venerdì 10 giugno 2016

Anche Vianello ha mollato!



Repubblica titola:

Istat: in Italia calano i residenti
per la prima volta dopo 90 anni

RepTv L'esperto: "Misure per famiglie e giovani"
Più morti che nati, cresce l'emigrazione
e l'aumento degli stranieri non basta

Mai numeri così dalla fine della Grande Guerra


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Le opportunità offerte dal fenomeno migratorio. Sviluppo e integrazione

(Michele Dau) La questione dei migranti sta assumendo nel mondo una dimensione di vero dramma collettivo. Non si tratta più solo di persone in cerca di lavoro ma di decine di migliaia uomini e donne che fuggono dalle tragedie delle guerre, di profughi, di richiedenti asilo per ragioni sociali e politiche. Il fenomeno non è solo europeo o mediterraneo, ma investe tutti continenti del pianeta. Dall’America centrale e meridionale si cerca in ogni modo di valicare muri e barriere di filo spinato creati per sbarrare la strada ai latinos che vogliono entrare nell’America del nord. 
Dall’Africa subsahariana un’intera generazione di ragazzi e ragazze guarda attraverso i media le immagini del mondo occidentale e vuole in ogni modo, anche solo per fare il lavapiatti o il lavavetri, partecipare a quello che appare il “banchetto” di una società comunque più ricca e organizzata. Tale è il desiderio che si rischia la vita per questo. Dall’oriente poi (specie dall’Iraq e dalla Siria, ma anche dall’Afghanistan) sono in fuga milioni di persone per scampare dagli orrori di un fanatismo che strumentalizza la religione islamica. Chi si muove via terra si scontra con Paesi balcanici, come l’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia o la Serbia, che soffrono per trovarsi ancora al di fuori dell’Unione europea. Oppure sbatte anche contro le barriere erette da altri Paesi membri come l’Ungheria, la Croazia o l’Austria. Dare giudizi sommari su queste vicende, senza lo sforzo di comprenderne le ragioni, spesso espone al rischio di non capire bene i fenomeni e, soprattutto, di non saper quindi individuare le possibili soluzioni. 
Anche il recente vertice G7 dei Paesi più potenti del mondo ha dovuto porre in agenda la questione delle migrazioni, senza tuttavia delineare ancora una valida strategia di azione. La portata di questo immenso movimento di persone e di genti trova un paragone solo con quello che è successo nel mondo negli anni del secondo conflitto mondiale. Per la sola Europa si parla oggi di 2 milioni di persone da accogliere in questi anni. Ma il fenomeno della mobilità non sembra destinato a fermarsi. Piuttosto si può ritenere che su questi grandi flussi in movimento si caratterizzerà la prospettiva del mondo. Enormi problemi sociali, culturali e politici ancora impediscono una lucida comprensione di quello che accade e quindi anche di definire strategie all’altezza delle nuove sfide. Sul piano sociale il fenomeno migratorio impatta oggi con le conseguenze della crisi finanziaria ed economica che, nell’Occidente, ristagna dal 2007. 
Manca il lavoro in molti Paesi, i diritti sociali si restringono, è a rischio l’inclusione dei più deboli e la stessa coesione sociale. Accogliere stabilmente masse di profughi in questa situazione sembra ai più un compito arduo, al di là di tante buone volontà e generosità. Sul piano culturale poi le distanze sono spesso percepite come incolmabili: diverse etnie, lingue e credo religiosi, stili di vita, usi familiari. Molti europei e occidentali manifestano disagio nell’accettare uomini e donne che provengono da mondi sconosciuti e che desiderano potersi trattenere nei nostri Paesi. Magari vi è anche disponibilità a un po’ di assistenza, ma non di più, perché l’idea di un vicinato permanente, di una prossimità esistenziale, di una integrazione quindi, suscita apprensione se non indisponibilità. Per tutte queste e per altre ragioni gli aspetti