 (quindi non una legge sul matrimonio same sex, bensì sulle unioni civili, simile a quella italiana), il suo ufficio era obbligato anche a registrare le unioni civili. Lilian ha sostenuto che le sue convinzioni religiose le impedivano di officiare la cerimonia di costituzione dell’unione; per questo è stata licenziata. In primo grado, i giudici hanno disposto la riassunzione, ma in appello la funzionaria ha avuto torto. Proposto ricorso alla Cedu, esso è stato respinto il 27 maggio 2013 per la ragione che nella manca - come manca ora in Italia - una norma che autorizzi l'obiezione di coscienza. L’intero documento è consultabile sul sito www.centrostudilivatino.it  .
*vicepresidente del Centro studi Livatino

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Cattolici in ordine sparso. Il caso Famiglie Numerose
di Luca Paci

Che gli ultimi due Family Day, promossi e animati da laici senza pastori pilota, abbiano sparigliato le carte nel mondo dell’associazionismo cattolico è cosa ormai assodata e quasi irreversibile. Un ulteriore spartiacque nel riposizionamento all’interno dell’agenda dell’impegno civile è rappresentato dal referendum costituzionale di ottobre.
In questo quadro ha fatto un certo effetto l’intervista a Matteo Renzi (secondo i critici dal tono molto compiacente) con cui ha aperto l’edizione diAvvenire della scorsa domenica, proprio all’indomani della presentazione dei ‘Comitati delle Famiglie per il No’ da parte del Comitato promotore del Family Day guidato da Massimo Gandolfini.
La partita delle riforme istituzionali è stata personalizzata dal premier in persona che, senza che alcuno glielo chiedesse, ha voluto legare la sua permanenza al governo alla vittoria del ‘Si’. E ad auspicare un “successo” del referendum sulla Costituzione è stata anche la rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica che, in un’analisi di Padre Occhetta, ha messo a fuoco tutte le luci e le ombre di questa riforma.
Molte più perplessità aleggiano invece sul fronte delle associazioni cattoliche dei lavoratori. Il presidente del Movimento Cristiano Lavoratori, Carlo Costalli, non ha espresso un No netto ma, in una recente intervista a IlTempo, ha duramente criticato la riforma perché marginalizzerebbe ancora di più i corpi intermedi della società dando anche più spazio ai “più svariati operatori di un lobbismo sempre più strisciante”. Si attende invece di conoscere la posizione delle Acli; il neo presidente Roberto Rossini ha rimandato a settembre un pronunciamento sul tema referendario ma sembra che dalla base territoriale si stiano levando molte voci contrarie.
L’associazionismo familiare sembra invece orientato sul fronte della neutralità. “Non boicotteremo il referendum costituzionale per via della legge sulle unioni civili, perché sono due cose separate. Semmai sul referendum dovremmo fare una riflessione seria perché i corpi intermedi come le associazioni vengono messi in secondo piano, e quindi c’è un ragionamento molto più ampio da fare”, ha detto presidente del Forum delle Famiglie, Gianluigi De Palo.
Ma gli iscritti alla varie organizzazioni rispetteranno le indicazioni che arrivano dall’alto? Molti segnali fanno capire che la base cattolica non è più così facilmente addomesticabile. Una famiglia iscritta all’Associazione nazionale famiglie numerose (ANFN) e impegnata anche a sostenere le battaglie del Comitato Difendiamo i Nostri Figli ha fatto girare una mail inviatale dalla presidenza dell’ANFN, in cui si invitano tutti coloro che ricoprono cariche di qualsiasi tipo all'interno dell’organizzazione ad astenersi dal prendere posizioni pubbliche in favore del SI o del NO al referendum.
La mail, di cui riportiamo di seguito il testo integrale, imputa anche al Comitato Difendiamo i Nostri Figli di essere sceso nell’agone politico: 
Carissimi,
         abbiamo appreso che sabato 28 maggio il Comitato Difendiamo i nostri figli - organizzatore dei 2 Family Day del 20 giugno e del 30 gennaio scorso - ha dato vita ufficialmente al "Comitato delle famiglie per il NO" al referendum costituzionale del 2 ottobre prossimo. E' evidente quindi che il Comitato nato per contrastare sul piano culturale e pre-politico l'invasione dell'ideologia "gender" e l'approvazione della legge sulle unioni civili, in tal modo opera un notevole salto, entrando di fatto pienamente nell'agone politico, in particolare per due ragioni:
- non presidia più solo la famiglia naturale e l'educazione dei figli, ma si occupa di politica generale, di riforme istituzionali e costituzionali che hanno a che fare con i rapporti fra poteri dello Stato;
- si pone esplicitamente e pubblicamente l'obiettivo di far cadere il Governo in carica, schierandosi quindi nettamente con le opposizioni.
