domenica 12 giugno 2016

La predica non va in vacanza


Beatificato a Vercelli il parroco don Giacomo Abbondo. 



Istruzione popolare ed esercizi spirituali. È il binomio che ha caratterizzato gli oltre trent’anni — dal 1757 al 1788 — di ministero svolto a Tronzano dal parroco don Giacomo Abbondo, beatificato sabato 11 giugno nella cattedrale di Vercelli. «Pastore secondo il cuore di Cristo, interamente dedito alla parrocchia, alle anime, alla Chiesa»: così lo ha ricordato all’omelia il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, che ha presieduto il rito in rappresentanza del Papa.
«In tempi difficili — ha ricordato il porporato — seppe rispondere con sapienza e fortezza a una triplice sfida. Anzitutto, contrastò l’illuminismo, armonizzando fede e ragione e mettendo al centro della sua pastorale la conoscenza del vangelo e l’annuncio della Parola. Attraverso la Compagnia della dottrina cristiana favorì l’istruzione popolare e spesso, durante la stagione invernale, si recava egli stesso per la catechesi a domicilio nelle cascine lontane dal paese. Promosse gli esercizi spirituali e le missioni popolari».
Inoltre «si oppose al rigorismo del giansenismo, favorendo la frequenza ai sacramenti di grandi e piccoli e incentivando le devozioni popolari. Permise l’accesso dei bambini all’Eucaristia, anticipando così la storica decisione di san Pio X. Da Clemente XIII ottenne l’indulgenza plenaria per quanti si accostavano ai sacramenti nella festa della Madonna del Carmine, che diventò per il popolo una sorta di “Pasqua estiva”». Devoto al Sacro cuore e all’Immacolata, don Abbondo «era confessore paziente e misericordioso, prospettando ai fedeli la speranza del premio in paradiso. Fu parroco zelante e condusse una vita esemplare da tutti riconosciuta come santa».
Infine, terzo elemento rievocato dal cardinale celebrante, il beato «contrastò la diffusione del gallicanesimo, manifestando una speciale venerazione per il Papa. Viveva, infatti, in piena fedeltà al magistero pontificio, in filiale obbedienza al vescovo, in diligente tensione per la santificazione delle anime».
Attualizzando la riflessione il cardinale Amato ha quindi sottolineato come «formazione religiosa, vita sacramentale e devozione al Papa» siano le tre caratteristiche del beato. Del resto, ha fatto notare, «i santi non passano mai di moda, perché formati da Gesù, sempre presente in mezzo a noi come via, verità e vita». E don Giacomo «arricchisce ulteriormente il panorama della santità sacerdotale piemontese».
In proposito il prefetto della congregazione vaticana ha citato le parole con cui don Abbondo rinunciò all’usanza vercellese di sospendere la predicazione nei mesi estivi a causa del clima afoso insopportabile: «Qui è ignoto il nome di vacanza», disse. E «questa scrupolosità apostolica meritò una nota di merito nella relazione del vescovo Vittorio Costa D’Arignano durante la visita pastorale del 1775».
Commovente l’elogio dei 74 capi di casa riuniti dopo la sua morte, che esaltavano il «signor prevosto don Jacopo Abbondo d’immortale memoria per la perspicacia del suo ingegno, per la profondità della sua dottrina, per la santità della sua vita, per la somma prudenza nella sua condotta e per l’instancabilità nell’esercizio del pastorale suo ministero». Grazie a lui infatti, ha concluso il cardinale Amato, «la parrocchia di Tronzano era diventata una comunità modello».


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Verso gli onori degli altari suor Maria di Gesù Santocanale. Signora madre 
(Enza Amodeo) Povera tra i poveri per condividere con i fratelli le difficoltà di ogni giorno. È Maria di Gesù Santocanale (1852-1923), fondatrice della congregazione delle suore cappuccine dell’Immacolata di Lourdes, che il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, domenica 12 giugno, nella cattedrale di Monreale, beatifica in rappresentanza di Papa Francesco. 
Carolina Concetta Angela nasce a Palermo il 2 ottobre 1852 da Caterina Stagno e da Giuseppe Santocanale, dei baroni della Celsa reale. Cresce circondata dall’affetto dei genitori e dei nonni, che la custodiscono con premura. È la primogenita di sei fratelli. Viene istruita nelle lettere, nel francese, nella musica, ma anche nel ricamo e cucito, e nei lavori di casa.
A sedici anni è una bella ragazza, sensibile, estrosa, intelligente. Ama curare il suo aspetto, ha il desiderio di amare. Ma Dio ha altri progetti su di lei. Nella Quaresima del 1869 l’ascolto della parola di Dio la trasforma. Carolina comincia ad apprezzare la bellezza della “verginità”. A 19 anni è chiamata al capezzale del nonno, morente a Cinisi (Palermo), dove incontra don Mauro Venuti, il sacerdote destinato divenire il suo direttore spirituale. La giovane non esita ad aprirgli l’animo e scopre che Dio la chiama a uno stato di maggiore perfezione. La sua risposta è pronta, decisa. A 21 anni il suo bisogno di contemplazione la spinge a pensare al monastero di Santa Caterina. Ma la profonda miseria materiale e spirituale vista a Cinisi, la sconvolgono.
Nel Terz’ordine francescano, Carolina individua la sua scelta di vita, perché in esso può fondere i suoi due ideali: di contemplazione, seguendo la mistica di Francesco d’Assisi, e di azione, aiutando i poveri. Il Signore, prima di renderla degna di tale missione, la purifica attraverso sedici lunghi mesi di malattia. Guarisce nel 1887 grazie all’aiuto di un medico, amico di famiglia, e l’intercessione di san Giuseppe; il 13 giugno veste l’abito religioso come terziaria francescana Non si chiamerà più Carolina, ma suor Maria di Gesù o «signora madre», come tutti la chiamavano a Cinisi.
Come Francesco si fa povera tra i poveri e con la bisaccia sulle spalle gira di porta in porta. Gesù Eucaristia è fondamento della sua vita: si fa ogni giorno pane che si spezza per ogni malato, per ogni bimbo, per le tante famiglie. Ciò che la rende speciale è il suo cuore di madre, la tenerezza e la signorilità che elargisce nel suo servizio. La giornata terrena di madre Maria di Gesù si conclude il 27 gennaio 1923, mentre tutti unanimi la dichiarano “santa”. 

L'Osservatore Romano