politici del problema sono ancora più complessi. Negli ultimi vent’anni la debole crescita europea e occidentale, dopo il lunghissimo ciclo di benessere di massa successivo al secondo conflitto mondiale, ha smesso di ridurre le disuguaglianze sociali. Anzi le ha allargate e ne ha poi prodotte di nuove. La progressiva apertura globale dei mercati internazionali ha accresciuto le difficoltà espansive di molte economie, ha aumentato la competizione, mettendo fuori gioco molti settori tradizionali dell’industria manifatturiera occidentale a vantaggio di quella di Paesi emergenti con un più basso costo del lavoro e norme di controllo meno stringenti. 
I sistemi politici in Europa, e in occidente in genere, sono divenuti così più instabili, minati da crescenti correnti nazionaliste, da movimenti xenofobi. I governi si sono progressivamente ridotti a dover cercare solo consensi nel breve termine, non potendo mai prendere decisioni strategiche per il lungo periodo, perché spesso queste avrebbero comportato sacrifici immediati poi ricompensati da vantaggi solo nel futuro lontano. Leadership progressivamente deboli, o anche apparentemente forti e decisioniste, si succedono nei diversi Paesi e anche nei sistemi istituzionali sovranazionali. L’odierna questione delle migrazioni, ove non adeguatamente compresa e affrontata, potrebbe così divenire una forma nuova di conflitto mondiale, nel quale non si mietono migliaia vittime con le armi convenzionali, ma con le armi più sofisticate dell’indifferenza, del sospetto, dell’ignoranza, delle barriere immaginarie e di quelle realmente edificate per proteggere (rinchiudere) le comunità più sviluppate. 
Se la crescita dell’Europa e del mondo occidentale segna una fase di perdurante difficoltà bisogna comprendere come una nuova stagione di sviluppo passi solo nella capacità di affrontare positivamente queste nuove straordinarie sfide poste dalle migrazioni, da nuove fasi di co-sviluppo tra Paesi forti e Paesi più deboli, di nuove e più intense integrazioni. Il nuovo progresso economico delle aree più forti potrà dunque avvenire solo con lo sviluppo e l’integrazione sociale delle aree più arretrate. Occorrono piani e programmi all’altezza di queste sfide, visioni culturali e politiche acute e lungimiranti. Occorre rovesciare la stessa prospettiva che ha sostenuto la crescita degli ultimi due secoli. 
L’impulso capitalista e imprenditoriale è ancora decisivo, ma è di per se stesso insufficiente. Bisogna costruire un contesto di più densa e consapevole socialità, di maggiore giustizia sociale. La persona e le sue libere formazioni essenziali — a partire dalle famiglie e dalle comunità locali — dovrebbero essere al centro della prospettiva economica. Le persone attraverso un lavoro onesto e dignitoso dovrebbero poter così evolvere, emanciparsi, integrarsi, riducendo ogni risposta meramente assistenzialistica della questione. L’impiego delle risorse dovrebbe improntarsi a una visione di sostenibilità nel lungo termine: non possiamo consumarle tutte, ma dobbiamo pensare alle generazioni future e individuare nuove sorgenti di risorse senza distruggere il pianeta. 
Una ecologia integrale che abbia, dunque, al centro l’uomo e le sue relazioni umane con gli altri uomini, i suoi bisogni individuali e, ancor di più, i suoi bisogni sociali. Chi dice che oggi i migranti sono una potenziale, nuova, risorsa ha ragione purché non si limiti questa visione al riscontro dei vantaggi per l’occidente di avere lavoratori a più basso costo, con minori pretese di diritti, disposti a svolgere quelle mansioni che altri non vogliono più attendere. La civiltà umana è sempre stata alimentata da potenti flussi di mobilità, per le ragioni più diverse. E le singole civiltà regionali e locali sono morte quando hanno iniziato a chiudersi, quando non sono state più capaci di integrare, di allargarsi, di fare spazio.