Ovviamente non entriamo nel merito di questa scelta, operata in modo legittimo ed autonomo, così come non è in discussione la nostra stima e amicizia nei riguardi di Massimo Gandolfini (nostro associato della prima ora) e degli altri membri del Comitato. Tuttavia è altrettanto evidente che ANFN non può schierarsi, riguardo al referendum costituzionale, nè per il SI, nè per il NO, come non può schierarsi con nessun movimento, partito o gruppo politico. Lo impone anzitutto il nostro Statuto -- che dichiara l'Associazione "apolitica e apartitica". Ma vi sono altre ragioni di opportunità che richiedono la nostra neutralità, anzitutto il fatto che la famiglia è un valore trasversale a tutti gli schieramenti e che non può esservi tra i nostri obiettivi la caduta di un Governo. Il che è molto diverso dall'essere semplicemente scontenti dell'operato di un Governo sulle politiche familiari.
Alla luce di quanto più volte ci siamo detti negli ultimi mesi e di quanto sopra, invitiamo tutti coloro che ricoprono cariche di qualsiasi tipo all'interno di ANFN ad astenersi dal prendere posizioni pubbliche in favore del SI o del NO al referendum.
Ciò vale quindi anche per i social networks, che oggi ormai rappresentano un considerevole canale di pubblicizzazione. Siamo certi che tutti comprenderete questa linea e provvederete a sostenerla, pur nel rispetto del pensiero di ciascuno. (Firmato: i presidenti Raffaella e Giuseppe Butturini)
I membri del comitato che ha dato vita ai due grandi Family Day di giugno e gennaio scorso hanno confutato punto per punto tutte le obiezioni. In primis quella di essersi schierati politicamente con le opposizioni. Alla convention di sabato all’Antonianum di Roma è stato infatti ribadito proprio che il comitato è sceso in campo per motivi giuridici e politici di ampio respiro e non per una vendetta personale nei confronti di Renzi. Gandolfini ha motivato questo impegno indicando non solo i rischi legati alla deriva centralista e alla disintermediazione dei vari corpi sociali ma anche mettendo a fuoco l’ammissione diretta del vertici del Pd, secondo i quali l’agenda sui temi sensibili (eutanasia, matrimonio egualitario, adozioni per tutti, liberalizzazione delle droghe e divorzio express) avrà un ulteriore accelerazione grazie all’approvazione del Referendum.
Anche l’accusa di voler far cadere il governo non può essere addebitata al Comitato, dal momento che non c’è alcun nesso tra il referendum e la durata dell’esecutivo se non fosse che lo stesso Renzi ha voluto congiungere le due cose. Sono infatti schierati per il ‘No’ anche fior di esponenti della società civile vicini alle sensibilità della sinistra che non hanno alcun obiettivo dichiarato di far cadere il governo.
Insomma critiche tutt’altro che gradite quelle dell’ANFN come conferma alla Nuova BQ il portavoce di Generazione famiglia e membro del Comitato DNF, Filippo Savarese: “Rispetto pienamente e comprendo la posizione di neutralità ufficiale delle Famiglie Numerose, il Comitato Famiglie per il No nasce anche per dare un spazio di impegno a chi fa parte di altre associazioni che non possono impegnarsi direttamente. Detto questo rimango sorpreso  e un po’ amareggiato dal fatto che si accusi il comitato di essersi schierato con le opposizioni e contro il governo mentre la nostra è una battaglia civica per salvaguardare i gli spazi di democrazia necessari a continuare il nostro impegno in futuro per il bene della famiglia”.
Qualcuno fa anche notare che l’Associazione delle Famiglie Numerose non dovrebbe dare patentini sulla neutralità politica dei movimenti, dal momento che il suo fondatore ed ex presidente Mario Sberna è membro, insieme anche al presidente del movimento per la vita Gian Luigi Gigli, del gruppo parlamentare ‘Democrazia Solidale-Centro Democratico’, realtà politica di ispirazione cattolica, nata dopo lo sfaldamento di Scelta Civica, che attualmente appoggia il governo Renzi.
Ad ogni modo c'è da registrare che è ormai consolidata la situazione per cui nell’associazionismo cattolico non è più la Cei a fare l’unica tendenza in campo sociale. Il Comitato Difendiamo i Nostri Figli è forse la prima realtà che non ha alcun tipo di dipendenza dalla Conferenza episcopale italiana e che comunque muove una massa non indifferente di persone. Massimo Gandolfini sembra avere più autorevolezza sui laici cattolici di molte altre sigle che esistono da decenni.
Dall’altro canto è stato lo stesso Papa Francesco ad auspicare il protagonismo dei laici cattolici ben formati senza attendere il ruolo guida dei vescovi pilota.