giovedì 16 giugno 2016

Di’, folle, se il tuo amato non ti amasse, cosa faresti?

Stigmata of saint Francis, Bernini

di Robert Cheaib
«Di’, folle, se il tuo amato non ti amasse, cosa faresti?”. L’amico rispose dicendo che per non morire amerebbe, perché il disamore è morte, ma l’amore è la vita». È una delle tante perle racchiuse del Libro dell’amico e dell’amato di Raimondo Lullo (1232-1316), uno degli autori più prolifici e originali della mistica cristiana medievale.
L’opera – di cui Qiqajon presenta una traduzione italiana curata da Federica d’Amato – è composta da 357 versetti ed essa costituisce uno dei rari esempi di poesia mistica in lingua catalana. Il libro è concepito come un’opera di iniziazione alla vita contemplativa e mistica.
Il tema centrale dell’opera è la relazione del cristiano, “l’amico”, con Dio, “l’amato” attraverso il vincolo che li unisce, “l’amore”. Il libro riflette l’esperienza personale di Lullo, ma anche le varie affluenti che hanno nutrito la sua spiritualità a partire dalla Bibbia (in particolare il Cantico dei Cantici), ma anche, come spiega nella sua introduzione Francesc Torralba Rosellò, la lirica trovadorica, la poesia francescana italiana, la mistica agostiniana oltre alle opere dei sufi ispano-musulmani.
Il libro di Lullo, che sembra una raccolta senza ordine di versi e di “fioretti” mistici, offre in realtà una solida struttura di pensiero che guida l’uomo sulla dell’unione con Dio. Le tre facoltà coinvolte sono le classiche facoltà dell’intelletto, della volontà e della memoria. L’intelletto apre la via alla comprensione di Dio, la volontà muove il cuore dell’uomo verso l’Amato e la memoria conserva il suo ricordo e dona la linfa della perseveranza.
Il libro è profuso di slanci mistici di rinuncia totale a sé per l’amato, di accettazione di tutto – anche del dolore – perché quel che conta per l’amico è solo l’amato e la sua volontà. «“Dimmi, amico mio – disse l’amato -, avrai pazienza se raddoppierò i tuoi tormenti?”. “L’avrò, se più grande farai anche il mio amore”».
Piacere e dolore sono indifferenti, quello che l’amico vuole è l’amato stesso. «Domandò l’amato all’amico: “Ricordi se mai io ti abbia dato ricompensa affinché tu mi amassi?”. Egli rispose: “Lo ricordo: fra i tormenti e i piaceri che mi doni non c’è mai stata differenza”».
Il motivo della sofferenza e della coincidenza tra soffrire e amare impronta tante pagine del libro: «Se tu non soffrissi per amore, con cosa ameresti il tuo amato?». Ma la sofferenza non è fine a sé, è una via di prossimità tra l’amato e l’amico: «Ogni giorno sospiri e pianti son messaggeri tra l’amico e l’amato affinché vi sia tra loro vicinanza, letizia e benevolenza».
Alcuni versetti sembrano rispecchiare versetti di altri mistici, anche di altre tradizioni, come ad esempio questi versetti che ricordano Al-Hallaj, il sufi crocefisso: «Fu imprigionato l’amico e legato e ferito e ucciso a causa dell’amore per l’amato. Chi lo torturava gli domandò: “Dov’è il tuo amato?”. Rispose l’amico: “Lo vedrete nella moltiplicazione del mio amore e nella forza che mi dà nel martirio».
La via mistica e della contemplazione è svuotarsi sempre più di sé per diventare spazio per Dio. «Disse l’amico al suo amato: “Tu sei tutto, e per tutto e in tutto e con tutto. Ti desidero tutto affinché in tutto tu sia in me”. Rispose l’amato: “Non puoi avermi tutto, se tu non sei in tutto mio”».