L'Osservatore Romano

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Altri miliardi di euro a dittature e governi corrotti
di Anna Bono
Il 31 maggio Amnesty International Italia ha accusato i Paesi europei di essere cinici e irresponsabili perché i loro piani per far fronte all’emergenza migranti sono tutti volti unicamente a fermare le partenze. «L’Europa della vergogna costruisce muri», si poteva leggere anche sulla pagina Fb di Amnesty, «quante volte dobbiamo chiedere di fermare la strage dei migranti nel Mediterraneo organizzando percorsi legali e sicuri per i richiedenti asilo?”
È da non credere che persino Amnesty International non sappia cheper convenzione internazionale un profugo può e deve presentare richiesta di asilo nel primo Paese firmatario della Convenzione di Ginevra in cui mette piede dopo aver lasciato il proprio; dopo di che, vagliata e accolta la richiesta, i percorsi legali e sicuri esistono già.
Poi però,  mescolati ai profughi, ci sono gli emigranti irregolari che lasciano i loro Paesi clandestinamente ricorrendo ai trafficanti di uomini e pretendono di regolarizzare la loro situazione una volta sbarcati in Italia presentando richiesta di asilo, pur sapendo di non avere i requisiti per ottenere lo status di rifugiato. Sono tanti, molti di più dei profughi che scappano da guerre e persecuzioni, prova ne sia che l’Italia nel 2014 ha accolto il 10% delle richieste di asilo, nel 2015 il 5% e quest’anno, fino al 20 maggio, il 4%. 
Chi ottiene lo status giuridico di rifugiato è perché proviene da Paesi in guerra, come la Siria, o sottodittatura, come l’Eritrea. Ma a concedere asilo, ad esempio, a un senegalese c’è rischio di un incidente diplomatico perché equivale ad accusare il Senegal di perseguitare i propri cittadini o non di proteggerli da chi li minaccia. Chi si vede respinta la richiesta di asilo, comunque, può fare ricorso e restare in Italia fino alla sentenza definitiva. Inoltre, esistono due istituzioni provvidenziali, create per non rimandare a casa chi non può avere lo status di rifugiato: il permesso di soggiorno per motivi umanitari, che dura da sei mesi a due anni, e il permesso per protezione sussidiaria, che vale cinque anni. Sono stati concessi al  50% dei richiedenti asilo respinti nel 2014, al 37% nel 2015 e al 31% dall’inizio del 2016 al 20 maggio.  
Inoltre, forse è nato un terzo tipo di permesso di soggiorno se hanno ragione i mass media secondo iquali un giudice del tribunale di Milano ha da poco accordato a un immigrato irregolare, un ragazzo di 24 anni, un permesso per “protezione umanitaria” con la motivazione che il suo paese, il Gambia, è povero e non offre a chi ci abita il tenore di vita – con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali essenziali – a cui ogni uomo ha diritto secondo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. 
La notizia di questa sentenza è arrivata insieme a quella di un nuovo piano dell’Unione Europea perridurre il flusso di emigranti dalla Libia all’Italia, i cui principali paesi di origine sono Nigeria, Gambia, Somalia, Costa d’Avorio, Eritrea, Guinea e Senegal. Il piano prevede l’intensificazione del partenariato con nove Paesi del Medio Oriente e dell’Africa e costerà 62 miliardi di euro in aiuti per creare lavoro e combattere la povertà: miliardi che si aggiungeranno a quelli del Fondo di emergenza per l’Africa creato a novembre dalla Commissione europea con un capitale iniziale di 1,8 miliardi di euro e inoltre ai miliardi forniti ogni anno dai Paesi europei e dall’Unione Europea per finanziare le agenzie dell’Onu, la cooperazione internazionale bilaterale e multilaterale, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, le missioni di peacekeeping dell’Onu e dell’Unione Africana e, non dimentichiamolo, gli “Obiettivi di sviluppo sostenibile”, il nuovo progetto dell’Onu contro la povertà e le ingiustizie planetarie che da solo costa 15 trilioni di dollari all’anno.
In sostanza, è in arrivo un nuovo salasso in favore di governi alcuni dei quali inaffidabili, incapaci ecorrotti, e peggio ancora. Uno è il governo della Somalia, formato da capi clan che da 25 anni si fanno mantenere dal resto del mondo e intanto costringono milioni di connazionali a vivere sfollati e profughi. Nel 2012, l’Onu ha ammesso che ogni 10 dollari consegnati al governo somalo dalla comunità internazionale sette non arrivano mai nelle casse dello Stato. In Nigeria, invece, nel 2014 sono spariti oltre 14 miliardi di euro che avrebbero dovuto finire nelle casse dell’Ente petrolifero nazionale e altri 13 miliardi stanziati per combattere il gruppo jihadista Boko Haram. Ma c’è di peggio perché, tra i partner a cui andranno i fondi, ci sono l’Eritrea, una delle peggiori dittature del pianeta insieme alla Corea del Nord, e il Sudan il cui presidente, Omar Hassan al Bashir,  è stato accusato di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel 2009 dalla Corte penale internazionale e contro cui è stato spiccato un mandato di cattura internazionale. 
Il piano che l’Unione Europea si appresta a varare dovrebbe servire anche ad aumentare il numero deirimpatri. Attualmente solo il 40% dei richiedenti asilo che non ottengono lo status di rifugiato vengono accolti dai loro Paesi d’origine. Si ipotizza di tagliare gli aiuti ai governi che non collaborano al rimpatrio dei connazionali respinti. 

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In questo tempo rosso di sangue vergogna
 Avvenire 
(Alessandro Tessari, Docente di Filosofia della scienza e già parlamentare del Pci e del Partito radicale) Caro direttore, tra monsignor Galantino e il ministro Alfano, io - laico e agnostico - sto dalla parte di Galantino. Senza se e senza ma. Torno sulla questione, mentre l' Europa confeziona e attiva un nuovo "compact" per tentare di regolare il premere di uomini, di donne e di bambini alle sue porte. Molti vecchi come me, che possono avere avuto responsabilità politiche in passato, oggi si trovano smarriti e senza risposte plausibili di fronte al volto nascosto di tanti "poteri forti". 
La questione delle questioni del nostro tempo, è la migrazione ingovernabile che unisce come mai le due sponde del Mediterraneo, tingendolo di rosso. Dove il rosso più acceso è quello della nostra vergogna, persino più del sangue di tanti innocenti. Su questo dramma, due disarmanti semplicità: una è quella di Galantino che allarga le braccia con l' affetto misericordioso del sacerdote e l' altra è quella di chi, con cipiglio urticante, ci dice che lui fa «il ministro». E lascia intendere che certi atteggiamenti "da prete" lui non se li può permettere. Come mi sarebbe piaciuto vedere quel cipiglio quando Alfano siede in Europa con i suoi colleghi, non per litigare sulle quote di migranti, trattati come quote latte (miserabile lettura di questo evento biblico), ma per urlare in faccia all' Europa quanta nostra responsabilità c' è in quelle guerre africane e mediorientali. Responsabilità dell' intera Europa, dell' intero Occidente che con sgradevole ossimoro chiamiamo "cristiano". Non solo abbiamo un tornaconto immediato nella vendita sottobanco di armi perché le guerre non finiscano mai, ma abbiamo il torto di lunghi silenzi imbarazzati, dopo secoli di razzia coloniale. Razzia che oggi possiamo derubricare a "colonialismo artigianale", di fronte alla odierna svendita, su grande scala industriale, dell' Africa ai grandi Paesi emergenti che per i loro interessi la stanno rendendo una terra invivibile. In questi silenzi omertosi, ecco le frasi che sembrano ovvie: «Mica possiamo ospitarli tutti», dice Alfano. Certo, ministro. Ma lei, che è appunto ministro, alcune cose le può fare: mandi le navi da crociera a prelevare i poveracci che scappano, certamente pagherebbero volentieri il biglietto intero di prima classe, sarebbe molto più economico delle migliaia di euro pagati alle mafie nostrane e magrebine per questa tratta di schiavi da macello. E se gli «hotspot», ministro, li facessimo sulle navi da crociera, non sarebbe meglio? E non si annunciassero come il prolungamento delle stive invase dalla nafta, dall' orina e dall' odore della morte? Perché l' Europa, questa vigliacca Europa che non ha il coraggio di mettere in discussione alcune potenti rendite di posizione, non comincia a concordare con le parti la riduzione dei nostri guadagni, nel deforestare, nel succhiare dal sottosuolo tutto ciò che possa rendere ancora più grassa la nostra esistenza? Per consentire all' Africa di ritrovare una sua dignitosa e possibile vivibilità? E se qualche volta ascoltassimo anche noi, atei inveterati, agnostici e razionalisti, quelle parole - da vescovo, da prete, da pastore, che non gira la testa da un' altra parte per il puzzo delle sue pecorelle - che ci vengono da chi guarda un po' più lontano di noi? E se questo ci spingesse a reagire alla suicidaria deriva denatalistica dei nostri Paesi arricchiti male e con insopportabili sperequazioni, per aver confuso il valore delle cose? Chissà che in queste migrazioni di uomini e donne, privi di tutto, ma pieni di speranza e di figli, anche noi non ritroviamo un senso alle nostre vite, alla nostra declinante civiltà.